Del termine "sostenibilità" non ne possiamo più sentire parlare. Davvero, basta. Un principio così nobile, profondo, urgente ed edificante ridotto ad un hashtag ormai utile solo per il marketing o per riempire qualche riga di comunicati stampa o per occupare un po' di tempo in un discorso ufficiale. Di fatto è diventato un intercalare. Prendiamoci l'impegno, tutti e col mondo dell'accoglienza in primis, di utilizzare il termine in maniera oculata cogliendo l'occasione della Giornata mondiale dello spreco alimentare che si celebra oggi, 29 settembre. Sì, perchè sostenibilità può significare tutto e niente ma una cosa è certa: il cibo è un mezzo cruciale per vivere in modo sostenibile.
Cosa significa "sostenibilità"
Dato che sul suo reale significato c'è una confusione abnorme, affidiamoci al vocabolario per mettere d'accordo tutti: "Nelle scienze ambientali ed economiche - dice Treccani - condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri". Parafrasato per tutti coloro che si mettono ai fornelli: non sprecare cibo, che significa non sprecare denaro, che significa misurare l'utilizzo delle materie prime (vegetali e animali), che significa mangiare meglio, che significa invecchiare con qualche acciacco in meno, pesare meno sulle tasche della sanità pubblica. Che significa, garantire alle future generazioni un mondo che non si consumi, ma che si sostenga.
Italiani più attenti grazie alla pandemia
Prima ancora che un'azione, la sostenibilità è un modo di pensare, un fatto culturale. In Italia qualche passo avanti si sta facendo: più di un italiano su due (55%) ha diminuito o annullato gli sprechi alimentari adottando nell’ultimo anno strategie che vanno dal ritorno in cucina degli avanzi ad una maggiore attenzione alla data di scadenza. A rilevarlo è un sondaggio diffuso in occasione della presentazione del primo Rapporto globale sullo spreco, Food&waste around the world di Waste Watcher International.
A dare una svolta decisiva è stata la pandemia che ha reso più consapevoli i comportamenti degli italiani proprio a partire dalla tavola, spinta dal fatto che le misure anti contagio portano la gente a stare di più a casa con il recupero di riti domestici come il cucinare che diventa oltre che necessità quotidiana anche un momento di aggregazione familiare più sicura di un pasto o di un aperitivo in mezzo a estranei o a persone che vivono fuori dal proprio nucleo domestico.
Il risultato è che quasi due italiani su 3 (64%) si sono improvvisati chef tra le mura domestiche per sperimentare vecchie e nuove ricette con un trend in crescita iniziato nella fase più acuta dell’emergenza ed alimentato dallo smart working. Una tendenza proseguita anche con la ripresa del lavoro, dove è tornata la gavetta per più di 1 italiano su 2 (53%), magari recuperando gli avanzi della sera prima.
Il nuovo rapporto degli italiani con i fornelli ha portato a un più efficiente utilizzo del cibo che si traduce in una maggiore attenzione agli sprechi. Sulle tavole degli italiani sono così tornati i piatti del giorno dopo come polpette, frittate, pizze farcite, ratatouille e macedonia. Ricette che non sono solo una ottima soluzione per non gettare nella spazzatura gli avanzi, ma aiutano anche a non far sparire tradizioni culinarie del passato secondo una usanza molto diffusa che ha dato origine a piatti diventati simbolo della cultura enogastronomica del territorio come la ribollita toscana, i canederli trentini, la pinza veneta o al sud la frittata di pasta.
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Ogni anno finiscono nel cestino 9,7 miliardi di euro
Nonostante ciò il problema resta però rilevante se si considera che nel 2020 sono 5,2 milioni le tonnellate di alimenti finiti nella spazzatura tra quello che si getta tra le mura domestiche e ciò che riguarda tutta la filiera, per un valore complessivo di circa 9,7 miliardi di euro. Gli italiani guidano la classifica dei cittadini più virtuosi, con solo poco più di mezzo chilo (529 grammi) di cibo sprecato a testa nell'arco di una settimana. Gli statunitensi autodenunciano lo spreco di quasi un chilo e mezzo (1453 grammi) di cibo settimanale, seguiti dai cinesi con 1153 grammi, quindi i canadesi con 1144 grammi, seguono i tedeschi con 1081 grammi, e quindi, sotto il kg, arrivano i cittadini inglesi (949 grammi), spagnoli (836 grammi) e i russi, (672 grammi).
Prevenire lo spreco più che riutilizzare
C'è un passaggio però che ancora si può fare per migliorare. Vero è che buona parte della cucina italiana, apprezzata in tutto il mondo, si fonda su piatti "da riciclo" e non si può negare che piuttosto che buttare qualcosa, ben venga riutilizzarla nei giorni successivi. Ma ancor prima che pensare a come riutilizzare, bisogna avere l'obiettivo di non avere nemmeno un eccesso di cibo in casa. A sostenere questa tesi è Franco Aliberti, chef scelto da Enrico Bartolini per gestire la ristorazione del Milano Verticale - Una esperienze hotel 4 stelle superior nato la scorsa primavera.
Lui, che da sempre punta ad una cucina che sia pulita e senza sprechi, spiega: «La ristorazione ha capito che l'unica strada da seguire è quella di una cucina oculata, senza eccessi e con la minor quantità di rifiuti possibile. Dobbiamo però capire che la prevenzione è determinante e questa non la si può attuare che dal momento in cui si fa la spesa. Bisogna sapere quanta materia prima acquistare ogni volta e bisogna conoscerla per utilizzarne ogni parte edibile. Il cuoco deve conoscere sempre di più e avere nozioni scientifiche sempre più approfondite, da mettere nei piatti e da tramandare al consumatore».
Già, il consumatore. Quanto ne sanno gli italiani di risparmio? «Ne sanno sempre di più - risponde Aliberti - ma soprattutto apprezzano e riconoscono la vera cucina sostenibile e ne diffondono il nome per innestare un circolo virtuoso». Quello che fa ben sperare è che sono soprattutto le giovani generazioni le più attente a queste tematiche: ormai il vivere e mangiare in modo "green" è una moda (di quelle positive) e riscoprire le ricette della nonna - che non buttava niente - è valore aggiunto.
Lisa Casali: mangiate le bucce!
Un aspetto, anche questo culturale, che sviscera la moglie di Franco Aliberti, Lisa Casali scienziata ambientale e autrice di numerosi libri sullo spreco alimentare: l'ultimo "Il grande libro delle bucce"; il prossimo in uscita "Il dilemma del consumatore green". La sua attività sui social è stata pionieristica e determinante, perchè se è vero che la maggior parte degli sprechi avviene in casa, forse la formazione su come non sprecare va fatta ai cuochi casalinghi, prima ancora che agli chef. «Da subito - spiega Lisa - quando ancora non c'erano i social, ma i blog, mi sono impegnata in questo settore ma notavo come gli spettatori erano di età medio-alta. Di giovani interessati ce n'erano pochi. Oggi invece anche tra le nuove generazioni c'è grande interesse, sia a livello di pubblico che di profili che divulgano le buone pratiche».
Consigliare di scrivere la lista della spesa per non acquistare cibo che non serve è uno dei primi consigli, ma ce n'è uno più "tecnico" e forse efficace che si allinea con la questione "prevenzione" avanzata da Aliberti. «Io ho una fissa - ammette Lisa Casali - che è quella delle bucce. Sono rimasta scioccata quando ho scoperto che il 50% di frutta e verdura che mangiamo ha nella buccia la sua parte più nobile e nutriente, mentre noi la scartiamo quasi sempre. Per cui, ai cuochi casalinghi, dico: guardate ogni materia prima come se fosse la prima volta e utilizzatene tutte le parti possibili valorizzandole al meglio in cucina. Così facendo, ogni famiglia eviterebbe di gettare nei rifiuti 185 chili l'anno di cibo».
Mica male, no? Correte in dispensa, ammirate il primo cavolfiore che avete, scrutate ogni zucca dentro e fuori, esaltate il sapore delle bucce che si possono mangiare e poi sbizzaritevi con le ricette lasciando un po' più vuoto il cestino dell'organico.
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Alberto Lupini
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