Non si ferma la crisi che ormai da qualche mese sta investendo l'intero comparto lattiero e caseario. Prima ci si è messo il Covid e adesso il caro energia e l'inflazione che ha fatto schizzare alle stelle il costo delle materie prime. Situazione che si è poi ulteriormente aggravata a causa del conflitto tra Russia e Ucraina che ha fatto schizzare alle stelle il prezzo del mais e della soia utilizzati come cibo per gli allevamenti di bestiame. Il risultato è che il latte e i suoi derivati sono pagati troppo poco a fronte del drastico aumento dei costi di produzione. Se la situazione non cambia, Cia, la Confederazione italiana agricoltori, ha stimato che nei prossimi mesi potrebbero saltare 43mila di stalle. Di fatti nei giorni scorsi c'è stata una grande manifestazione di Coldiretti, dove a sfilare con gli allevatori c'era anche la mucca Giustina, chiamata così perché i produttori chiedono alle istituzioni un giusto compenso per il latte prodotto. La situazione vale anche per alcune aziende che si occupano della trasformazione, come quelle che con il latte ci fanno i formaggi. Da tempo chiedono infatti alla Grande distribuzione di riconoscere un prezzo più alto per i loro prodotti, ma hanno riferito di avere ricevuto in cambio soltanto briciole. C'è però da fare un distinguo, il latte utilizzato per produrre prodotti a denominazione (Dop), come il Parmigiano Reggiano, sta reggendo l'urto. Le aziende produttrici, hanno infatti ancora margini di guadagno. Nel frattempo c'è anche chi opta per scelte "autarchiche". Coldiretti Toscana e Confcommercio, per garantire una giusta remunerazione agli allevatori hanno siglato un accordo nel quale è scritto che d'ora in avanti nei bar, nelle gelaterie e nelle pasticcerie della Regione verrà utilizzato soltanto latte "made in Toscana".
Latte sottocosto: gli allevatori chiedono 3 centesimi una tantum
In base all'ultimo accordo di filiera, il prezzo alla stalla per il latte risaliva a 41 centesimi al litro; ma a detta degli stessi allevatori, questo non solo è stato considerato insufficiente rispetto agli aumenti del costo di produzioni, ma fino a febbraio non è stato nemmeno rispettato. «Da novembre a febbraio abbiamo ricevuto per il nostro latte dai 38 ai 39 centesimi al litro a fronte dei 41 pattuiti - ha spiegato Giuseppe Fumagalli, allevatore di Trezzo sull'Adda (ha duecento capi di bestiame che producono il latte per il consorzio del Gorgonzola Dop) e presidente dell'associazione di categoria Terra Viva Lombardia - Solo adesso stiamo ricevendo i 41 centesimi pattuiti, ma in realtà, a causa dell'aumento dei costi gli allevatori stanno continuando a produrre in perdita. Il prezzo ideale sarebbe infatti di 50 centesimi al litro per permetterci di ricevere qualche centesimo di guadagno. Gli allevamenti lombardi, che sono tra i principali produttori di latte, visto che la Regione garantisce il 40% della produzione nazionale, si stanno quindi pesantemente indebitando. Se non ci sarà un'azione strutturale di supporto, molti si vedranno costretti a chiudere le stalle non riuscendo a far fronte ai costi e agli aumenti di carburanti, sementi e fertilizzanti. Io stesso in un mese ho visto raddoppiare la bolletta, passata da 2.500 a 5.000 euro. Per questo chiediamo un ulteriore sostegno economico da parte del ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli: un contributo una tantum pari a tre centesimi per ogni litro di latte prodotto da gennaio 2021 a gennaio 2022. Solo così sarà possibile dare respiro immediato agli allevatori, nell'attesa che la situazione si sblocchi e il settore riesca a trovare nuovi sviluppi».
Anche le aziende di trasformazione chiedono aiuto
L'aumento dell'energia e delle materie prime si è avuto anche nelle aziende che trasformano il latte. È il caso di Igor Gorgonzola, come ha confermato l'amministratore delegato Fabio Leonardi, tra l'altro vicepresidente del Consorzio Gorgonzola e consigliere delegato per Export e internazionalizzazione di Assolatte (l'associazione italiana lattiero casearia). «Siamo stati noi trasformatori; o meglio è stato il mercato, a concedere agli allevatori il recente aumento del costo del latte - ha spiegato - Il mercato italiano infatti è in salute e c'è grande richiesta di latte; l'Italia sta raggiungendo l'autosufficienza, mentre nei paesi limitrofi non è così». Ma la situazione per l'italia resta comunque deficitaria. Gli allevatori non sono infatti gli unici ad avere avuto un drastico aumento dei costi e delle materie prime. «Le nostre sono considerate aziende energivore - ha ripreso Leonardi - Ci siamo visti triplicare la bolletta del gas e raddoppiare quella energetica. Abbiamo quindi chiesto alla Gdo, in due differenti periodi nel corso di pochi mesi, di corrisponderci un aumento dei costi pari al 15% rispetto all'attuale. L'aumento c'è stato, ma è stato soltanto esiguo: la percentuale, in base ai prodotti, oscilla tra il 3 e il 5%. La Gdo ci ha risposto dicendo che non poteva darci di più per non far pesare poi troppo al consumatore il peso dell'inflazione e del caro energia. Ma così le nostre aziende sono a rischio. Se le grandi catene non ci riconosceranno più del prezzo dell'inflazione qualcuno sarà costretto a chiudere, soprattutto le imprese meno strutturate e patrimonializzate».
Il caso "autarchico" della Toscana
In attesa che dal Governo arrivi un aiuto c'è anche chi ha pensato a trovare soluzioni alternative nel breve periodo. È il caso della Toscana, dove nei giorni scorsi la sezione regionale di Coldiretti e quella di Confcommercio hanno siglato uno storico accordo, denominato "salva latte". D'ora in avanti, infatti, il latte che si utilizzerà nei bar, nelle gelaterie e nelle pasticcerie della Regione dovrà essere rigorosamente quello prodotto dagli allevamenti della Toscana. La firma arriva dopo che precedentemente gli imprenditori agricoli e gli allevatori erano scesi nelle piazze e nelle strade della regione per chiedere un prezzo del latte congruo agli sforzi per produrlo.
Parmigiano Reggiano fa il punto
Invece per Riccardo Deserti, direttore generale del Consorzio Parmigiano Reggiano è necessario anzitutto fare una distinzione tra il cosiddetto latte comodity, utilizzato per alcune tipologie di prodotti come lo yogurt e il latte fresco e quello che invece viene utilizzato per produrre prodotti a denominazione (Dop). «Nel primo caso si fa fatica a riversare sui prodotti l'immediato aumento dei costi, come è avvenuto in questo caso con il caro energia e delle materie prime - ha spiegato - Viceversa è più facile per i prodotti a base di latte commodity, venduto di norma a quaranta euro a quintale, che hanno una buona resa sul mercato, ottenere buoni margini di guadagno. Invece, per il latte che viene utilizzato per i prodotti a denominazione, che parte quindi da un disciplinare molto più rigido e che già viene venduto tra i 75 e gli 80 euro al quintale, è più facile assorbire questi sbalzi improvvisi, riducendo sebbene in parte i margini di guadagno. La vera sfida è quindi per chi usa il latte per produrre prodotti a denominazione è di valorizzare al meglio il proprio prodotto, perchè altrimenti, se poi il prezzo del latte non è congruo, si rischia di soccombere».
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Alberto Lupini
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