Kentucky Fried Chicken, o semplicemente Kfc per i "più colti", vuole raddoppiare il fatturato in Italia, superando i 330 milioni di euro entro tre anni. Centinaia di nuovi ristoranti, decine di milioni da investire: un piano che racconta molto più di una semplice strategia aziendale. Perché sì, è la fotografia di un Paese che si lascia sedurre dal cibo veloce e standardizzato, senza badare troppo a tutto ciò che, a parole, difende con orgoglio.
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Il boom del fast food in Italia
Se c'è un Paese nel mondo che ha fatto del buon cibo un vanto quasi identitario, quello è l'Italia. Eppure, accanto ai ristoranti che annaspano, proliferano le catene di fast food americane, che trovano terreno fertile nelle città e persino nei centri più piccoli (sono ormai più di mille i locali in Italia). McDonald's, Kfc, appunto, Burger King, Five Guys e, a breve, anche Popeyes: è un assedio che cresce a vista d'occhio, mentre noi continuiamo a ripeterci e a ricordare che “la dieta mediterranea è la migliore del mondo”.
Il fatto, però, è che i dati mostrano un'altra realtà. Consumiamo sempre più pasti in catena, cercando velocità e convenienza. E così, il fast food non è più soltanto una moda importata, ma un nuovo modo di mangiare che piace a una fascia enorme di italiani, specialmente i più giovani (ricordiamo che quasi il 28% delle persone tra i 18 e i 34 anni mangia junk food almeno una volta a settimana). Bastano pochi euro, un vassoio in mano e un pasto pronto in tre minuti: un modello che intercetta la fretta delle nostre giornate e la voglia di non pensare troppo al contenuto di ciò che mettiamo sotto i denti.
Cosa perdiamo con la comodità del fast food
Intendiamoci: non serve demonizzare il pollo fritto o il panino iper-confezionato. Il punto è capire quanto ci stiamo allontanando da quelle radici culinarie che vantiamo in ogni brochure turistica. Siamo talmente presi dalla comodità da trascurare intere tradizioni regionali fatte di piatti semplici, ingredienti genuini e un rapporto quasi sacrale con la tavola. Proviamo, quindi, per un attimo, a guardare oltre la patina luccicante del marketing: l'esplosione del fast food porta con sé un modello produttivo e di consumo che non è solo questione di grassi e calorie. Significa filiere lunghe, carni spesso allevate in modo intensivo, quintali di packaging da smaltire e un messaggio di cibo-merce, pronto all'uso, da consumare e dimenticare in fretta.
E mentre i giganti del pollo fritto annunciano cifre da capogiro, i ristoranti tradizionali faticano, le botteghe chiudono, e noi perdiamo un pezzo dopo l'altro della nostra identità gastronomica. Paradossalmente, oggi ci preoccupiamo delle farine di insetti, ma per molti non è un problema ingurgitare patatine e beveroni iperzuccherati a ripetizione. Viviamo una strana schizofrenia: difendiamo la cucina italiana a parole, ma poi abbracciamo con entusiasmo tutto ciò che arriva dall'esterno, soprattutto se veloce, comodo e strapubblicizzato.
Il fast food e le conseguenze sulla salute
Senza dimenticare, poi, che una dieta povera di nutrienti e troppo ricca di grassi, sale e zuccheri può compromettere il benessere generale, con conseguenze negative soprattutto per l'equilibrio della flora intestinale. Parola di Luigi Coppola, docente di Nutrizione clinica e dietetica applicata all'Università del Sannio: «È ormai un'evidenza scientifica che il trait d'union tra la predisposizione a sviluppare determinate malattie e la manifestazione clinica delle stesse sia spesso rappresentato dal microbiota intestinale». In poche parole, una cattiva alimentazione, unitamente a stress e tossine emotive, può trasformare il microbiota in un nemico piuttosto che in un alleato della salute, esponendoci al rischio di patologie.
Insomma, forse è arrivato il momento di chiederci se vogliamo davvero diventare l'ennesimo capitolo della “fast food nation”. Non si tratta di nostalgia fine a se stessa: è una questione di scelta. Vogliamo ancora riconoscerci in piatti e sapori che hanno contribuito a formare la nostra cultura, o preferiamo seguire l'onda del cibo globale, uguale a sé stesso in ogni angolo del pianeta? Per ora, Kfc e soci paiono avere la meglio, e il rischio è che, tra un boccone e l'altro, ci dimentichiamo del perché amavamo definirci la terra del buon cibo.
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Alberto Lupini
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