MU Dimsum, la fascinazione di una tradizione millenaria

In zona piazza della Repubblica, dal 2018 esiste un ristorante che punta sul raviolo cinese al vapore, che è in realtà una vera e propria esperienza culinaria con radici antichissime

14 ottobre 2022 | 11:37
di Guido Gabaldi

MU Dimsum è quel ristorante cinese che a Milano, in zona piazza Repubblica, dal 2018 punta sul dim sum, che forse nella coscienza collettiva si identifica col raviolo cinese al vapore. Non è così perché il concetto è più ampio: va riferito allo spuntino in genere, da godersi sorseggiando il tè, come secoli fa succedeva ai mercanti che percorrevano l’antica via della seta e si rifocillavano nelle sale da tè.

Mu Dim Sum, esperienza culinaria milanese 

Come che sia, l’esperienza culinaria proposta oggi a Milano da Suili Zhou, giovane imprenditrice cinese, spazia dal tipico Har Gau, raviolo cotto al vapore in pasta cristallo, ripieno di gamberi, allo Shao Mai classico, preparato con pasta all’uovo al vapore e ripieno di pollo, funghi e gamberi, senza trascurare lo Xiao long bao, con ripieno di carne di maiale biologico e brodo, i soffici bao (panini alla griglia o al vapore) ed i gustosi cannelloni di riso.

L’elenco delle altre delicatezze in carta al Mu Dimsum è piuttosto lungo, ed è interessante che vengano servite con il contributo del genio italiano, per così dire: l’obiettivo è conquistare gli ospiti (e i critici: il suo posto nella Guida Michelin già esiste) grazie alla grazia di Suili Zhou e ad un’équipe di professionisti in continua evoluzione - diretta oggi da Andrea Rosselli (Executive Chef) e Alessandro Berlanda (Sous chef e Pastry Chef).

Italiani e cinesi insieme nella squadra: dobbiamo dunque pensare al fusion? No, tanto per essere chiari, la tradizione è quella cinese/cantonese e Suili Zhou vigila occhiuta, ma i cuochi hanno licenza di introdurre qualche novità, ogni tanto; una reminiscenza un soffio un ingrediente che riporti a galla la loro esperienza di cucina internazionale. A patto che non vada a intaccare la cineseria artistica dell’insieme.

Peking Duck, un'icona culinaria 

Di sicuro non andranno a metter mano alla Peking Duck, l’icona culinaria del Celeste Impero, l’anatra alla pechinese la cui preparazione costituisce un rito a sé, paragonabile per malìa alla più famosa cerimonia del tè. Nel mese di Ottobre il piatto viene presentato alla stampa, per poter diventare un nuovo punto di riferimento della Milano che assaggia, frequenta i ristoranti, critica con competenza e talora con supponenza, decreta il successo o butta nel dimenticatoio.

Al trio Zhou-Rosselli- Berlanda sarà pur servito un anno di lavoro e un mezzo stormo di anatre per le sperimentazioni; ma alla fine il risultato, spoileriamo subito, è di quelli che affascinano. Sono tre i servizi che compongono una degustazione completa della Peking Duck Chef di MU Dimsum: si parte dal servizio più noto, in cui la protagonista è la pelle, particolarmente croccante, da accompagnare a verdure fresche, un pizzichino di zucchero e salsa a base di prugne fermentate, con cui farcire alcune leggere crespelle, preparate a mano ogni giorno. Si prosegue col secondo servizio, dedicato alla polpa, ripassata nel wok con peperoni e sedano, per finire con il terzo, le ossa fritte saltate con cipollotto.

L’anatra prescelta è di razza Pechino, con un’alta percentuale di grasso, dalla pelle bianchissima. L’animale pulito viene marinato in salamoia, per far penetrare il liquido in profondità e insaporire tutte le sue parti. Una volta asciugata, l’anatra viene gonfiata, una tecnica che permette alla pelle di separarsi dalla carne in modo tale che l’umidità di quest’ultima non interferisca con la croccantezza della prima. Arriviamo quindi alla creazione di un mix di farine, amidi, albume e acqua con cui Alessandro Berlanda spennella amorevolmente le sue Peking Duck prima di metterle ad asciugare in cella per diversi giorni. L’ultimo passaggio avviene in forno, ovviamente, al momento dell’ordine.

Vino e tè 

La cena di presentazione dell’ospite pennuto imperiale prevedeva l’accompagnamento di una melodia di vini ben pensata ma non cervellotica, orchestrata dal maître Egidio Giovannini e impreziosita dal buon costume di accogliere e accompagnare gli ospiti lungo tutto il percorso di degustazione: ma noi non ce ne andiamo senza te (è), diremmo con un facile calembour,  dato che il retroterra storico e culturale in cui ci siamo immersi prevede un posto d’onore per la cerimonia dedicata alla gloriosa bevanda. Tè nero, verde o bianco, selezionato personalmente da Suili Zhou di stagione in stagione con proposte che variano dai più intensi ai più delicati, dai tè di montagna con la tipica nota affumicata fino ai più profumati. Da MU Dimsum il rito dello yum cha (letteralmente “bere il tè”) è preso molto seriamente, con la sua gestualità, i tempi di attesa e il puro piacere della degustazione. Come da tradizione, l’infuso non è riservato all’apertura o alla chiusura del pasto ma grazie all’ampia collezione di varietà disponibili, ognuna caratterizzata da profumi e intensità diverse, si rivela come magnifico accompagnamento per l’intera degustazione.

I ritrovi all-you-can-eat, al limite del codice penale, e le mille contaminazioni più o meno pacchiane non sono riusciti a intaccare la fascinazione che la millenaria tradizione cinese sa esercitare su gourmet, viaggiatori del gusto, sperimentatori e semplici affamati:  questo locale milanese ne è la prova, perché sa porsi a distanza di sicurezza dal mangiare fine a sé stesso e delle mode orientaleggianti.

MU Dimsum
Via Aminto Caretto 3, 20124 Milano
Tel 338 3582658

 

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