Una guida per ghermirli, una gabella per domarli e nella lista inserirli. Capita - e non sono casi isolati - che le guide del settore enogastronomico vengano stilate più in base alla fattura contabile che non alla fattura di piatti o bottiglie. L’ultima denuncia mediatica arriva nei confronti di Forbes e della guida sui “100 ristoranti&co innovativi 2025”. Una selezione “ibrida” in cui merito e bonifico vanno spesso fianco a fianco senza che sia chiaro quale dei due prevalga sull’altro. E che inevitabilmente mette in difficoltà un sistema che già deve fare i conti con la difficoltà di raccontarsi e che vedeva nelle guide un modo per accreditarsi nei confronti di colleghi, investitori e clienti. Ma il caso Forbes solleva il velo su una gestione delle liste opaca, un Hunger Games dell’enogastronomia che sarebbe meglio evitare, fissando criteri trasparenti o, meglio, evitando di fare confronti facili e pronti all’uso.
Guide a pagamento, il caso Forbes
Andando con ordine, l’ultimo caso in questo senso arriva da Forbes, rivista nota a livello globale per stilare liste di eccellenza, dalla leadership imprenditoriale al lifestyle. Secondo quanto svelato da Selvaggia Lucarelli su Il Fatto Quotidiano, infatti, nella guida “100 ristoranti&co innovativi 2025”, realizzata in collaborazione con Il Forchettiere e curata dal direttore dello stesso Marco Gemelli, alcuni locali si sono visti recapitare una richiesta di 2.500 più Iva (ma passibile di sconto) per essere inseriti nell’elenco. L’invito arrivava via email, con press kit (uno strumento di presentazione della proposta, ndr) e listino prezzi.
Secondo quanto riportato dal Fatto, Gemelli ha ammesso che «più della metà» dei ristoranti in guida ha pagato per esserci. Non tutti, però: i “grandi nomi” vengono selezionati per dare credibilità alla lista e per incentivare gli altri a pagare il dovuto per comparire al loro fianco. Il direttore del Forchettiere si è difeso dicendo che la proposta è stata mandata solo a ristoranti selezionati. Ma non tutti i locali scelti sono entrati nella guida, specialmente quando non è stato versato il richiesto.
Guide a pagamento, una questione di trasparenza
A complicare ulteriormente il quadro, si legge sempre sul quotidiano, c’è il fatto che Gemelli lavori anche come ufficio stampa per alcuni dei ristoranti selezionati. E se nessuno in questa sede si permette di definire immeritevoli della menzione le suddette attività, rimane perlomeno una questione di opportunità, specialmente se non palesata. Così come, da parte di Forbes che ha commissionato attraverso la propria concessionaria di pubblicità l’inserto, sarebbe stato lecito aspettarsi maggiore trasparenza sulla natura di questa selezione.
Il lettore, infatti, è naturalmente portato a credere - in gradi sempre maggiori a seconda della credibilità o notorietà della testata che le diffonde - che liste, elenchi o guide siano frutto di una valutazione esclusivamente di merito e non di credito. E quando, accanto (o al posto, a seconda dei casi) di valutazioni su prodotti e proposte enogastronomiche si inserisce anche un criterio economico è doveroso informare in modo chiaro ed esplicito. E questo vale tanto per bar e ristoranti, quanto per vini, birre e distillati.
Guide a pagamento, come raccontare l’enogastronomia
I migliori ristoranti, piuttosto che i migliori vini, rimane una formula semplice e accattivante, capace di correre veloce sui social fino a diventare - in alcuni casi - virale. Si tratta, però, non solo di una riduzione di complessità esagerata, ma anche di veicolare un messaggio sbagliato, oltre a poter generare inutili tensioni tra operatori del settore in un momento in cui il comparto dovrebbe fare rete per affrontare sfide comuni come quella di adottare una politica dei prezzi che tenga conto delle esigenze - a livello di costi e legittimi margini di guadagno - di ristoratori e produttori e dei consumatori, alle prese con un potere di acquisto sempre più basso.
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E l’immediatezza del messaggio di guide, liste e classifiche - specialmente laddove non sostenute da criteri chiari - rischia di non raccontare la complessità di un mondo che, per usare le parole di Aldo Cursano, vicepresidente vicario della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), che, parlando della crescente ritrosia dei ristoranti a partecipare a certi format televisivi, ha invece bisogno di potersi raccontare con tempi e modi più profondi: «Esiste una distinzione netta tra il “fast food” e lo “slow food”: l’esperienza di ristorazione autentica si apprezza meglio con calma, in modo attento e consapevole, e non si adatta facilmente a certi strumenti mediatici che tendono a sintetizzare e, talvolta, a confondere invece di chiarire». Un discorso che si potrebbe applicare anche alle guide.
Guide a pagamento, una selezione che non aiuta
Sarebbe quindi il caso di raccontare il mondo, variegato e complesso, dell’enogastronomia in modo differente, evitando di fare selezioni, specialmente se non basate su criteri di merito e soprattutto definiti. Se va a discredito non solo dell’editoria di settore, ma anche delle attività stesse, proporre guide basate - anche o esclusivamente - su un criterio economico, anche selezionare in modo critico ristoranti e cantine rischia di alimentare il meccanismo per cui l’eccellenza o l’originalità di un’attività, si declinano solo all’interno di una guida o di una selezione, laddove invece la ricchezza italiana in ambito enogastronomico non può essere raccontata solo attraverso questi strumenti che non riescono - per loro natura - a tenere conto della complessità e della vastità di un mondo che rappresenta uno degli asset strategici del nostro Paese. L’obiettivo, che Italia a Tavola persegue da sempre, è invece proprio riuscire a dare voce a questo mondo, senza creare una competizione che più che sterile rischia di diventare dannosa, ma raccontando al contrario un panorama ricco e pieno di eccellenze, ognuna con la propria specificità.
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Alberto Lupini
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