Milano riparte dalle catene del food: gli immobili ci sono, ma l'offerta al cliente fa la differenza

Dopo il colpo subito dalla pandemia, la città torna ad animarsi. Protagoniste sono le catene del food retail di Ubri che, insieme a Engel & Völkers Italia, hanno presentato un report sulla ripresa del settore . A patto di cogliere le giuste opportunità in cui la differenza la fanno ambiente, digitale e materie prime di qualità

11 giugno 2021 | 05:00
di Nicola Grolla
Milano si sta riprendendo dal colpo della pandemia e lo fa a partire da uno dei settori che maggiormente ha determinato il successo del capoluogo lombardo: il food retail. Un connubio, quello fra cibo e immobiliare, al centro di un report realizzato da Ubri (Unione dei brand della ristorazione italiana) ed Engel & Völkers Italia che ha analizzato le diverse aree della città mettendo in luce, attraverso heat map e considerazioni descrittive le diverse opportunità di vie e incroci su cui insistono location quanto mai appetibili. Perché «il mercato non si è mai fermato, ha solo rallentato», ricorda Andrea Ponti, head of retail agency di E&V.



Lo shock del Covid: un'offerta sovradimensionata al blocco dei flussi

Una prospettiva condivisa anche da Tunde Pecsvari, titolare della catena Macha e membro di Ubri: «Milano è sicuramente una città che ha sofferto molto il lockdown. Anche più di altre piazze probabilmente perché oltre al suo pubblico di residenti locali contava anche un grande afflusso di persone, sia italiane che straniere, che venivano sia per business che per piacere. Con il Covid questo traffico si è bloccato e la città si è trovata a lavorare con dimensioni non più proporzionate. Detto ciò, le prospettive di ripresa sono ottime e siamo sulla buona strada sia per quanto riguarda la situazione vaccinale che come rinnovo dell’offerta».

Smart working? «Non è stata una catastrofe per le catene del food»

Fra le zone che hanno sofferto di più c’è sicuramente quella del centro storico, dove la vocazione turistica è particolarmente accentuata. Più resilienti, invece, i distretti del terziario dove, nonostante la retorica dello smart working a oltranza, è rimasta attiva una comunità che aveva la necessità di trovare un posto per la pausa pranzo: «Soprattutto nel periodo successivo al primo lockdown, le aziende del food retail hanno dato prova di grande inventiva. Chi è stato costretto a chiudere ha cercato di rimodellare il servizio grazie al servizio e all’asporto. Anche locali più tradizionali, come gli alimentari e le rosticcerie per esempio, hanno saputo cogliere la palla al balzo rivedendo il proprio menu e adattando le referenze alle nuove esigenze dei consumatori. Anche se, chiaramente, il colpo economico lo hanno subito tutti», precisa Ponti. A soffrire maggiormente sono stati i canali del travel (con le stazioni che senza treni e pendolari hanno visto calare dell’80% il proprio giro d’affari food retail) e dei centri commerciali (con riferimento in particolare a CityLife, lo shopping center di ultima generazione che ora è tornato a riempirsi sfruttando gli spazi esterni all’ombra delle tre torri). Mentre, per quanto riguarda il canale urbano, si è assistito al ritorno della prossimità.



Un trend che continua: la prossimità

Trend che continua ancora oggi: «C’è una grande richiesta per le location con vocazione di servizio nei pressi degli agglomerati residenziali. L’idea è quella di portare vicino alla gente, ai clienti il prodotto», afferma Ponti. Una sensibilità che deve al boom del delivery il suo successo. «Chi ha adottato questo servizio si è reso conto di tutti quegli aspetti collegati che, alla fine, impattano sulla scelta di una location piuttosto che un’altra. Gestione dei tempi, qualità finale del prodotto e del packaging sono dettagli a cui i clienti prestano sempre più attenzione tanto da “pesare” sulle scelte di sviluppo immobiliare delle catene. Se abito in una determinata zona e voglio una pizza di un determinato brand, il fatto che lo store sia situato a 5 minuti da casa piuttosto che 20 fa la differenza sulla scelta finale», commenta Ponti.  

Ambiente, digitale e qualità delle materie prime i pilastri su cui ripartire

Eppure, con l’allentamento delle restrizioni, la sbornia da delivery sta lasciando spazio a un’altra infatuazione: quelle per il punto vendita. Meglio se al chiuso (così da evitare gli acquazzoni estivi e il caldo torrido della bella stagione in città). «Ambiente e servizio sono due degli elementi su cui i food retailer devono puntare per agganciare la ripresa dei consumi – afferma Pecsvari – Ora c’è voglia di uscire e ritrovarsi in ambienti comodi e sicuri dove l’accoglienza e i dettagli del layout del locale devono spingere il cliente a trattenersi il più possibile. Solo così si riuscirà a capitalizzare altri due driver della ripresa: l’engagement digitale con il cliente e una proposta salutare, con materie prime di qualità».



Canoni e disponibilità immobiliare, opportunità da cogliere in fretta

Certo, a patto di saper cogliere le giuste opportunità di sviluppo. «A livello di canoni non mi sembra siano partiti i saldi, ma c’è disponibilità di spazi che prima, nel 2019, potevamo solo immaginare. Questo non vuol dire che costino meno, ma se prima era una vera e propria caccia al tesoro, ora c’è uno spazio di opportunità che bisogna cogliere velocemente. La mia sensazione, infatti, è che molto presto il mercato di Milano torni ai livelli di competizione pre-covid. Chi, nel frattempo, sarà riuscito a posizionarsi al meglio ripartirà con una marcia in più nel momento in cui i flussi torneranno su livelli consistenti», conclude Pecsvari.  

Per consultare il report completo clicca qui.



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Alberto Lupini


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