La
delusione ha ormai ceduto il posto alla sfiducia. L’insoddisfazione alla
rabbia. La preoccupazione alla paura. Il mondo dei pubblici esercizi, dei commercianti, dei gestori di palestre o centri estetici, come quello dello spettacolo, è in ebollizione. È un po’ tutto il mondo delle
piccole impresee del lavoro autonomo che ormai non regge più dopo un anno di chiusure e di crisi. Ed è forse l’intera Italia che non tiene più. Le sempre più frequenti manifestazioni di
protesta, più o meno spontanee e più o meno pilotata dalle frange estremiste dell’estrema destra, sono il segnale più evidente di quel disagio profondo che da mesi andiamo indicando come il pericolo più grave di questa ondivaga gestione della
pandemia.
Regna il caos, sorgono le proteste
Troppi pareri contrapposti. Troppe opinioni. Troppe
fake news. C’è un
clima che giorno dopo giorno ha minato alla base le ragioni di una convivenza civile e di una solidarietà senza la quale sarà molto difficile poter vincere la
battaglia contro un virus che colpisce proprio le nostre debolezze.
Gli scontri in piazza Montecitorio dell’altro giorno, al di là delle oggettive responsabilità degli organizzatori della manifestazione, come i suicidi o le aperture per sfidare le chiusure imposte per decreto, fanno emergere una frattura sociale che nemmeno negli anni della più dura contestazione o del terrorismo si erano mai manifestati:
da una parte ci sono le partite Iva e dall’altra i lavoratori dipendenti o i pensionati. L’Italia non è mai stata così divisa. C’è chi oggi non ha
reddito, perché se lo guadagnava ogni giorno rischiando in proprio (e che magari un tempo era magari ritenuto evasore fiscale). E c’è invece chi il reddito ce l’ha sicuro e magari può tranquillamente starsene a casa in smart working ed è pure tutelato dai sindacati. Ci sono due Italie: un’
Italia che non può lavorare per decreto ed un’altra che troppo spesso si disinteressa della prima o, peggio, la giudica… Ed è ferma l'Italia dell'accoglienza, del turismo, del tempo libero e della cultura. Il comparto
economicamente e socialmente più importante del Paese.
Imprese e cittadini allo stremo
E non è un’Italia, come piacerebbe a certi politici, divisa fra destra e sinistra. È un Paese stremato e allo sbando in cui sembrano essersi invertiti molti luoghi comuni o le classificazioni e gli schieramenti del secolo scorso. Parliamo di decine di migliaia di aziende a rischio
fallimento. Parliamo di cittadini che non ne possono più e che non hanno solo il problema di
tasse e costi fissi che non si possono cancellare, ma che hanno anche la responsabilità delle famiglie dei dipendenti e di quelle dei fornitori… Insomma,
un pezzo d’Italia che fra persone e Pil rappresenta almeno il 30-35% di ogni statistica. Parliamo di
milioni di persone che aspettano non solo aiuti economici, ma anche un minimo di certezza sul loro futuro. E tutti hanno una sola domanda: quando si potrà riprendere a lavorare?
Una politica che specula sulle sofferenze
Di fronte alla tragedia di baristi, ristoratori, gestori di catering o palestre
cosa fa la politica? Cosa rispondono le istituzioni a chi si è magari già rivolto agli usurai perché le banche gli chiude le porte e lo Stato o le Regioni gli dà aiuti che a male pena coprono il 10% delle perdite subite?
Nulla. I politici si limitano a litigare fra di loro e addirittura ci sono i politici che tentano di speculare su questa frattura proclamandosi paladini delle
riaperture, costi quello che costi, invece che difensori della salute sopra ogni cosa. Quasi che la tutela di lavoro e sicurezza non fossero un dovere, a prescindere, di tutti i politici e di qualunque colore politico. E c’è chi pure pensa di potersi proporre come statista e guidare un partito al tempo stesso di lotta e di governo. Ed è forse questo soffiare sul fuoco (per spegnerlo o riattivarlo), o il tenere il piede in due scarpe, che crea equivoci e permette ai criminali o agli agitatori di professione di creare il caos. Chiedere rigore ai politici oggi è però davvero difficile. I
Governatori si scannano sulle dosi dei vaccini che poi assegnano a casaccio ad amici o a qualche casta. Sulle scuole ognuno fa quello vuole.
E che dire di un
Governo che mette un Paese in lockdown a Pasqua, ma permette di andare all’
estero? Per non parlare dei falsi nel conteggio dei morti o dell’incapacità (da cui stiamo forse uscendo) di organizzare una campagna vaccinale seria. È evidente che in questo caos politico, baristi o ristoratori che stanno perdendo tutto, a partire dalla speranza, possano cedere all’esasperazione. E non ci si può certo girare dall’altra parte pensando che tanto prima o poi si riaprirà. Ora si fa a gara per chi spara le date: il solito Salvini pretendo di fissare il 20 aprile (quando nemmeno Londra sarà fuori dal lockdown definitivamente). Calenda indica invece il 14 maggio e ora il
ministro Garavaglia butta lì il 2 giugno. E tutti dimenticano la figuraccia fatta dal Ministro Franceschini che aveva assicurato per il 27 marzo la riapertura di cinema e teatri.
Ora è invece tempo di dire basta a troppe chiacchere e proclami al vento. Parli una sola persona.
Draghi prenda in mano la situazione
E non può che essere il premier Draghi. La sua autorevolezza deriva anche dal dire poche parole, ma sempre chiare. Ci aspettiamo che dica qualcosa e prenda qualche impegno più di quelli annunciati dopo l'incontro con le Regioni.
Per Draghi sarà la campagna vaccinale a dettare i tempi dell'agenza delle ripartire, e fin qui possiamo essere tutti d'accordo, ma non si può non fissare una data. Oggi più che mai serve unità e nervi saldi per fare uniti l’ultimo miglio. I capi-popolo che vogliono sfruttare la crisi non servono a nessuno, ma il Governo deve dare anche risposte a chi, con senso di
responsabilità e sacrificio, rappresenta un mondo in crisi e che non può più accontentarsi delle briciole e delle promesse al vento.
Fipe e Confersercenti hanno finora evitato che davvero scoppiasse la rivolta, ma hanno bisogno di risposte chiare. Il Governo deve mettere con urgenza in campo rimborsi adeguati e fissare delle date per riaprire i ristoranti in sicurezza … Cosa potrebbe succedere si è già cominciato a vedere.
Un punto sul calendario va fissato, poi se le cose precipitassero lo si può sempre aggiornare. Imprese e lavoratori hanno
diritto di avere una certezza. Siamo solo ai primi di aprile, ma oltre il mese non si può andare e il giro di boa lo avremo col 20 april. Fino ad allora incrociamo le dita.