Nuovi matrimoni in piccolo. Per il ristoratore un'occasione di business

Per via delle restrizioni imposte dal Covid e di un'incertezza diffusa, i nuovi sposi non pensano più a nozze con centinaia di invitati, ma a pranzi o cene molto più intime . Vince così la qualità, con i ristoranti che possono misurare meglio le portate e garantirsi una giornata da tutto esaurito. E con un po' di fantasia si può avviare un circolo virtuoso a lungo termine

23 agosto 2021 | 05:00
di Vincenzo D’Antonio

Ampi saloni per sponsali. Ossessivamente presente negli spot delle tv private dell’ultimo quarto del secolo scorso, era questa l’abusata frase mediante la quale attrarre i promessi sposi a svolgere in quel locale, dotato di “ampi saloni per sponsali”, il loro wedding. Quanti invitati? Tra i 180 e i 200? Ah, una cosa media! Che ne dite di aperitivo all’esterno, poi due antipasti, tre primi, quattro secondi, cinque contorni e sei dolci oltre alla torta nuziale? E i vini? Quelli della casa, e poi champagne. E il prezzo? Ci mettiamo d’accordo, ma tanto noi facciamo girare la voce del prezzo e gli invitati, o che sia regalo vero e proprio o che sia la “busta”, sapranno e dovranno adeguarsi di conseguenza. Insomma, quasi un girofondo.

Praticamente questi locali dotati di ampi saloni per sponsali, erano anche dotati di una cucina grande (non una grande cucina) atta a sfamare un paio di centinaia di famelici commensali. Camerieri on call e... si comincia alle due del pomeriggio, dopo che gli sposi sono andati a farsi le foto e, tranquilli, per mezzanotte abbiamo anche tagliato la torna nuziale.

I matrimoni di una volta...

Affabulazione, esagerazione, si dica ciò che si vuole ma non è che di molto ci si discosta da quello che fu lo scenario del wedding di quei decenni. Questi ristoranti non erano quasi mai attrezzati per servire i piccoli numeri, quella clientela che al limite dello sprezzante veniva definita “spicciolata”.

Quasi ad enfatizzare la differenza enorme tra le banconote di grosso taglio che costituivano l’ordine di grandezza dell’incassato da un wedding e gli spiccioli dello scontrino misero di un tavolo da quattro. A catalizzare un trend che timidamente già volgeva verso il downsizing del wedding, ci ha pensato la pandemia.

Cosa è cambiato con la pandemia

Cosa ne scaturisce? La crisi dei locali atti a “fare” le cerimonie, matrimoni innanzitutto, e l’occasione propizia, ancora non colta appieno, da parte dei ristoranti vocati alla “spicciolata”, di poter “fare un matrimonio”. Posto che il numero complessivo dei commensali non vada oltre, stabiliamo un cut off plausibile, i quaranta.

Un matrimonio con... 38 invitati? Sì, perché no? Sono pochi? Probabilmente sono anche tanti, anzi troppi. Ecco il nuovo trend: il micro wedding, il matrimonio intimo. Prenotazione non più da un anno all’altro (sovente era la data del matrimonio ad essere sussunta alla disponibilità della location!) ma, ad essere previdenti e corretti verso il ristoratore, un mesetto prima.

Nessun menu predefinito, bensì alla carta. Magari, unica concessione, una carta snellita come numero di proposte, ma pur sempre la salvaguardia della scelta da parte del singolo commensale.

Vini prescelti dalla carta dei vini, con opportuno servizio al calice. Anche qui, concessione più che valevole: abbinamenti suggeriti (ma non imposti!). E la torta nuziale? Sì, va bene, quella la lasciamo!

Lo scenario di oggi

Tavoli da quattro, ben distanziati. Camerieri con la mascherina (ovviamente mascherina anche per la brigata di cucina). Tutte le precauzioni, di norma ed aggiuntive, doverose in questa fase. Il ristoratore dà il meglio di sé, lo chef si prodiga come non mai, lo stesso dicasi per la sala. Perché queste attenzioni suppletive? Tutti i clienti sono importanti e tutti vanno trattati non bene, ma benissimo!

D’accordo, pienamente d’accordo; tuttavia, analizziamo la situazione e vediamo come essa è virtuosamente win win win.

Win gli sposi (familiari stretti inclusi): stress di gran lunga inferiore a quello indotto dai banchetti con grandi numeri; seduti al tavolo in tutta comodità (e va bene, il giro tra i tavoli una sola volta, in the middle!)

Win gli invitati: nessuna sindrome da mad crowd (folla pazza) che insorge quando i numeri esuberano il centinaio. Un ottimo pranzo in compagnia di commensali tendenzialmente noti. Servizio accurato e non, quando necessario e quando voluto, esasperatamente lento.

Win il ristoratore: un giorno “pieno”, legittimamente profittevole laddove, oltre alla componente indispensabile dell’utile tangibile, si aggiunge l’intangible asset del profitto prevedibile (profit forecast).

Ci sono 38 invitati, ci sia consentito arrotondare a 40. Con questi numeri, agendo tra provvidenziali nonni e baby sitter, ed anche considerando lo standing del ristorante prescelto dagli sposi, vogliamo ipotizzare che vi sia assenza di minorenni. Ecco, nel senso anche letterale del termine, la carta vincente del ristoratore: la gift card.

E’ wedding lunch, il regalo è componente che permea l’atmosfera: ricevuti dagli sposi, fatti dagli invitati: già consegnati tempo addietro, dati proprio adesso (le buste!), da consegnare, parola data, al ritorno dal viaggio di nozze. Dopotutto, anche gli sposi stanno regalando il pranzo agli invitati.

 

Il ruolo del ristoratore

Ed in tutto questo reticolare scambio di doni, il ristoratore cosa fa, si astiene? Verrebbe da rispondere: certo che si astiene ! Non è “lo sposo”, non è invitato, è solo un diligente erogatore del servizio denominato “pranzo nuziale”. Quando si è attenuto, con rigore deontologico a questo dovere, cosa altro dovrebbe/potrebbe fare?

Ed eccoci all’elemento innovativo: potrebbe/dovrebbe farsi un regalo a termine medio, facendo egli all’istante un regalo ai quaranta invitati. E cosa regalare ai quaranta invitati? Lo si accennava prima: la gift card.

E in cosa consiste questa gift card? Un no frills gift! Niente fronzoli: una card che ha un’informazione fondamentale: un importo. Senza fronzoli e senza giri di parole. Poniamo che sulla gift card stia scritto 10 €. Ecco, semplicemente senza rischio alcuno di fraintendimento, il ristoratore sta donando dieci euro al commensale.

Spendibili come? Semplice! A saldo parziale del pranzo o della cena che il beneficiario della gift card avrà consumato nel ristorante. Durata di validità della gift card, poniamo sei mesi.

No frills

Importante il concetto “no frills”. Attenti a non far diventare la gift card aperitivo offerto dalla casa, una bottiglia di vino in omaggio, ed altre amenità. Si innescherebbe disagio reciproco cagionato da una sorta di malcelata, dura ad estinguersi, radicata diffidenza.

Diffidenza del cliente verso il ristoratore: se non lo pago, chissà che mi dai come aperitivo, chissà che vino mi vuoi omaggiare, di certo cose men che mediocri. Diffidenza del ristoratore verso il cliente: io gli voglio dare un ottimo aperitivo, gli voglio omaggiare una bella bottiglia di vino; speriamo che lo capisce che gli sto omaggiando roba buona.

Ecco, questa bidirezionale diffidenza la si supera con la trasparenza dell’importo stampato sulla gift card. E si tace del fatto che su quaranta invitati, suvvia, non ci sono due fidanzatini che stanno pianificando il loro wedding? Un caso concreto, di nuove opportunità di business per il ristoratore nuovo.


 

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