Manca il personale, stagione a rischio: fisco e formazione per salvare il turismo
Nel settore turistico mancano 380mila lavoratori, proprio mentre l’Italia torna ad essere una delle mete preferite dai turisti di tutto il mondo. Tocca alle istituzioni fare il primo passo e riqualificare le professioni
Il numero fa impressione: fra camerieri, cuochi, pizzaioli, bagnini, pasticceri o guide, nel mondo del turismo mancano 380mila addetti. L’allarme era stato lanciato già un anno fa, quando alla ripartenza estiva ci si rese conto che tanti professionisti del comparto avevano cambiato lavoro durante la pandemia e non intendevano tornare nei ristoranti o negli hotel. Alla fine, però, poco o niente è stato fatto e oggi, in pieno boom di presenze nelle città d’arte come sulle spiagge o in montagna, rischiamo di pagare un prezzo altissimo con un calo inevitabile dei servizi. Davvero un disastro annunciato per aziende che rappresentano da sole il 15% del Pil, e con l’indotto quasi un terzo dell’economia italiana.
C’è chi, a mali estremi, trasforma il suo hotel in un b&b, illudendosi che esternalizzare il lavoro possa essere una soluzione. O chi crede, spinto magari da meritevoli obiettivi umanitari, che si possano sostituire persone con esperienza con i profughi ucraini o nordafricani senza nessuna preparazione specifica.
Servono interventi fiscali e previdenziali per favorire un aumento degli stipendi
Insomma, quand’anche si riuscisse a tamponare in qualche misura, anche con giovani studenti o pensionati, resta il fatto che all’appuntamento con la stagione estiva le aziende del turismo arrivano con seri problemi di gestione e col rischio di non riuscire a soddisfare la domanda. Eppure si sarebbe potuto fare molte cose nei mesi scorsi, a partire da interventi fiscali e previdenziali per favorire un aumento degli stipendi di addetti che, non a caso, a parità di reddito, ma con serate e fine settimana liberi, hanno preferito diventare magazzinieri...
Bisogna garantire una preparazione e una motivazione adeguate
Il tutto senza dimenticare che ci sono due esigenze diverse: da un lato coprire periodi o picchi di affluenza (e su questo la situazione era già precipitata da quando, in maniera folle, la politica aveva cancellato i voucher), dall’altro lato garantire una preparazione e una motivazione adeguate al personale fisso.
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Certo alla base di questa disaffezione verso il mondo dell’Horeca ci possono essere turni di lavoro pesanti o disillusioni dopo aver scoperto che la realtà non è quella idealizzata da MasterChef o dai cuochi star della tv come Cracco. E c’è pure un sistema formativo assolutamente inadeguato o l’aver quasi consolidato il fenomeno del lavoro in nero attraverso il “disincentivo” del reddito di cittadinanza. Per non parlare della mancanza di spirito di sacrificio e di voglia di imparare che si riscontra a volte in alcuni giovani. Di tutto ciò ci hanno parlato tutti i rappresentanti del comparto nell’inchiesta che abbiamo svolto nelle scorse settimane, ma alla base resta l’urgenza assoluta di riqualificare questi lavori (ridandogli status, motivazioni e piacere di lavorare) e in questa fase tocca alle istituzioni fare il primo passo rinunciando a parte delle imposte a carico delle aziende per trasferirle ai dipendenti.
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Alberto Lupini