La guerra in Ucraina costa otto miliardi all'agricoltura italiana
È questa la cifra dell'esborso aggiuntivo che sta mettendo a rischio il futuro delle coltivazioni e che potrebbe riflettersi anche su cinque milioni di italiani che versano in uno stato di indigenza economica
La guerra in Ucraina picchia duro anche sull'agricoltura italiana. Con lo scoppio del conflitto e con la crisi energetica in atto, sono aumentati mediamente di almeno un terzo i costi produzione dell’agricoltura per un esborso aggiuntivo di almeno 8 miliardi di euro su base annua, rispetto all’anno precedente, che ha messo a rischio il futuro delle coltivazioni, degli allevamenti, dell’industria di trasformazione nazionale ma anche gli approvvigionamenti alimentari di 5 milioni di italiani che si trovano in una situazione di indigenza economica.
A lanciare l'allarme è ancora una volta Coldiretti, in occasione dell'incontro del presidente Ettore Prandini con il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli.
I costi di produzione sono già alle stelle
I costi di produzione, già saliti oltre le soglie di guardia, sono aumentati ulteriormente raggiungendo per alcuni prodotti valori che vanno dal +170% dei concimi, al +80% dell’energia e al +50% dei mangimi. «Il conflitto - denuncia Prandini - ha provocato un ulteriore balzo dei fattori della produzione per i rincari energetici, il blocco dei trasporti e il fermo delle attività produttive. Dai mangimi ai fertilizzanti, fino all’energia per non parlare degli imballaggi, dalla plastica per i vasetti dei fiori all’acciaio per i barattoli, dal vetro per i vasetti fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per vino, olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi».
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L'Italia è un Paese deficitario
L'Italia, e non è una sorpresa, è un Paese fortemente deficitario. Secondo i dati di Coldiretti, produce appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.
La causa è da ricercare, sempre secondo Coldiretti, nei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi un terzo la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati.
Il caso dell'Ungheria
In un contesto già di per sé critico si è aggiunta la decisione presa dall'Ungheria, che ha deciso di ostacolare le esportazioni nazionali di cereali, soia e girasole. Dall’Ungheria sono arrivati in Italia ben 1,6 miliardi di chili di mais nel 2021 mentre altri 0,65 miliardi di chili dall’Ucraina per un totale di 2,25 miliardi di chili che rappresentano circa la metà delle importazioni totali dell’Italia. Così, senza mais, è a rischio una stalla italiana su quattro.
«Siamo di fronte ad una nuova fase della crisi, dopo l’impennata dei prezzi arriva il rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame - evidenzia Prandini - Da salvare ci sono tra l’altro 8,5 milioni di maiali, 6,4 milioni di bovini e oltre 6 milioni di pecore».
Il caro grano non fa quasi più notizia
Il prezzo del grano nel frattempo continua a salire: ha messo a segno un aumento del 40,6% in una settimana per un valore ai massimi da 14 anni di 12,09 dollari per bushel (27,2 chili) che non si raggiungeva dal 2008. Su valori al top del decennio si collocano anche le quotazioni del mais e della soia, che sale del 5% nella settimana.
La soluzione passa anche dal Pnrr
«Bisogna agire subito - conclude Prandini - facendo di tutto per non far chiudere le aziende agricole e gli allevamenti sopravvissuti con lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr, ma anche incentivando le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole a 25 anni attraverso l'Ismea, riducendo le percentuali Iva per sostenere i consumi alimentari, prevedendo nuovi sostegni urgenti per filiere più in crisi a causa del conflitto e del caro energia e fermando le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali».
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Alberto Lupini
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