In Umbria dati da zona gialla avvicinano la ripartenza. Ma i ristoranti sono pronti?
L'attuale Dpcm non prevede deroghe da zone rosse o arancioni, ma i dati dei contagi e delle vaccinazioni spingono la Regione verso una possibile ripartenza. I locali ci credono ma devono organizzarsi dopo mesi a lavorare con la sala chiusa tra asporto, delivery e altre soluzioni per sopravvivere
10 aprile 2021 | 05:00
di Nicola Grolla
La situazione nella Regione
«Con il principio di massima cautela che ho sempre rispettato, perché quando è stato necessario ho fatto le mie ordinanze restrittive credo che in certe realtà sia giusto dare l'occasione di riaprire ristoranti e bar, che si sono adoperati per poter svolgere la propria attività in sicurezza», aveva detto Donatella Tesei, presidente della Regione Umbria poco prima della conferenza Stato-Regioni di giovedì 8 aprile. In quell’occasione il tema era il Recovery Plan, ma come confermato dalla successiva conferenza stampa del presidente del Consiglio Mario Draghi, si è parlato anche di riaperture.Saltata la data ipotizzata del 20 aprile, il premier ha ricordato che ogni discorso sulle riaperture deve essere legato ai dati della pandemia e all’avanzamento della campagna vaccinale. Al momento, tra vaccinati e prenotati, l’Umbria ha coperto l’82% dei fragili e il 78% degli over 80, stando ai dati forniti dal commissario regionale all’emergenza Covid, Massimo D’Angelo.
Inoltre, se l’Rt attuale pari a 0,7 fosse confermato per i prossimi 14 giorni, la Regione potrebbe ambire alla zona bianca (ossia, meno di 50 casi ogni 100mila abitanti). Situazione che, sulla carta, potrebbe addirittura far sperare nel ritorno dei commensali alla sera nei ristoranti. Per la gioia di cuochi, sommelier e camerieri che così tornerebbero – finalmente – al lavoro.
Marco Gubbiotti: la situazione economica rischia di ridurre i clienti
Fra chi aspetta con ansia buone notizie c’è Marco Gubbiotti, chef del ristorante Cucinaa aperto nel 2011 e delegato regionale di Euro-Toques Italia: «Il nostro è un locale polivalente, con molte sfaccettature. Aspetto che ci ha aiutato durante il periodo di chiusura permettendoci di proporre il servizio da asporto e delivery durante tutto l’arco della giornata. Ma sicuramente la riapertura sarebbe tutta un’altra cosa. E potremmo inaugurare il nostro dehors appena ristrutturato». Sempre a patto che ci siano i clienti da servire: «La situazione economica non è delle migliori, alcune persone faticano ad arrivare a fine mese e questo potrebbe ridurre il nostro bacino di utenti. Speriamo che la voglia di uscire, quando si potrà, sia superiore ai timori. In ogni caso, la diversificazione del business credo sia un nostro punto di forza, bisogna essere agili e pronti a mimetizzarsi a seconda della situazione. La vita è cambiata, il cliente è cambiato ed è giusto che anche noi ristoratori facciamo qualche passo avanti».Simone Ciccotti: affronteremo la stagione zoppicando
Chi non vede l’ora di tornare alla normalità, dismettendo delivery e take away, per tornare a parlare di menu, portate e materie prime è Simone Ciccotti, chef dell’Antica Trattoria San Lorenzo. E il motivo è duplice: da un lato, riprendere quell’abitudine al lavoro, al servizio in sala che ha depauperato alcune competenze; dall’altro, ritornare a fare cassa dopo un 2020 in cui su un fatturato di 300mila euro Ciccotti ne ha persi come minimo la metà. «Affronteremo la stagione un po’ zoppicando ma son sicuro che lavoreremo. La gente ormai si è stufata di stare in casa ed è pronta a rinunciare a un maglione in più di fronte alla possibilità di un pranzo fuori. Mi aspetto quindi un grande boom, anche se non siamo ancora pronti a livello organizzativo per assorbirlo». Il tutto sempre con grande cautela: «Nonostante nel comparto ristorativo e turistico non si siano rilevati focolai, grazie ai protocolli che da sempre applichiamo nelle nostre strutture, un po’ di paura rimane; almeno finché le vaccinazioni non procederanno in modo spedito», conclude Ciccotti.Diego Mercuri: sì alle riaperture, ma che siano durature
«Spero vivamente di poter riaprire presto perché qui in Umbria siamo sempre stati zona arancione. Da dopo Natale non abbiamo mai aperto a pranzo e con il solo asporto è dura. Soprattutto perché il nostro tipo di cucina non rende per questa modalità di consumo», racconta Diego Mercuri, chef di Umami. A dirlo sono anche i numeri: «Perdiamo in media duemila euro al mese, mentre le spese rimangono invariate e i clienti diminuiscono anche a causa di un perdurante smart working», spiega Mercuri. La prospettiva di riaprire, quindi, si lega a doppio filo alla continuità del servizio: «Solo se non ci saranno ulteriori stop&go sarà possibile celebrare queste riaperture come una vera ripartenza, altrimenti saremo punto e a capo con in più problemi di personale e approvvigionamenti da risolvere. Per rimettere in moto il mio ristorante, infatti, servono come minimo due o tre giorni di preparazione un investimento di qualche migliaio di euro per i rifornimenti così da mantenere inalterato quel menu per cui la gente ci conosce».© Riproduzione riservata
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Alberto Lupini