Crisi della ristorazione, i sindacati: “Contratti e condizioni di lavoro inaccettabili”

Nella Milazzo, segretaria generale della Filcams Cgil della Sardegna, ha spiegato che non c’entra nulla la polemica legata al reddito di cittadinanza. “I giovani non hanno nemmeno i requisiti per riceverlo. Sono proposte di impiego o contratti inaccettabili che tengono alla larga i lavoratori che preferiscono quindi altre occupazioni”

17 maggio 2022 | 05:00
di Martino Lorenzini

«Ma quale Reddito di cittadinanza, sono ben altri i motivi per cui i lavoratori fuggono dal settore dell’accoglienza e della ristorazione. Basti pensare ai giovani; non hanno di certo i requisiti per chiedere gli ammortizzatori sociali. Piuttosto guardiamo ai contratti e alle condizioni di lavoro che vengono proposte. Stipendi da 1.400 euro mensili, quattordicesima e Tfr compresi, a fronte di 12 ore di lavoro al giorno senza straordinari, ferie e permessi o, peggio ancora, contratti part time da 25 ore settimanali che in realtà diventano poi full time, ma con la stessa retribuzione». Così Nella Millazzo, segretaria generale della Filcams Cgil Sardegna ha detto la sua sulla questione legata alla crisi del settore.

Crisi del personale, parlano i sindacati

La Sardegna è una Regione che ha fatto del turismo uno dei suoi punti di forza. Lo sbarco dei turisti è già iniziato e l’estate promette bene, eppure nella Regione si sta vivendo, come del resto sta avvenendo in tutta Italia, una profonda crisi legata alla mancanza di personale. Gli occupati stabilmente nel settore sono circa 40mila e poi durante l’anno la cifra raddoppia e arriva anche ai centomila grazie agli stagionali. Ma sono proprio loro a mancare, cercando lavoro nelle altre Regioni d’Italia oppure addirittura all’estero, dove la paga è migliore. Altrimenti optano per altri impieghi, più sicuri dal punto di vista occupazionale e dove i diritti dei lavoratori sono maggiormente garantiti. Lo sa bene Nella Milazzo, segretaria generale della Filcams Cgil Sardegna.

Milazzo ha esordito rispedendo al mittente la risposta che molti addetti ai lavori hanno dato a questa crisi, ovvero che fosse tutta colpa del Reddito di cittadinanza. 

«La parte datoriale continua a puntare il dito contro il Reddito di cittadinanza e accusa i giovani di preferire i sussidi al lavoro, ma la verità è che i giovani, che sono quelli storicamente più impiegati nel settore, non percepiscono alcun sussidio. Vivono infatti ancora coi genitori e quindi non hanno i requisiti. Quindi, qualcosa non va. Il settore turistico va riqualificato, perché non si può fare turismo solo sfruttando la manodopera», ha spiegato.

Cosa sta succedendo al settore?
Ci sono due fattori fondamentali che stanno incidendo sulla questione. Il primo è legato al peggioramento, sempre più marcato delle condizioni di lavoro e il secondo è legato al fatto che la pandemia ha messo ben in evidenza le criticità finora latenti che riguardano tutto il comparto.

Ci può fare qualche esempio?
Ce ne sono tanti purtroppo. Un lavoratore dopo vent’anni di impiego in un albergo è rimasto a casa; e  nel momento in cui ha provato a cercare un nuovo impiego gli sono stati proposti contratti decisamente peggiorativi rispetto al precedente. Uno stipendio mensile da 1.400 euro netti, comprensivo di tredicesima, quattordicesima e Tfr, lavorando 12 ore al giorno senza straordinari e ferie. Oppure richieste di part time a 25 ore settimanali che in realtà diventano lavori full time, perché poi si chiede di lavorare 40 o, addirittura, 50 ore al giorno. Già non è la stessa cosa lavorare quando gli altri si divertono, ma se poi le condizioni di impiego sono queste è chiaro che uno poi preferisce cercare un impiego in altri settori. E sto parlando con cognizione di causa; il 70% delle segnalazioni di denunce legate all’ispettorato del lavoro riguardano proprio il settore della ristorazione e dell’accoglienza.

Cosa ha innescato la pandemia?
Una situazione di non ritorno. Come ha ben spiegato uno studio di sociologia dell’università di Cagliari. Le retribuzioni e i carichi di lavoro sono sempre stati il tasto dolente, ma dopo la pandemia i lavoratori hanno superato una sorta di limite. E da allora hanno iniziato ad andarsene per cercare altre occupazioni. Se ci sono pochi lavoratori bisognerà portare l’offerta a un livello al quale sarà possibile intercettarla.

Lo Stato cosa può fare per migliorare la situazione?
Purtroppo ha peggiorato la situazione. Basti pensare che prima gli stagionali con la disoccupazione riuscivano a coprire tutti i mesi di non lavoro. Adesso invece, copre soltanto la metà delle settimane. L’eccesso di stagionalità finisce per peggiorare le condizioni di lavoro.

 

 

Cosa proponete per invertire la tendenza?
Serve un nuovo modello di turismo che protegga maggiormente le maestranze. Pensiamo anche solo alla Sardegna. È una regione che potrebbe vivere di turismo dodici mesi l’anno e che invece si concentra quasi esclusivamente in estate. Facendo i giusti investimenti nel settore della comunicazione, dell’accoglienza, della sostenibilità e dei trasporti, ovvero migliorandone i collegamenti, lo Stato potrebbe attirare molti più turisti e dare lavoro alle persone per tutto l’anno. In questo modo si ridurrebbero le stagionalità, ci sarebbero maggiori garanzie lavorative e quindi un’occupazione più stabile.

Cosa invece proponete ai datori di lavoro?
Di valorizzare l’esperienza dei dipendenti dal punto di vista salariale. Non possono continuare a essere sottopagati. In Francia, in Germania e in Svizzera questo non succede. Per questo molti conregionali preferiscono andarsene all’estero. E poi bisognerebbe anche finire di sfruttare i ragazzi delle scuole alberghiere durante il percorso di alternanza scuola lavoro. Dovrebbero fare formazione, ovvero dovrebbero fare esperienza affiancando il lavoratore e invece troppo spesso si ritrovano a occupare posti vacanti, lavorando gratuitamente. Siamo pieni di lamentele che ci giungono dai dirigenti scolastici degli istituti regionali.

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