I Maestri raccontano... Ritratti di donne per raccontare Verona
Nives Manara è tornata nella sua città natale dopo tanto girovagare per il mondo. Racconta il suo territorio come fosse un'opera d'arte ed è impegnata a disegnare etichette di vini della Valpolicella
In occasione del primo degli appuntamenti del nuovo calendario di Club per l’Unesco di Verona ho avuto modo di conoscere una protagonista assoluta delle Maestrie italiane e orgogliosamente mia concittadina (ho intervistato molti maestri, ma pochi in questo spazio sono della mia bella città). Sapevo che l’evento sarebbe stato di grande rilevanza e con grandi ospiti e la presenza di Nives Manara era la ciliegina giusta per convincere la cittadinanza ad accorrere numerosa come è accaduto. Da subito disponibile, Nives Manara ha dimostrato grande empatia verso la platea amante del bello e del buono: un successo. A fine evento, dopo le chiacchiere di rito, non ho potuto resistere dal farle alcune domande.
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Quale legame unisce lei e il suo territorio?
Attualmente vivo in Valpolicella, da dove sono partita da ragazza e a cui sono ritornata da poco. Quando si è giovani la provincia diventa come un paio di scarpe strette di cui cerchi di liberarti il prima possibile. La mia non è stata una migrazione per necessità ma ricerca di avventura e di conoscenza. Circa la metà della mia vita l’ho passata lontano. In giro per il mondo e per l’Italia. Ho incontrato culture diverse, visto meraviglie maestose e piccoli gioielli, molto che non assomigliavano a quello che avevo vissuto nella mia infanzia e adolescenza. Tornando ho guardato la città di Verona e soprattutto il territorio veronese con occhi diversi. Giudicando come se fossi un turista. Ho ritrovato Verona, bella signora elegante, vestita di muri antichi di velluto color mattone, con scarpine di marmo rosa e merletti di pietre medioevali. Come ogni signora ornata dai suoi gioielli. Intorno a lei la sua provincia, il suo salotto buono in cui ricevere chi la viene a visitare e che è in grado di apprezzare la sua ospitalità. Da nord a sud il paesaggio è talmente vario che potresti parlarne a lungo e sicuramente si correrebbe il rischio di lasciare indietro qualche cosa.
Il monte Baldo è il giardino della signora. Un giardino unico al mondo. Alcuni fiori sbocciano solo lì, e possiamo trovare più della metà delle specie di orchidee selvatiche presenti in Italia. Le colline morbide rigate dai filari di viti sono la sua cantina, così che la signora possa offrire la varietà dei suoi vini agli ospiti, portando allegria e mostrando così anche la sapienza antica di chi, quei vini li produce. Il lago di Garda è il suo spazio di divertimento di giorno e luogo di struggente meditazione quando viene il tramonto. La pianura, ampia come braccia spalancate. La signora ci tiene la sua dispensa. Cammina accarezzando le spighe di riso mentre guarda un volo di aironi sollevarsi dalle zone umide. Quasi si commuove mentre le prime luci della sera si accendono appannate dalla nebbia che tutto avvolge. Ecco tutto quello che ho descritto è quello che potrebbe essere, visto con gli occhi di un turista che ha girato già mote strade e che cerca l’originalità del luogo che ancora non ha visto. Purtroppo non è così. La provincia mostra molte cicatrici e l’ospitalità della signora è spesso abusata proprio da chi dovrebbe avere invece un occhio di riguardo. E di questo mi dispiace molto.
Quale delle sue donne ritratte (il progetto 365 Women) vede maggiormente collegata al tema dell’ospitalità e turismo e perché?
Premetto che nel mio lavoro le donne ritratte sono quasi tutte d’altri tempi, quasi tutte non italiane perché come progetto è destinato a celebrare donne cittadine del mondo appartenenti a vari popoli. Nella mia ricerca ho incontrato pioniere dell’ospitalità legata al turismo, altre che hanno arricchito di bellezza il territorio, altre che lo hanno difeso dagli abusi rendendolo disponibile a chi lo sa apprezzare, altre che hanno valorizzato il territorio con progetti di restauro conservativi, e infine altre ancora che lo hanno fatto loro malgrado. Le donne pioniere dell’ospitalità hanno quasi tutte in comune la lungimiranza. Partendo da piccole realtà hanno sviluppato la loro attività ingrandendola portandola a livelli massimi ma sempre rispettando il territorio che rendeva unico il loro lavoro. Per citarne una tra loro, Emilia Holzgärtner Wimmer, nel 1877, nell’allora piccolo borgo di pescatori che era Gardone sul lago di Garda, costruì con spirito visionario un albergo di 300 stanze, con riscaldamento tutto l’anno, bagni e sale da gioco, arricchito di giardini e fontane. Attirando turisti facoltosi che apprezzavano oltre che gli agi anche la bellezza dell’ambiente che li circondava, A questo ha fatto seguire uno sviluppo di tutto il territorio promuovendo l’ampliamento della strada di comunicazione e la nascita di una società per l’illuminazione elettrica.
Simona Kossak, biologa, laureata in scienze forestali, lottando in difesa delle grandi foreste europee e degli animali selvatici, ha aperto la strada a un nuovo tipo di turismo responsabile che si basa sul rispetto estremo della natura, dove rifugiarsi come ristoro ai ritmi frenetici eccessivi a cui la società contemporanea ci ha portati. Anna Maria Luisa Medici, mecenate d’altri tempi che come ultima discendente dei Medici strappò un accordo a Francesco Stefano di Lorena, appena nominato granduca di Toscana, grazie al quale le collezioni e il patrimonio artistico dei Medici rimanessero permanentemente legati a Firenze. Senza questo patto, Firenze avrebbe potuto essere spogliata dei suoi tesori d’arte in qualsiasi momento, invece furono messe le basi per il museo Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti e Giardino Boboli. Che attraggono turisti a migliaia da tutto il mondo. Gae Aulenti che ha progettato stupendi restauri conservativi di opere antiche e altrettante geniali opere proprie che attirano un turismo colto e studiosi. Franchetta Borelli è stata condannata come strega, insieme ad altre ragazze compaesane nel paese di Triora in provincia di Imperia. Triora è un piccolo paese arroccato in montagna che ha saputo sfruttare turisticamente questo triste evento, divenute famose loro malgrado. Questo tipo di turismo, chiamato “story living” è molto interessante perché rispettoso del territorio in quanto si lega a qualche cosa avvenuto solo in un determinato luogo
Quanto un'arte come quella del fumetto può essere centrale per lo sviluppo di nuovi talenti a Verona e in Italia?
Il fumetto attualmente è il tipo di libro più letto e in testa alle classifiche di vendita. Il fumetto, come il cinema e la televisione, è parte integrante della cultura popolare e ha il potere di portare facilmente ad un vasto pubblico messaggi di qualsiasi tipo. Con il fumetto si può fare pubblicità, o raccontare storie legate ad accadimenti che potrebbero destare interesse anche per il turismo. Per esempio io ho scritto e disegnato un fumetto breve che racconta la storia di una mondina. Una storia così potrebbe fare da pubblicità anche ai produttori di riso o a zone legate ali territori di produzione.
Cosa è per lei la Maestria?
Il significato di Maestria per me è bravura nel realizzare un qualche cosa. Non necessariamente arte, ma anche artigianato e lavori manuali ed intellettuali. Per me maestria vuol dire fare bene il proprio lavoro senza cercare scorciatoie ed è un miscuglio di talento innato raffinato dalla fatica continua e dalla costanza.
Lei ci ha detto che prima ancora di disegnare pensa alle sceneggiature: da cosa si lascia ispirare?
Per me l’ispirazione arriva mentre sto pensando ad altro. Durante una ricerca per un lavoro che sto già realizzando, mi si presenta con aria di sfida un personaggio interessante che magari si tira dietro altre storie, altri periodi storici e altri personaggi che all’improvviso hanno esigenza di raccontare e mi usano. Per esempio adesso sto disegnando un fumetto e ho dovuto mettere nel cassetto in attesa un’idea che mi ha ispirato Lord Byron e la sua visione romantica ma insieme moderna del mondo e di mondi occulti. Un altro esempio è la realizzazione di etichette per i principali vini della Valpolicella, che mi sono stati ispirati dalla visione dell’allegria goderecci dei quadri di Paolo Veronese.
Confesso che le domande sarebbero state ancora miliardi, adoro le persone con una passione e che la sanno condividere. Mi porto a casa da questa esperienza una nuova amicizia e la consapevolezza che esistono tante realtà e saperi che non penseresti mai siano intrecciati così a fondo. Chissà se fra il pubblico c’era una bambina che, innamorandosi di quest’arte, ha scoperto cosa vuole fare da grande.
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Alberto Lupini