Léveillé, chef “anti-divo”, si racconta «Sono un francese… che cucina italiano»
05 novembre 2015 | 14:31
di Emanuela T. Cavalca
Philippe Léveillé è sicuramente un anti-divo, nonostante i successi e le stelle Michelin 2 a Concesio e una a Hong Kong, si presenta al pubblico senza troppi fronzoli. Attraverso queste pagine ripercorre le tappe della sua vita professionale dall’infanzia in Bretagna, la decisione di diventare chef, la prestigiosa scuola alberghiera di Saumur e poi le peregrinazioni culinarie in giro per il mondo. Léveillé ci trasporta con la fantasia in tre continenti: cuciniamo in grandi alberghi e ristoranti, su yacht e barche a vela, in Somalia, Etiopia e Yemen per la Croce Rossa e in Italia. Nonostante il burro spesso sia messo all’indice dai medici, Philippe non lo dimentica mai. D’altra parte come si fa a rinnegare le proprie origini?
«Me lo faccio arrivare tutte le settimane dalla Normandia, dove ho ancora tutta la mia famiglia - racconta Léveillé - là dove le mucche vivono all’aperto, si ottiene un burro morbido, dal colore giallo intenso e profumato. Qui la tecnica produttrice è diversa, non si centrifuga, ma si raccoglie in superficie. Impossibile cucinare con un burro diverso, anche se di malga, ha sempre un retrogusto di formaggio… Il burro è ciò che rimane della mia terra, poi dall’Italia sono passato in Cina, dove ho aperto un ristorante a Hong Kong e Shangai… Insomma mi considero un cittadino felice, un francese… che cucina italiano. Ho nel cuore l’Italia, tanto è vero che ho portato con successo il mio risotto Miramonti anche in Oriente, nonostante pareri contrari».
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Alberto Lupini