Green pass e lavoro, il decreto di Draghi fa chiarezza sulle modalità dei controlli
Il Dpcm firmato il 12 ottobre dà maggiori informazioni su modalità e frequenza dei controlli. Presto un software a disposizione dei datori di lavoro. Per chi è sprovvisto del lasciapassare, assenza ingiustificata
A tre giorni dall’entrata in vigore dell’obbligo di green pass per accedere ai luoghi di lavoro (15 ottobre), sia pubblici che privati, arriva il decreto del presidente del Consiglio Mario Draghi a fare chiarezza sulle modalità di controllo della certificazione verde. Un documento atteso e in cui vengono messe nero su bianco le linee guida operative per garantire la sicurezza di dipendenti e datori di lavoro. Coinvolti circa 23 milioni di lavoratori. Di questi, circa 2,5 milioni i non vaccinati che dovranno ricorrere al tampone (per una richiesta stimata di un milione di tamponi al giorno considerando che il test antigenico ha validità 48 ore).
Modalità e frequenza dei controlli: no alla conservazione del Qr Code del dipendente
Prima questione: le modalità e la frequenza dei controlli. Per le aziende private, il Dpcm prevede l’utilizzo di specifiche funzionalità capaci di verificare in modo quotidiano e automatizzato il possesso di un certificato in corso di validità senza mostrare altre informazioni sensibili (per lo stesso motivo, il datore di lavoro non può conservare il Qr Code delle certificazioni verdi). In particolare, si prevede l’utilizzo di un pacchetto di sviluppo per applicazioni, rilasciato dal ministero della Salute con licenza open source che si può integrare nei sistemi di controllo degli accessi, inclusi quelli di rilevazioni delle presenze (il caro e vecchio “cartellino”).
Per quanto riguarda la frequenza dei controlli, il Dpcm dà facoltà ai datori di lavoro di effettuare i controlli in anticipo rispetto all’entrate in servizio del lavoratore, ma non oltre le 48 ore precedenti. Questo per andare incontro a quelle aziende in cui la forza lavoro e la produzione è organizzata su più turni.
Nel caso in cui il lavoratore fosse vaccinato (o con tampone negativo) ma non fosse in possesso del Qr Code, allora potrà mostrare per il controllo i documenti cartacei consegnati dall'hub dove è avvenuta la somministrazione.
Questione smart working: non elude l'obbligo
Discorso a parte merita la questione dello smart working. Nel Dpcm viene specificato che questo non può essere uno stratagemma per evitare o eludere l'obbligo del green pass. Detto diversamente, non si possono individuare i lavori da adibire allo smart working sulla base del mancato possesso della certificazione verde. Questo fermo restando che i lavoratori in smart working non sono obbligati a possedere il green pass (non è previsto alcun controllo in questo caso).
Lavoratore vaccinato all'estero? Un modulo online per mettersi in regola
Nel Dpcm vengono “coperti” anche i vaccinati all’estero. Il provvedimento prevede che un sistema ad hoc (quello della Tessera Sanitaria nazionale) acquisisca, tramite apposito modulo online, i dati relativi alle vaccinazioni effettuate all’estero dai cittadini italiani e dai loro famigliari conviventi che richiedono l’emissione del green pass in Italia.
Allo stesso modo, per quanto riguarda i lavoratori fragili che non possono sottoporsi alla vaccinazione è prevista l'introduzione di un Qr Code specifico che funga da lasciapassare a fronte dell'impossibilità di somministrazione del siero.
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Senza green pass scatta l'assenza ingiustificata
Qualora il lavoratore risulti sprovvisto di green pass o comunichi di non esserne in possesso al momento dell’accesso al luogo di lavoro scatta l’assenza ingiustificata. Status che viene meno nel momento in cui il lavoratore presenti il lasciapassare sanitario. Nel mentre, al lavoratore non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento. Una prospettiva, quest'ultima, che rischia di mettere in difficoltà non poche aziende. Dalle piccole imprese con meno di 15 dipendenti (vedi sotto, ndr) alle grandi aziende. Come dimostra il caso dei lavoratori del porto di Trieste: il 40% è senza green pass e si rischia l'effetto "Gran Bretagna" (ossia un blocco delle merci) se non si trova un compromesso. In tal senso, la novità potrebbe essere rappresentata da una circolare del Viminale che invita le aziende di gestione degli scali portuali a pagare il tampone al dipendente non vaccinato. Decisione facoltativa e che potrebbe aprire alcune brecce nel mondo del lavoro.
Le aziende con meno di 15 dipendenti possono sotituire il dipendente senza green pass
Per quanto riguarda le aziende con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata il datore di lavoro può sostituire il dipendente recalcitrante. Detto diversamente, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore senza green pass per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione (che non può essere superiore ai 10 giorni, rinnovabili una sola volta). Ovviamente nel limite del 31 dicembre 2021.
Multe e sanzioni per chi si sottrae ai controlli
Per quanto riguarda multe e sanzioni, il lavoratore che accede al luogo di lavoro senza green pass rischia una multa fino a 1.500 euro. Parimenti, il datore di lavoro che non controlla il green pass dei dipendenti rischia una multa che può arrivare fino ai 400mila euro.
Prezzo calmierato per i tamponi
Nel decreto che ha istituito il green pass obbligatorio sui luoghi di lavoro si fa riferimento anche al costo calmierato dei tamponi (altro sistema per ottenere la certificazione verde insieme a vaccinazione guarigione dal virus): 15 euro per i tamponi molecolari, 8 per i rapidi. Per tutte le persone fragili che non possono vaccinarsi il tampone sarà gratuito. In ogni caso, la validità dell’esito rimane fissa a 48 ore.
Ok anche dal Garante della Privacy
Sulle linee guida varate dall'Esecutivo, il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso, in via d’urgenza, il proprio parere favorevole. I contenuti del Dpcm sottoposti all’Autorità prevedono che l’attività di verifica della certificazioni verde possa essere effettuato anche attraverso modalità alternative all’app VerificaC19. L'importante, come sottolinea il Garante, è che «l’attività di verifica non dovrà comportare la raccolta di dati dell’interessato in qualunque forma, ad eccezione di quelli strettamente necessari».
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Alberto Lupini
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