Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici si è ridotto “solo” del 2,8% nell’ultimo anno «ma gli italiani si sono comportati da formiche: i consumi finali hanno subito una caduta di dimensioni molto più ampie (-10,9%) e mai registrate dal dopoguerra». Così l’Istat nel suo Rapporto annuale sulla stato di salute della società italiana. La pandemia, insomma, con il suo carico di incertezze ha frenato le spese degli italiani già penalizzate dalla chiusura di molte attività economiche.
Nel 2020, le famiglie italiane hanno speso in media 2.328 euro al mese
A sostenere la spesa delle famiglie hanno contribuito, in parte, i 61 milioni di euro utilizzati per gli interventi pubblici di redistribuzione del reddito. Ma non sono bastati a invertire una tendenza storica al risparmio da parte degli italiani che hanno aumentato la quota da salvadanaio passando dall’8,1% del 2019 al 15,8% del 2020. In generale, quindi, la spesa media mensile familiare per i consumi è stata pari a 2.328 euro, in calo dello 9% rispetto all’anno precedente che riavvolge il nastro temporale ai livelli del 2000. La riduzione della spesa è stata più intensa nel Nord Italia (-10.2%) seguita dal Centro (-8,8%) e dal Mezzogiorno (-8,2%).
Ristorazione e accoglienza, buio profondo a casua di limitazioni e chiusure
A livello merceologico, sono rimaste sostanzialmente inalterate le spese - difficilmente comprimibili - per alimentari e abitazione solo marginalmente toccate dalle varie limitazioni alle attività economiche. A perdere maggiormente terreno sono stati i servizi ricettivi e di ristorazione (-38,9%) che solo a partire dal 26 aprile, con la ripresa del servizio all’esterno, e dal 17 giugno, con l’entrata in vigore del green pass italiano poi convogliato in quello europeo a partire dall’1 luglio, hanno iniziato a respirare. Capitolo a parte meritano i consumi culturali a cui le famiglie hanno destinato solo il 2,1% della spesa totale nel 2020. D’altronde, cinema e spettacoli dal vivo hanno avuto 67 giorni di funzionamento ordinario, 134 di riaperture contingentate e 165 di chiusura totale. Per musei e biblioteche, invece, ci sono stati 173 giorni di riaperture parziali e 126 giorni di chiusura totale.
La povertà morde le caviglie di 5,6 milioni di individui
In vista della prossima (si spera) ripresa, balza all’occhio la distanza da recuperare per riammettere nel ciclo economico quelle oltre due milioni di famiglie che sono in povertà assoluta. A conti fatti, circa 5,6 milioni di individui. Più nel dettaglio, le famiglie con persona di riferimento occupata sono state più colpite dalla crisi (incidenza familiare dal 5,5% al 7,3%). Le famiglie con persona di riferimento ritirata da lavoro restano, invece, quelle con la minore incidenza di povertà (il 4,4% nel 2020). La povertà, inoltre, colpisce le famiglie più numerose: 20,5% per quelle con cinque e più componenti e 5,7% per quelle di uno o due componenti. «Rispetto alla crisi del 2012, il calo dei consumi e l’aumento della povertà registrati lo scorso anno sembrano più legati a vincoli oggettivi alla possibilità di spendere che a un deterioramento della capacità di spesa, molto contrastato dalle misure di sostegno ai redditi», sottolinea Istat. In ogni caso, i cittadini percepiscono comunque un peggioramento delle condizioni economiche della propria famiglia nel 20,5% dei casi.
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Gli effetti sul Pil in attesa del Pnrr
Tutto questo si è riversato sull’andamento del Pil che, nel 2020, si è ridotto del -8,9% rispetto all’anno precedente essenzialmente per il crollo della domanda interna. E nel primo trimestre del 2021 ha segnato un lievissimo recupero pari al +0,1%. Il tutto in attesa del Pnrr che, secondo le recenti previsioni Istat, dovrebbe sostenere una più robusta ripresa dell’attività, dei consumi e degli investimenti per una crescita del Pil intorno al +4,7%.
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Alberto Lupini
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