Enoturismo, 2 anni per tornare pre Covid Ora subito un piano straordinario
Secondo l'Osservatorio di Città del Vino, erano 15 milioni gli enoturisti nel 2019 e 2,65 miliardi di euro il giro d’affari complessivo stimato. Occorrono cambiamenti urgenti per superare la crisi : migliorare l’offerta di servizi, le infrastrutture, la digitalizzazione dei territori, ma anche l’originalità dell’offerta
03 luglio 2021 | 10:51
di Emanuele Bottiroli
Sempre più esperienze in vigna più che in cantina
Tra i principali aspetti che emergono da questa indagine qualitativa c’è anche il riposizionamento dell’enoturismo verso un’esperienza sempre più all’aperto, più in vigna che in cantina, più per piccoli gruppi che con i grandi bus e sempre più attenta alla sostenibilità e all’accessibilità dei servizi. Un enoturista rispettoso dell’ambiente e alla ricerca di esperienze attive, capaci di integrarsi con la bici, il trekking, l’arte e altre occasioni di tempo libero. Più esperienziale, meno ripetitivo.Obiettivo: migliorare servizi, infrastrutture e digitalizzazione
Il 17 Rapporto certifica ancora una volta i grandi punti di forza dell’offerta enoturistica del Belpaese: la ricchezza enogastronomica, la varietà di vitigni, i contesti storico-artistico-culturali. Ma anche tanti aspetti ancora da migliorare per diventare sempre più competitivi in un sistema europeo (Francia, Spagna, Croazia, Grecia e altre nazioni emergenti) che affila le armi del marketing e della promozione: e quindi c’è la necessità di migliorare l’offerta di servizi, le infrastrutture, la digitalizzazione dei territori, ma anche la capacità di saper gestire le visite in una lingua straniera e l’originalità dell’offerta enoturistica, evitando l’effetto déjà vu.Serve un piano straordinario di rilancio
Così, mentre la Toscana si conferma prima regione enoturistica d’Italia (sia per il turista italiano che per quello straniero), è quasi unanime la richiesta che arriva dai territori per un piano straordinario di rilancio dell’enoturismo italiano (74,19%).Una richiesta legittima – sottolinea il presidente di Città del Vino, Floriano Zambon – quella necessità di un tavolo di progettazione e di una cabina di regia che unisca le migliori intelligenze del pubblico e del privato per ridisegnare il rilancio del turismo del vino italiano, anche attingendo alle risorse che oggi ci mette a disposizione il Recovery plan, per dare slancio ed energia a un comparto che rappresenta la ricchezza di centinaia di territori e comunità rurali e che favorisce il mantenimento dell’ambiente, del paesaggio e della vitalità di aree già a rischio di spopolamento».
Il 17 Rapporto è stato presentato in diretta Facebook con la partecipazione, oltre che del presidente Zambon, di Giorgio Palmucci, presidente di Enit; Giuseppe Festa, direttore del Corso di Perfezionamento Universitario e Aggiornamento Culturale in “Wine Business” dell’Università degli Studi di Salerno e Coordinatore Scientifico dell’Osservatorio di Città del Vino; Paolo Morbidoni, Presidente Strade del Vino dell’Olio e dei Sapori; Nicola D’Auria, Presidente Nazionale Movimento Turismo del Vino; Maria Elena Rossi, Direttore Marketing e Promozione di ENIT; e Donatella Cinelli Colombini, Presidente Associazione Nazionale Donne del Vino; Ernesto Abbona, presidente Unione Italiana Vini.
Fondamentale uscire dagli schemi e cancellare effetto déjà vu
Ripartenza in tema di enoturismo significa aver cura di sfidare il futuro con idee, passione e strategia andando oltre una condotta un po’ stanca e da compitino che ha caratterizzato gli ultimi anni, non per colpa del Covid ma per un eccesso di gerarchia che ha un po’paralizzato la spinta propulsiva che in passato diverse organizzazioni operanti nel settore avevano saputo esprimere.Nell’ultimo periodo il network ha perso smalto, lasciando campo libero a tante ambizioni di un proliferare di associazioni che certo non possono competere con il know-how e il radicamento di chi, in Italia, l’enoturismo l’ha inventato.
Anche le regioni del Nord sono pronte
Ripartenza significa dare un segnale di considerazione anche al Nord, dove tante cantine hanno investito sul fronte dell’accoglienza in cantina e per favorire oltre alle presenze internazionali un turismo interno di valore, in un’epoca in cui si torna a parlare di turismo di prossimità, turismo lento e riscoperta delle campagne. Se trent’anni fa l’aprire le porte delle cantine ai turisti era una pratica nota soprattutto alle regioni del Centro Italia, in particolare la Toscana che era e resta un faro, e al Nord era quasi solo il Piemonte a credere nella partita, oggi è cambiato molto.Serve dialogo con le istituzioni
Servono associazioni di settore più aperte e partecipate, che guardino al futuro e pronte, con competenza, a guidare la migrazione dalla carta alla realtà della Legge sull’Enoturismo. Come? Dialogando con il mondo delle istituzioni a ogni livello facendo da ponte tra produttori ed enti locali, ma anche catalizzando sul settore bandi e investimenti. Mentre “Cantine Aperte” è un brand nato per stimolare gli imprenditori agricoli ad accogliere, ora la priorità è alzare l’asticella: in cantina occorre offrire esperienze, facendo leva su marketing di destinazione e servizi innovativi, che siano anche a misura dei nativi digitali e degli ospiti stranieri che con i “green pass” potranno tornare a degustare e assaggiare la migliore Italia nelle cantine.Altra sfida è il binomio vino-territorio: oggi fare enoturismo non significa più, solo, trovare cantine aperte. Bisogna trovare territori aperti, sinergici e collaborativi nell’interesse di generare economia dalla bellezza e dall’identità.
Servono strategie moderne a breve, medio e lungo termine capaci di trasformare l’accoglienza in cantina in attività d’impresa a 360°. È una scelta cruciale.
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Alberto Lupini