Il fascino delle scatolette di latta Duecento anni di storia in una mostra
30 novembre 2016 | 16:07
Le scatolette di latta sono costantemente presenti nelle dispense alimentari di una buona parte delle famiglie italiane. Piselli, mais, pelati, legumi e molti altri alimenti sono contenuti in questo particolare recipiente che porta con sé un certo fascino e una storia lunga più di duecento anni. Le scatolette di latta vantano anche una connotazione quasi artistica paragonabile probabilmente a quello che succede per i francobolli ed è per questo che Paolo Stefanato ha voluto collezionarle per proporle dal 30 novembre (l’inaugurazione è stata fissata alle ore 18) fino al prossimo 2 gennaio nella mostra “La Gioconda di latta”, allestita a Milano nello showroom Del Tongo di via Solferino 22. Quella che è stata definita una “mostra insolita” vedrà protagoniste 441 scatolette alimentari sigillate, più quella principale che dà il titolo alla mostra stessa.
«Il primo a mettere a punto le scatolette fu un inglese, Pierre Durand, che nel 1810 ottenne dal re Giorgio III d'Inghilterra il brevetto per la conservazione di cibi “in vetro, ceramica, alluminio e altri metalli – racconta Paolo Stefanato -. Il brevetto di Durand era basato su 15 anni di sperimentazioni del francese Nicolas Appert, che sviluppò l'idea di conservare il cibo in bottiglie. Durand prese l'idea di Appert e fece un ulteriore passo avanti, sostituendo le fragili bottiglie di vetro con lattine cilindriche di acciaio e stagno, un materiale più leggero, più duttile, meno fragile e più economico del vetro. Fondamentali restavano la chiusura ermetica e il passaggio delle scatole, una volta chiuse, ad alta temperatura per eliminare batteri e tossine. Egli intuì le potenzialità della sua scoperta ma preferì monetizzarla subito: e solo un anno dopo, nel 1811, la vendette a due industriali, Bryan Donkin e John Hall, di Bermondsey, presso Londra, che diedero vita a un'industria di conserve e nel 1813 produssero i primi cibi in scatola per l'esercito inglese».
E in Italia? Quando arrivarono le scatolette? «In Italia fu Francesco Cirio ad aprire la prima fabbrica di piselli in scatola nel 1856, a Torino, cui seguì, nel 1875, il primo impianto campano per la lavorazione industriale dei pomodori – risponde Stefanato -. Un fatto curioso: l’apriscatole fu creato trent’anni dopo le scatolette che avrebbe dovuto aprire. Fino a quel momento la gente si arrangiò come meglio poteva, con martelli, scalpelli, baionette, persino battendo la scatola sulla pietra».
Visto che il fenomeno prese piede sin da subito, l’evoluzione non tardò a farsi largo sul mercato. «Il successo dell’industria delle scatolette di latta e i progressi delle stampa litografica, che dava al metallo un’allegra brillantezza multicolore, diede origine a una variante più aristocratica: la scatola di latta contenente prodotti alimentari meno deperibili oppure tabacco, puntine di grammofono, sigari e sigarette – prosegue Stefanato -. Se per le scatolette ermetiche la confezione aveva un’essenziale funzione di conservazione dei cibi, le scatole non sigillate, cioè con il coperchio, assumevano una ragione più decorativa e voluttuaria, erano spesso oggetti da regalo o da ricorrenza, e rispecchiavano la certezza che, una volta terminata la loro funzione originaria, non sarebbero state gettate. Da qui si può ben intendere come la grande famiglia delle scatole di latta, alle quali oggi è dedicato un fiorente collezionismo, sia in realtà divisa in due ampie categorie. Quelle “povere”, sigillate, che per svolgere la loro funzione devono essere aperte e distrutte, e quelle “aristocratiche” per le quali il contenuto è quasi un pretesto e che, anzi, appena vuotate acquistano una più orgogliosa vita propria».
Showroom Del Tongo
via Solferino 22, 20121 Milano
www.gruppodeltongo.com
deltongo@deltongo.it
«Il primo a mettere a punto le scatolette fu un inglese, Pierre Durand, che nel 1810 ottenne dal re Giorgio III d'Inghilterra il brevetto per la conservazione di cibi “in vetro, ceramica, alluminio e altri metalli – racconta Paolo Stefanato -. Il brevetto di Durand era basato su 15 anni di sperimentazioni del francese Nicolas Appert, che sviluppò l'idea di conservare il cibo in bottiglie. Durand prese l'idea di Appert e fece un ulteriore passo avanti, sostituendo le fragili bottiglie di vetro con lattine cilindriche di acciaio e stagno, un materiale più leggero, più duttile, meno fragile e più economico del vetro. Fondamentali restavano la chiusura ermetica e il passaggio delle scatole, una volta chiuse, ad alta temperatura per eliminare batteri e tossine. Egli intuì le potenzialità della sua scoperta ma preferì monetizzarla subito: e solo un anno dopo, nel 1811, la vendette a due industriali, Bryan Donkin e John Hall, di Bermondsey, presso Londra, che diedero vita a un'industria di conserve e nel 1813 produssero i primi cibi in scatola per l'esercito inglese».
E in Italia? Quando arrivarono le scatolette? «In Italia fu Francesco Cirio ad aprire la prima fabbrica di piselli in scatola nel 1856, a Torino, cui seguì, nel 1875, il primo impianto campano per la lavorazione industriale dei pomodori – risponde Stefanato -. Un fatto curioso: l’apriscatole fu creato trent’anni dopo le scatolette che avrebbe dovuto aprire. Fino a quel momento la gente si arrangiò come meglio poteva, con martelli, scalpelli, baionette, persino battendo la scatola sulla pietra».
Visto che il fenomeno prese piede sin da subito, l’evoluzione non tardò a farsi largo sul mercato. «Il successo dell’industria delle scatolette di latta e i progressi delle stampa litografica, che dava al metallo un’allegra brillantezza multicolore, diede origine a una variante più aristocratica: la scatola di latta contenente prodotti alimentari meno deperibili oppure tabacco, puntine di grammofono, sigari e sigarette – prosegue Stefanato -. Se per le scatolette ermetiche la confezione aveva un’essenziale funzione di conservazione dei cibi, le scatole non sigillate, cioè con il coperchio, assumevano una ragione più decorativa e voluttuaria, erano spesso oggetti da regalo o da ricorrenza, e rispecchiavano la certezza che, una volta terminata la loro funzione originaria, non sarebbero state gettate. Da qui si può ben intendere come la grande famiglia delle scatole di latta, alle quali oggi è dedicato un fiorente collezionismo, sia in realtà divisa in due ampie categorie. Quelle “povere”, sigillate, che per svolgere la loro funzione devono essere aperte e distrutte, e quelle “aristocratiche” per le quali il contenuto è quasi un pretesto e che, anzi, appena vuotate acquistano una più orgogliosa vita propria».
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Alberto Lupini
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