L'universo pizza in Italia fa girare numeri da brivido. Le imprese con attività di pizzeria sfornano circa 8 milioni di pizze al giorno, che equivale a quasi 3 miliardi l'anno. Se si pensa che sulla terra siamo in 8 miliardi, nel nostro Paese in 365 giorni siamo in grado di dar da mangiare (bene) a quasi mezzo mondo. Tornando a noi, la filiera muove un giro d'affari di 30 miliardi di euro, una abbondante Legge di Bilancio. A monte quasi 130 mila esercizi e uno schieramento di 110 mila addetti che va al raddoppio nei fine settimana. Una farcitura di elementi che se non fosse realtà consolidata, sotto gli occhi di tutti e suffragata da dati ufficiali (Cna Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa), sembrerebbe frutto di un racconto di fantagastronomia.
Competizioni della pizza: alcune di ampio respiro, altre con il fiato corto
Un contesto denso di valori, ma che per la nostra natura campanilista si è frazionato all'inverosimile. Ecco allora lo sviluppo esponenziale di associazioni, accademie, circoli e club che riuniscono pizzaioli o promuovono una determinata ricetta-specialità. La conseguenza diretta di questo mosaico è stato il proliferare di concorsi di diversa caratura e prestigio. Alcuni davvero di ampio respiro, altri proprio con il fiato corto. Il risultato è che le competizioni sono troppe. D'accordo, siamo la patria del tipico regionale e le tipologie di pizza sono decine, ma il gareggiare su ogni fronte e sfumatura non fa bene al settore, anzi è sinonimo di disomogeneità.
La mancanza di unità del settore si evidenzia proprio dal variegato panorama di coppe, medaglie e attestati che arredano migliaia di pizzerie italiane. Per non parlare dei campionati del mondo, dei mondiali, dei supermaster, dei trofei assoluti, dei festival internazionali. Sono numerosi gli ottimi professionisti che, magari per la stessa categoria, sono in vetta al mondo nello stesso anno. Un podio assoluto che deve avere il più alto gradino con una superficie sufficiente ad accogliere più campioni, ugualmente titolati, ma in contesti, tempi e aree geografiche differenti. Tutti però nello stesso anno solare. Che confusione e che peccato.
Si richiede unione, ma la figura del pizzaiolo non esiste
Così il mondo pizza non dimostra la sua innegabile potenza, ma si banalizza e rischia di offrire un'immagine più da sagra che da red carpet. E poi ci si lamenta che la “rossa” non prende in considerazione le pizzerie. Si richiede quindi unione. Ma come è possibile quando la figura del pizzaiolo a livello istituzionale non è riconosciuta? Non esiste, di fatto. Negli istituti alberghieri non è ancora previsto un percorso dedicato. Il ruolo del pizzaiolo è di fondamentale importanza per promuovere l'arte della pizza nel mondo, troppo spesso interpretata e venduta all'italiana e non come italiana pura.
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E c'è chi ne mette in dubbio addirittura l'origine tributandosene la paternità. Vedi la penosa diatriba sulla “pizza nata in America”. Bene, tutti questi concorsi e campionati indeboliscono il settore invece di promuoverlo. Bisognerebbe fare fronte comune. Ma il singolo orticello spesso ha un peso maggiore del bene collettivo. Siamo fatti così: non abbiamo la cultura storica del Sistema Paese e il Sistema Pizza, come molti altri peraltro, ne è una evidente declinazione di settore.
Questo il quadro dalle tribune. Scendendo in campo, abbiamo voluto sentire il pensiero in merito di alcune figure di primo piano del mondo pizza. Per Giovanni Santarpia, Pizzeria Santarpia di Firenze, «c'è troppa carne al fuoco. Un panorama di manifestazioni che va a indebolire il settore. In seconda battuta, voglio mettere in evidenza il fatto che non ho mai voluto far parte di una giuria. Questo perché non mi piace valutare i colleghi. Una giornata no può capitare a tutti e so quanti sacrifici si fanno per esercitare al meglio questa professione. La mia è sempre stata una scelta etica».
Mondo pizza, competizioni come leve di marketing
A Napoli L'Antica Pizzeria Da Michele dal 1870 è storia nazionale e internazionale, dal momento che oggi si sviluppa con 25 insegne nel mondo e 20 in Italia in franchising e 5 a gestione diretta in Campania, più una sesta in arrivo. «Non apparteniamo ad alcuna associazione di categoria - spiega Alessandro Condurro, amministratore delegato del Gruppo e trisnipote di Salvatore, il capostipite - fatto salvo per Le Centenarie, che unisce le pizzerie napoletane in attività da almeno un secolo. Tutte le altre hanno il merito di focalizzare l'attenzione sulla pizza, ma in assoluto ritengo questo panorama di sigle un po' dispersivo. Far parte di un'associazione non fa per forza di una pizzeria una buona pizzeria. Per quanto riguarda gare, concorsi e campionati, ottimi in quanto mettono in primo piano la pizza e i pizzaioli, ma sono potenti leve di marketing per il mondo della produzione. Niente di male. C'è però il rischio di creare mostri di narcisismo tra chi conquista il podio».
Campione più deriva social, pessima somma, quindi. Pensiero, questo, confermato in Lombardia da Corrado Scaglione, che guida l'Enosteria Lipen a Triuggio (Monza Brianza). «Si vuole sempre più apparire e manca lo spirito di corpo. Il nostro è un mondo molto frazionato e riunire le persone è proprio difficile. Ne consegue che nascono premi e associazioni sempre diversi; un malo modo di essere pizzaiolo. Siamo troppo individualisti ed è necessario un confronto quotidiano».
Una testimonianza preziosa quella di Scaglione, dall'interno. Nel 2011 a Salsomaggiore Terme (Pr) ha conquistato il titolo di Campione del Mondo categoria Pizza napoletana Stg e il suo locale è il numero 219 dell'Associazione verace pizza napoletana.
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Alberto Lupini
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