Pasta, l'evoluzione del grano duro Natura, filiera e stili di consumo

La diversità genetica delle antiche varietà locali di grano duro può aumentare l’adattabilità ai cambiamenti climatici e perfezionare le caratteristiche nutrizionali della pasta . Le tendenze secondo Unione Italiana Food da qui al 2050: nutrirsi in modo classico, etico, globale, diverso, semplice e consapevole

13 maggio 2020 | 12:30
di Gabriele Ancona
Una ricerca condotta con l’obiettivo di comprendere gli effetti del miglioramento genetico sulla diversità biologica del grano duro e di dare nuovo impulso all’attività sementiera nazionale, alla luce delle nuove sfide agro-ambientali, dei cambiamenti climatici in atto e delle mutate esigenze dei consumatori.


La ricerca ha analizzato i profili genetici di oltre 250 varietà di grano duro coltivate negli ultimi due secoli in Italia

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Frontiers in Genetics” è stato realizzato dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) con il suo Centro Cerealicoltura e Colture Industriali, in collaborazione con l’Università di Napoli Federico II, l’Università degli Studi di Sassari, l’Università di Bari “Aldo Moro” e l’Università Politecnica delle Marche.

I ricercatori hanno recuperato e studiato i profili genetici di una collezione di varietà di grano duro, suddivisa in tre gruppi: vecchie popolazioni e varietà locali (landraces), vecchie cultivar, selezionate a partire dall’inizio del XX secolo e varietà moderne a taglia bassa coltivate in Italia a partire dagli anni ‘70 fino a oggi.

Dall’analisi dei dati è emerso che la diversità genetica delle antiche varietà locali di grano duro può aumentare l’adattabilità delle colture ai cambiamenti climatici e perfezionare le caratteristiche nutrizionali della pasta.

L’analisi dei profili genetici di oltre 250 varietà di grano duro coltivate negli ultimi due secoli in Italia ha mostrato come le vecchie varietà locali siano state scarsamente sfruttate nei programmi di miglioramento genetico. Si tratta, invece, di un prezioso capitale di risorse cui attingere oggi con le moderne biotecnologie per selezionare varietà efficienti non solo per resa e contenuto proteico, ma anche per aspetti legati alla sostenibilità delle produzioni (resistenza ai patogeni ed efficienza nell’utilizzo dell’acqua e dell’azoto) e alle caratteristiche nutrizionali e salutistiche della granella (composizione in fibra, amido, micronutrienti, assenza di micotossine e di metalli pesanti). Inoltre, la diversità genetica delle varietà locali italiane ben si presta ad attività di pre-breeding, in quanto le landraces, rispetto ai progenitori selvatici del grano duro (per esempio farro), hanno il vantaggio di essere già ben adattati alle nostre condizioni ambientali.

I risultati hanno evidenziato il ruolo chiave svolto dalla varietà Cappelli nella storia del grano duro italiano, segnando il passaggio dalle vecchie varietà locali, coltivate nell’800, alle varietà moderne. Sin dalla sua costituzione, infatti, il grano Cappelli è stato parte integrante di tutti i programmi di miglioramento genetico condotti in Italia.  


Riccardo Felicetti

È sempre in corso il dialogo dibattito tra i sostenitori dei grani antichi e chi li ritiene uno strumento di marketing. Il grano è natura e quello che conta è la sua filiera di produzione sia in riferimento ai grani antichi sia in relazione a quelli moderni.

Di questa tematica ne abbiamo parlato con Riccardo Felicetti, presidente gruppo Pasta di Unione Italiana Food, casa associativa che rappresenta 450 aziende su oltre 20 settori merceologici per un valore di 35 miliardi di euro di fatturato.

«Una ricerca specifica sulle specie monovarietali autoctone  molto interessante da studiare – spiega – Un’evoluzione che ha dato un indirizzo alla produzione del grano duro. Uno spunto di rilievo per valutazioni agronomiche e commerciali sostenute da uno studio scientifico. Anche in un’ottica temporale, per dare una visione completa della pasta nel percorso del suo sviluppo. Un filo conduttore che dal passato conduce alla pasta del domani».


La pasta, nel corso del tempo, si è sempre rivelata un prodotto ipercontemporaneo

Al proposito, Unione Italiana Food ha tracciato le 6 principali tendenze che caratterizzeranno la pasta da qui al 2050. Si tratta di un nutrirsi in modo Classico, Etico, Globale, Diverso, Semplice e Consapevole.

«La pasta al pomodoro – puntualizza Riccardo Felicetti - è  la portabandiera della dieta mediterranea nel mondo, il cibo della convivialità. Uno stile di vita che l’Italia continuerà a esportare insieme all’unicità della pasta di grano duro. Anche il mangiare etico, globale e diverso non ha confini: il fil rouge sarà il condimento in ogni sua declinazione futura e locale. Sostenibilità e contaminazioni le parole d’ordine. Sempre al dente, ma eclettica e adattabile a qualsiasi ingrediente in ogni parte del mondo. E noi dovremo applicare la tolleranza. Il futuro sarà anche all’insegna della semplicità e del salutare. Sughi elementari con  pochi ingredienti. L’ultimo scenario mette in gioco la conoscenza: origine della materia prima, tipologie, utilizzo».

La pasta, nel corso del tempo, si è sempre rivelata un prodotto ipercontemporaneo. Non a caso, i pastai investono ogni anno mediamente il 10% del loro fatturato in ricerca e sviluppo, per migliorarne la qualità guardando avanti, per un totale del comparto pari a 500 milioni di euro. Tutto questo per garantire al consumatore innovazione, sicurezza e qualità del prodotto finale sempre più elevate. E la riscoperta dei grani antichi rientra in questa logica.

Per informazioni: www.crea.gov.itwww.unioneitalianafood.itwww.felicetti.it



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