Da quanto il Presidente Macron ha annunciato l’adozione del green pass in Francia come strumento per incentivare il processo di vaccinazione, nel nostro Paese è stato un crescendo di discussioni, più o meno serie, di come e quando applicarlo anche da noi.
Come di consueto, il dibattito è stato molto partecipato, quasi calcistico, ricco di pathos fra chi è a favore e chi invece, la minoranza, contrario. Sono emerse le paure irrazionali, che caratterizzano ogni essere umano, gli interessi particolari, le ambizioni personali di chi, almeno per una sera, ritiene di avere la verità rivelata, se non in mente, almeno in tasca.
Gran vociare di virologi in TV, di tuttologi, buoni per ogni stagione e di rappresentanti o sedicenti tali, in ogni angolo illuminato da una telecamera.
Eppure. Eppure, tutto questo gran vociare mi ha riportato indietro nel tempo, all’inizio della mia carriera quando chiesi ad un vecchio Maestro, uno di quelli che ragionava a lungo prima di rispondere, come mai leggesse giornali di qualche giorno addietro e solo di sfuggita quelli del giorno stesso.
Mi disse, “Ragazzo vedi, nei giornali di oggi trovi le intenzioni, in quelli passati la coerenza”. Ammetto che quel giorno lo guardai incuriosito e nell’ingenuità dei vent’anni, non capii fino in fondo cosa volesse dirmi.
Ma oggi no, ci ho messo un bel po’, ma ci sono arrivato anche io.
Si, perché a leggere i giornali e le dichiarazioni a mezzo stampa di qualche giorno fa, il Green Pass lo volevano proprio tutte le categorie, nessuna esclusa. Mancavano solo l’Associazione dei rigattieri dell’Isola che non c’è e ogni associazione, anche la più insignificante, pontificava sull’importanza di adottarlo al grido “dobbiamo aumentare le vaccinazioni per uscire dalla pandemia”. Opinione non solo condivisibile, ma corretta e da sostenere, nell’interesse generale.
Troppe eccezioni e distinguo
Peccato però che alla prova dei fatti scattano i “si, ma però”, “non avete considerato che”. La sindrome del Nimby “Not in my backyard”, non nel mio giardino, ha colpito ancora.
Il sostegno al Green Pass è diventato un sostegno “purchè non si applichi alla mia categoria”. Un po’ come le tante troppe riforme mancate di questo Paese. Le vogliamo tutti, a partire da quelle che non toccano i nostri interessi.
Il virus non sceglie fra treni o metro, fra ristoranti e uffici
E così fra un virus che circola solo sui treni a lunga percorrenza, ma non sulla metrò, o una pandemia rischiosa solo al ristorante al chiuso, ma non nei luoghi di lavoro, dove di mascherine non se ne vede l’ombra, a pagare il conto di questa ennesima scelta discriminatoria saranno sempre e praticamente solo, la ristorazione e l’intrattenimento.
Ma noi non molliamo
Vittimismo? Affatto, è più corretto chiamarla consapevolezza. Consapevolezza che c’è ancora molta strada da fare per far comprendere ai decisori politici che questo è un settore economico fatto di centinaia di migliaia di operatori, con oltre un milione di lavoratori occupati, con i suoi conti economici, il suo dare e il suo avere. Un settore economico ricercato da milioni di visitatori stranieri, che evidentemente gli riservano attenzioni maggiori di quanto fanno i rappresentanti istituzionali e fondamentale per la filiera agroalimentare di questo Paese. Noi non molliamo, continueremo a lavorare rimboccandoci le maniche, sia perché è l’unica cosa che sappiamo fare, sia perché a differenza di altri che parlano, siamo ancora una volta fra i pochi che si assumono responsabilmente e concretamente l’onere di garantire che il Paese e le nostre imprese non ripiombino in una stagione di chiusure che non può nè deve ripetersi.
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Alberto Lupini
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