Inflazione e buoni pasto: pausa pranzo sempre più cara, attesa la detassazione a 10€

L'inflazione ha determinato un calo del potere di acquisto dei buoni pasto, sempre più insufficienti per coprire il costo del pranzo. Si attende la detassazione da 8 a 10 euro grazie al disegno di legge della senatrice Paola Mancini . I ticket possono essere erogati anche in smart working e in ferie, secondo la Cassazione, ma quest'ultimo scenario potrebbe rivoluzionare la situazione

29 ottobre 2024 | 05:00

Il costo medio di una pausa pranzo in Italia è aumentato negli anni, principalmente a causa dell'inflazione: secondo una ricerca BVA Doxa si aggira in particolare oggi intorno agli 11 euro. I prezzi medi sono ad esempio di 8,10 euro per un panino con bevanda e caffè, di 9,80 ero per un primo piatto con bevanda e caffè e di 11,60 euro per un secondo piatto. Un menu completo può toccare i 15 euro. Di contro il valore medio del buono pasto si attesta invece intorno ai 6,75 euro, una cifra che varia a seconda del territorio e delle dimensioni dell'azienda, risultando spesso insufficiente a coprire il costo reale della pausa pranzo.

Questa situazione ha trasformato la pausa pranzo da un momento di relax accessibile a tutti a una spesa che richiede un'attenta valutazione economica da parte dei lavoratori. Nonostante non copra completamente le esigenze, sempre più aziende adottano il buono pasto come forma di benefit per i propri dipendenti. Si tratta di uno strumento che permette di bilanciare le esigenze aziendali di produttività con quelle di welfare, migliorando il benessere dei lavoratori. Attualmente, sono almeno 150mila le imprese che hanno scelto di utilizzare i buoni pasto per sostenere i propri dipendenti, offrendo loro un supporto economico per affrontare il costo della pausa pranzo.

Paola Mancini: la proposta per aumentare il valore dei buoni pasto

Tornando alla disparità fra prezzi sul mercato e valore del buono pasto, una novità positiva, che ha creato molte aspettative nei mesi scorsi, potrebbe essere costituita dal disegno di legge "Semplificazioni in materia di lavoro e legislazione sociale" (atto Senato 672), presentato dalla senatrice Paola Mancini (Fratelli d'Italia) che mira ad aumentare il valore delbuonoda 8 a 10 euro puntando su una defiscalizzazione

In particolare, all'articolo 7, comma 1, lettera b, della proposta di legge, si propone l'aumento della soglia di esenzione fiscale e contributiva del buono pasto giornaliero, portando, come detto, il limite da 8 a 10 euro per i buoni digitali. Questa modifica ha ovviamente come obiettivo principale l'adeguamento del valore del buono pasto alle esigenze economiche attuali, offrendo una maggiore flessibilità alle aziende e un beneficio diretto per i lavoratori.

Il puntare sui buoni pasti digitali tiene conto che con la crescente digitalizzazione, il “buono” è diventato uno strumento sempre più tracciabile: il 91% delle aziende utilizza soluzioni digitali, mentre solo il 9% si affida ancora ai buoni pasto cartacei. L'aumento della soglia di esenzione fiscale è stato accolto favorevolmente sia dai sindacati, sia dalle imprese, in quanto rappresenta uno strumento utile per migliorare la contrattazione aziendale, incrementare il potere d'acquisto dei dipendenti e rendere l'azienda più attrattiva sul mercato del lavoro.

Buoni pasto digitali vs cartacei: quali sono le differenze fiscali

Per capire la realtà dei buoni pasto, va ricordato che questo strumento è regolato dall'articolo 51, comma 2, lettera c) del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e non concorre a formare il reddito imponibile del dipendente, entro specifici limiti. Per i buoni pasto digitali, la soglia di esenzione è fissata a 8 euro giornalieri, mentre per quelli cartacei il limite è di 4 euro. Qualsiasi importo che ecceda tali soglie viene considerato ai fini del calcolo della base imponibile del reddito da lavoro.

Il superamento del limite di importo giornaliero fa sì che i buoni pasto non rientrino tra i fringe benefit. Non costituiscono più una retribuzione aggiuntiva erogata in una forma diversa dal denaro. Ma ai fini del trattamento fiscale viene considerata come parte della retribuzione. Questo è il motivo per il quale l'aumento dei due euro a buono pasto, attraverso alla defiscalizzazione, diventa molto importante.

Fringe benefit: un vantaggio sulla retribuzione del dipendente

Ma perché parliamo di fringe benefit in relazione ai buoni pasto? I fringe benefit sono vantaggi accessori concessi dal datore di lavoro ai dipendenti, che integrano la retribuzione principale. Possono consistere in beni, servizi o somme di denaro, come il rimborso delle utenze domestiche. Questi benefici non concorrono a formare il reddito imponibile del lavoratore e non sono soggetti a tassazione, consentendo alle aziende di evitare anche il pagamento di contributi previdenziali su di essi.

La Legge di Bilancio 2024 aveva innalzato le soglie di esenzione per i fringe benefit: per i dipendenti con figli a carico, l'importo esentasse è passato a 2.000 euro, mentre per tutti gli altri lavoratori è fissato a 1.000 euro. La norma definisce “figli a carico” quelli con reddito annuo non superiore a 2.840,51 euro, che può arrivare a 4.000 euro per i figli fino a 24 anni. Queste modifiche rendono i fringe benefit uno strumento ancora più vantaggioso per le aziende, contribuendo al welfare aziendale e aumentando il potere d'acquisto dei lavoratori, in particolare delle famiglie.

Buoni pasto anche in smart working e in ferie

Ma come devono essere gestiti i buoni pasto dei dipendenti in smart working? Questo ticket viene generalmente erogato al lavoratore in relazione alla prestazione di una giornata lavorativa, anche in modalità smart working, perché secondo la Dre (Direzione regionale delle entrate) i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito, perché secondo le agevolazioni devono essere applicate indipendentemente da dove il singolo professionista eserciti la propria attività. Purché sia un dipendente. Il datore di lavoro non deve applicare la ritenuta d'acconto ai fini Irpef per i lavoratori in smart working ai quali vengono erogati i buoni pasto. La modalità lavorativa, in ufficio o a casa, non influisce direttamente sulla normativa fiscale.

Una recente sentenza della Cassazione, inoltre, ha stabilito che i buoni pasto possono essere erogati anche in ferie perché considerati parte integrante della retribuzione. Questa decisione apre nuovi scenari sia per quanto riguarda le rivendicazione dei lavoratori che per l'impianto normativo stesso, almeno dal punto di vista fiscale. Il quadro appena descritto, infatti, potrebbe essere stravolto dal fatto di considerare i buoni pasto una voce della retribuzione e non è escluso che questo principio, se universalmente accettato, non possa portare ad una revisione in termini di esenzioni e benefici.

Evoluzione dei buoni pasto in Italia: un'analisi dal 2004 al 2023

Negli ultimi due decenni, il mercato dei buoni pasto in Italia ha subito come detto significative trasformazioni, riflettendo cambiamenti economici, tecnologici e sociali. Dall'utilizzo dei buoni cartacei all'inizio degli anni 2000 all'adozione massiccia dei buoni elettronici nel 2023, questo benefit aziendale è cresciuto notevolmente in diffusione e importanza. Nella tabella abbiamo cercato di riassumere alcuni dei cambiamenti più importanti per dare un'idea più precisa della loro realtà, anche sociale.

Valore del buono pasto

Nel 2004, il valore massimo detassato del buono pasto cartaceo era di 5,29 €. Questo importo è rimasto stabile per molti anni, attestandosi a 5,29 € anche nel 2010. Nel 2015, per incentivare la digitalizzazione, è stato introdotto il buono pasto elettronico con un valore massimo detassato di 7,00 €, mentre quello cartaceo è rimasto invariato. Nel 2020, ulteriori modifiche hanno portato il valore del buono elettronico a 8,00 €, riducendo quello cartaceo a 4,00 €. Questa strategia ha spinto aziende e dipendenti a preferire i buoni digitali, favorendo la modernizzazione del settore.

Prezzo medio di un pranzo veloce di lavoro

Il costo medio di un pranzo veloce è aumentato nel tempo. Da circa 9,00 € nel 2004, è salito a circa 11,00 € nel 2010 e a circa 11,50 € nel 2020. Nel 2023, il prezzo medio ha raggiunto circa 12,00 €. Questo incremento riflette l'inflazione e l'aumento dei costi nel settore della ristorazione, rendendo i buoni pasto un beneficio sempre più apprezzato dai lavoratori per sostenere le spese quotidiane.

Numero di buoni pasto emessi e aziende coinvolte

Nel 2010, si stimavano circa 400 milioni di buoni pasto emessi, con oltre 80.000 aziende che li distribuivano. Nel 2020, il numero di buoni emessi è salito a circa 500 milioni, coinvolgendo oltre 100.000 aziende. Nel 2023, si è raggiunta la cifra di circa 600 milioni di buoni emessi e oltre 110.000 aziende partecipanti. Questa crescita indica una maggiore diffusione dei buoni pasto come strumento di welfare aziendale e di supporto al potere d'acquisto dei dipendenti.

Cambiamenti nelle abitudini di utilizzo

Nel 2010, il 70% dei buoni pasto era utilizzato per consumare pasti presso ristoranti e bar, mentre il 30% era destinato all'acquisto di generi alimentari nei negozi. Nel 2023, la proporzione è cambiata: il 55% dei buoni viene utilizzato nella ristorazione e il 45% nei negozi alimentari. Questo cambiamento riflette nuove abitudini di consumo, influenzate anche dalla pandemia di COVID-19, che ha portato più persone a cucinare a casa e a fare acquisti nei supermercati.

Digitalizzazione dei buoni pasto

La percentuale di buoni pasto digitali è cresciuta esponenzialmente. Dal 5% nel 2004, è passata al 20% nel 2010, al 40% nel 2015 e ha raggiunto il 70% nel 2023. Gli incentivi fiscali e la maggiore praticità nell'utilizzo dei buoni elettronici hanno favorito questa transizione, migliorando l'efficienza, la tracciabilità e riducendo i costi amministrativi per le aziende.

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Alberto Lupini


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