La nuova era della delivery: scomparsi i “corsari”, rimangono i professionisti

Durante il Covid, la delivery ha conosciuto un boom spesso caratterizzato da pratiche scorrette. Oggi, superata la fase “corsara”, resta un servizio efficiente e sostenibile. La selezione naturale ha favorito imprenditori seri , trasformando la delivery in una componente complementare e funzionale del servizio di ristorazione, mentre attori improvvisati sono scomparsi dalla scena

16 ottobre 2024 | 05:00
di Vincenzo D’Antonio

Il clangore mediatico che fece assurgere la delivery a fenomeno connotante la ristorazione nell’era del Covid si è trasformato in mesto silenzio. Cosa è accaduto? Quanto la delivery è fenomeno con sua ragion d’essere in momenti straordinari e quanto, invece, è componente, sebbene ancillare, del servizio di ristorazione?

Delivery, cosa è accaduto in epoca Covid

Accompagniamo al pietoso oblio la patologia infame che connotò il boom della delivery in epoca Covid. Si praticava un comportamento distorsivo di furbesca illogicità. In poche parole, ché solo a raccontarla nelle sue articolazioni viene raccapriccio, divenne prassi far pagare il servizio di delivery in funzione del valore dello scontrino piuttosto che in funzione delle tre fondamentali componenti che regolano il pricing dei servizi di logistica e trasporto, ovvero: distanza (talvolta ex-post anche il tempo effettivo di percorrenza), peso, volume.

 

Altra prassi poco commendevole, l’utilizzo della manodopera, i cosiddetti rider. Praticamente, duole dirlo, ma si è assistito al caporalato del terziario. I nuovi braccianti essendo sovente disperati extracomunitari dotati di bicicletta e nulla più. A volte, notizie che poco hanno circolato, neanche vi era compenso per costoro: se il committente/destinatario lasciava la mancia, bene e sennò aspettiamo il prossimo. Altre storture riguardavano il servizio strettamente inteso: quale packaging? quale osservanza di quali norme igieniche? Sì, la delivery al tempo del Covid andava pressappoco così.

Delivery, cosa sta accadendo ora

E adesso? Come sovente accade quando un business emergente viene poco compreso e ad esso ci si approccia in ottica corsara piuttosto che progettandone sviluppo e ciclo di ciclo di vita, i corsari sono già spariti, chissà quanto preziosa è l’entità del bottino arraffato, sono rimasti gli imprenditori seri e, ne siamo ragionevolmente certi, presto si affacceranno sul propizio mercato altri soggetti. Definiamo propizio il mercato nonostante all’apparenza esso sembri declinante.

 

Il punto chiave è la comprensione di cosa sottende il servizio di delivery. Proviamo a dirla così: la delivery è quel servizio che mi consente, a me cliente, di rendere virtualmente sala del ristorante, il tinello di casa mia. Mise en place e attività connesse sono di mia pertinenza, approntamento delle pietanze da portare a tavola permangono di pertinenza della cucina del ristorante. Abbiamo solo allungato la distanza tra cucina e sala e abbiamo solo fatto a meno del personale di sala.

Delivery, il punto di vista del ristoratore

E il ristoratore? Qual è stato il paradigma del ristoratore avveduto? Che bella cosa! Amplio il mio canale di vendita, non più la sala in accezione stretta, bensì le sale dei clienti rimasti a casa loro. Che bella cosa, me lo dico ancora (io ristoratore): appronto in cucina quanto i clienti mi hanno chiesto scegliendo da offering per forza di cose non identico al menu presente in sede, risparmio i costi vivi di sala, la delivery è affidata a terzi e quindi non ho costi diretti (ma neanche ricavi impropri) e di conseguenza ritaro il mio pricing rendendolo differente da quello presente sul menu di sala. Appunto, così ha ragionato il ristoratore avveduto, che difatti adesso il servizio di delivery non solo non lo ha abbandonato, ma lo ha reso più efficiente grazie all’esperienza accumulata.

Delivery, chi è scomparso dalla scena della ristorazione?

Chi è scomparso? Il ristoratore corsaro, il caporale corsaro (dove per caporalato intendiamo l’indegno scenario dei braccianti del terziario di cui si è detto). Occhio ad un settore specifico. L’unico settore della ristorazione in confidenza con la delivery già da prima del Covid: la pizzeria.

 

Take away addirittura, per talune pizzerie era ed è l’unico servizio erogato, in assenza di sala e di personale, e la delivery quasi sempre effettuata con mezzi propri stante una situazione di fatto che rivela una distanza media tra forno e “sala del cliente” nell’ordine dell’unità (e non decine) di chilometri. Package ben studiato, atto a rispondere non solo alle norme igieniche ma anche alla necessità della temperatura adatta (chi apprezzerebbe una pizza fredda?), celerità di servizio.

Delivery, la selezione naturale

Un certo Darwin parlava di evoluzione della specie e di selezione naturale. È quanto sta avvenendo nel business della delivery. A fine mese, domenica 27 ottobre, ci tolgono una cosa legale, l’ora. Fuor di facezia, eccoci ai cinque mesi freddi e bui dell’autunno/inverno. Uscire da casa diverrà meno frequente di quanto lo sia stato nei mesi precedenti. La televisione e altri schermi vari, la biblioteca di casa e i piaceri conversari con gli amici che vengono a casa, diverranno attrattori di serena vita domestica, e però, ad un certo orario…una pizza? Ma sì, ma anche quel vitello tonnato dell’altra volta così buono e quel roast beef squisito? Sì, dai, ordiniamo! Uscire il sabato sera? E perché? Sono cose da movida che lasciamo ai giovani . . . riuniamoci a casa mia, chi porta il vino? Cibo no, nessuno. Si ordina e arriva a casa.

 

La delivery è uscita dalla fase corsara in cui ha fagocitato quanti hanno fatto indecoroso arrembaggio. Attualmente ha sua prospera vita, fuori dai riflettori dovuti alla novità, allorquando, tanto tacita quanto virtuosa, vige la pattuizione di attivo ruolo diligente, in chiave win-win-win, tra i tre attori: ristoratore (cucina e packaging) - organizzazione (trasporto door-to-door) - cliente (pagamento ordine - ricevimento ordine).

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Alberto Lupini


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