L'Italia si affida a “SuperMario” alla ricerca di fiducia e ottimismo
Occorre ridare certezze a cittadini e imprese dopo il barcamenarsi degli ultimi mesi. Il turismo aspetta serietà e la giusta attenzione. I soldi del Recovery Fund sono "di tutti" e sono debiti che dovremo ripagare. Basta demagogia o assistenzialismo, che non aiutano la ripresa. I partiti alla prova dell'unità
03 febbraio 2021 | 16:59
di Alberto Lupini
È però con questa palude, fatta anche di trasformismo e incoerenza (dai populisti ai sovranisti, passando per gli immancabili “centristi” buoni per tutte le stagioni…) che Draghi dovrà fare i conti. E qui non si tratta solo di fare quadrare i bilanci o garantire lo spread: c’è da mettere le fondamenta di quella nuova Italia che dovrà, con fatica, ricostruirsi e tentare la ripresa non appena usciremo (perché comunque ne usciremo) dal tunnel della pandemia. Magari restituendo fiducia a quanti - baristi, ristoratori e albergatori in primis - si sono sentiti ingiustamente dimenticati o, peggio, puniti, dai go and stop decisi da Conte.
Mario Draghi in versione "SuperMario"
E ci sono da usare con serietà e consapevolezza i prestiti europei (da rimborsare) del Recovery Fund, che sono soldi di tutti gli italiani e che tutti gli italiani dovranno ripagare. E proprio per questo devono essere impiegati con oculatezza e condivisione di tutti, e non certo gestiti nel segreto del Palazzo come volevano fare Conte e i ragazzini di Grillo che da quasi 3 anni tengono in scacco il Paese coi loro giri di valzer su ogni problema. E chiedendo attenzione al mondo del turismo è probabile che per senso della realtà Draghi possa essere deciso a investire per sostenere un comparto a cui gira attorno oltre un terzo del Pil nazionale e che il Governo uscente aveva totalmente dimenticato.
Su cosa fare per l’Italia, come pochi Mario Draghi sembra da tempo avere le idee chiare. A marzo, quando quasi nessuno aveva ancora capito che disastro avrebbe causato il Covid, aveva subito avvertito che avremmo dovuto affrontare una «tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche». E contro le idee prevalenti dei dirigenti europei, attenti alle più minute percentuali dei rapporti deficit/pil, aveva detto che sarebbe spettato allo Stato e alle banche intervenire in maniera «forte e veloce» per evitare ora che una «profonda recessione», che giudicava «inevitabile», si trasformasse in una «depressione prolungata» causata dai «danni irreversibili di una pletora di bancarotte». Come dire: si devono usare soldi pubblici, purché investiti per creare sviluppo.
Uno scenario che oggi, a quasi un anno di distanza, toccherà a lui affrontare per portarci fuori dalla tempesta, in acque tranquille. E se c’è qualcuno che lo può fare con mano ferma e senso delle istituzioni è proprio Draghi, che non starà certo a barcamenarsi fra i capricci di Renzi o le sparate di Di Battista. E se ci saranno le condizioni per riaprire del tutto bar e ristoranti c’è da scommettere che non li terrà chiusi per nascondere i mancati interventi sui trasporti e gli errori dei banchi a rotelle o dei monopattini che tanto piacevano ai ministri giallo-rossi.
Ciò che serve all’Italia non è appannaggio della destra o della sinistra, ma del buon senso. Ed è forse tempo che dalla politica venga uno scatto e una dimostrazione, anche se tardiva, di responsabilità. Incaricando Draghi, Mattarella sembra avere offerto ai politici l’occasione di riscattarsi. Fino a ieri abbiamo assistito ad un attaccamento alle poltrone senza pudore, ora vediamo se penseranno davvero al bene comune.
All’Italia in questo momento serve una guida certa, un governo autorevole e inattaccabile sul piano della competenza e dell’affidabilità internazionale. Draghi nei mesi scorsi era stato il punto di riferimento in Europa per piegare il partito dei “frugali” che non volevano impiegare risorse pubbliche per salvare le economie dei vari Paesi.
Da keinesiano contemporaneo Draghi ha invece sempre puntato sul ruolo dello Stato per salvare imprese, posti di lavoro e redditi. Perché ritiene più pericolosa la recessione che un indebitamento per mantenere in vita il sistema economico. Cancellare i debiti delle aziende per non perdere quote del Pil è un altro dei suoi punti fermi, così come lo è l’opposizione a forme di assistenzialismo o mance elettorali come il reddito di cittadinanza. E da questo punto di vista Draghi non sarà certo un Mario Monti 2: oggi non è tempo di tagli, ma di riforme vere.
E non a caso l’unico a scendere in campo contro Draghi oggi è il padre del populismo demagogico, quel Beppe Grillo che fino all’ultimo vorrebbe immolare l’Italia sull’altare della beatificazione di Giuseppe Conte che, con tutto il rispetto, ha fatto il suo tempo. Ma del resto il manifesto ideologico del comico era la decrescita felice, che il Covid ci sta regalando in tutta la sua cruda realtà di infelicità generale. E contro questa visione puritana e grigia Draghi può guidare una reazione forte per guardare con ottimismo al futuro e tornare magari a frequentare al più presto ristoranti e hotel.
E chissà che proprio la pregiudiziale opposizione dei 5 stelle (in caduta libera in tutti i sondaggi elettorali) non sia un segnale in positivo per spingere gli altri partiti, a destra come a sinistra, a tentare un percorso unitario per vincere la pandemia e rilanciare l’Italia.
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Alberto Lupini