La filiera estesa vale 538 miliardi Primo settore economico in Italia

L’agroalimentare che coinvolge almeno 5 settori è una superpotenza per il sistema italiano che però ancora deve fare i conti con una ripartizione della torta poco equa

19 novembre 2019 | 16:26
di Vincenzo D’Antonio
The European House-Ambrosetti ha di recente presentato il rapporto “La creazione di valore lungo la filiera agroalimentare estesa in Italia”. Il rapporto analizza la ripartizione degli utili tra tutti gli attori della filiera estesa e ne sortiscono spunti interessanti e riflessioni che qui analizziamo. Per filiera agroalimentare estesa si vuole qui intendere quel flusso continuo che va dalla produzione al consumo transitando attraverso l’anello cruciale della distribuzione. I comparti sono: Agricoltura, Industria di Trasformazione, Intermediazione, Distribuzione e Ristorazione. Così inteso, questa filiera rappresenta il primo settore economico del Paese.


La filiera agroalimentare è un tesoro per l'Italia

Essa genera un fatturato totale di circa 538 miliardi di euro (d’ora innanzi adopereremo il prezioso “pressappoco”). Il valore aggiunto è di circa 119 miliardi di euro. Giusto per dare un’idea delle dimensioni e quindi dell’impatto non solo economico ma anche sociale che questa filiera ha nel Paese, aggiungiamo che questi valori sono circa il quadruplo di altre tre importanti filiere estese: automotive, arredo, abbigliamento. Nota di non secondaria importanza: giammai casualmente è lo scenario con il quale ci si caratterizza negli Usa (e nei mercati anglofoni), ovvero le 4 F: Food, Ferrari (ad intendere l’automotive di lusso), Furniture, Fashion. Gli occupati sono quasi 4 milioni per un totale di circa 2 milioni di imprese, a testimonianza probante di come a fronte di poche realtà industriali vi sia poi un esercito numerosissimo di one man company, di microimprese.

Ogni 100 euro di consumo alimentare di tutti noi, circa un terzo va a remunerare  i fornitori di logistica, packaging e utenze, circa il 32% è il costo del lavoro, circa il 20% si dilegua in imposte e tasse, circa l’8% va ai fornitori di macchinari e immobili, circa l’1% alle banche, circa l’1% alle importazioni nette e solo il 5% circa costituisce l’utile da ripartire tra gli operatori di tutta la filiera agroalimentare estesa.

Adesso facciamo focus proprio su questo utile del 5% circa che ai nostri fini espositivi diviene il 100. Diciamo meglio: analizziamo adesso, nell’ambito della filiera agroalimentare estesa, come si ripartiscono gli utili. L’Industria di trasformazione alimentare ottiene il 43% circa; il 20% circa va all’Intermediazione (grossisti e intermediari in ambito di agricoltura, industria e commercio); il 18% circa va all’Agricoltura; il 12% va alla Distribuzione ed il 7% circa alla Ristorazione. Attingendo ad analisi della serie storica degli ultimi 5 anni, si osserva, nell’ambito dell’utile di filiera, una contrazione di circa il 10% della Distribuzione ed un incremento del 5% circa della quota dell’Industria. Un focus ulteriore sull’anello Industria è opportuno che vada fatto; esso si rivela molto interessante.


Le grandi aziende prendono il 37% dell'industria alimentare

Difatti, all’interno dell’Industria di trasformazione alimentare, la ripartizione dell’utile è altamente concentrata: le aziende leader con una quota di mercato superiore al 40% nei propri mercati di riferimento (57 aziende su 56.757) catturano il 31% circa dell’utile di tutta l’Industria alimentare e, di conseguenza il 13% circa dell’utile dell’intera filiera. In altre parole, 57 grandi imprese industriali (lo 0,1% delle imprese industriali), in gran parte multinazionali, assorbono un utile complessivo superiore a quello dell’intera Distribuzione.

Quali, nello specifico, le considerazioni che emergono per il settore della Ristorazione? In un meccanismo nel quale la torta degli utili è 100 e le fette di torta possono incrementarsi o decrementarsi (è raro che da un anno all’altro la situazione permanga del tutto invariata), la fetta della ristorazione che al momento è circa 7, può avere un suo incremento se e solo se, con azioni lungimiranti, con approccio non individuale ma associato, con il conseguimento di una consapevole esigenza di fruire sapientemente delle nuove tecnologie digitali, erode la fetta di valore 20 che pertiene all’Intermediazione.

È un processo ineludibile tipico delle società evolute quello che tende a ridimensionare prima ed ad estinguere del tutto poi, quei gangli intermedi la cui ragion dell’essere è nella compensazione di sacche di ignoto tra gli anelli principali della filiera. Siamo nella knowledge society, stiamo vivendo quella rivoluzione cognitiva che abilita nuovi orizzonti di conoscenza e di competenza a chi anela a conquistarli. È qui che si gioca il riassetto della ristorazione di qualità all’alba del terzo decennio del secolo.

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