Coronavirus, parola agli scienziati «Reazioni immotivate»

A dare un'idea più chiara sulla situazione, partendo da basi scientifiche, sono il presidente dell'ordine dei biologi Vincenzo D'Anna e l'infettivologo Massimo Andreoni. Burioni: «È un virus comunque da isolare»

25 febbraio 2020 | 10:45
Ormai tra esperti e scienziati italiani l'idea diffusa si sta amalgamando. Stamani l'ordine dei biologi: «Il coronavirus non è più grave di un'influenza. Nelle altre nazioni d'Europa non si registrano casi perché non li cercano». Lo ha detto il presidente dell'Ordine nazionale dei biologi, Vincenzo D'Anna, ospite del programma i Lunatici di Rai Radio 2. «In Italia mancano scienziati coraggiosi - ha affermato - molti non parlano perché hanno paura di essere considerati superficiali, le brutte notizie piacciono piu' di quelle belle e portano titoloni sui giornali. Non possiamo sparare alle mosche con il cannone».


Vincenzo D'Anna, Massimo Andreoni e Roberto Burioni

Si allinea a questo pensiero, entrando più nello specifico e dando sicurezze tramite i dati certi della scienza, l'infettivologo Massimo Andreoni, direttore scientifico della società italiana di malattie infettive e tropicali Simit, professore all'Università di Tor Vergata. Prima «non pensiamo ad un Italia divisa in due. Molto probabilmente l'epidemia arriverà anche a Roma e nelle regioni del Sud, il rischio è oggettivamente molto alto»; poi, però, «non bisogna aspettare questo momento con terrore. Anche se arriverà un po' dappertutto, è un'infezione che nella maggior parte delle volte è banale».

Coronavirus, origine e salto di specie
Il diffondersi di questa epidemia si deve al fatto che la sua origine è animale: «Quasi sicuramente viene dai pipistrelli, con un possibile passaggio intermedio su un secondo animale». Esclusa quindi l'ipotesi fantasiosa di una fuga dal laboratorio in Cina. Si tratta di un virus animale, «che si è adattato all'uomo compiendo il cosiddetto salto di specie». La bella notizia è che si sa come è nato.

Ma questo cosa comporta? «Le epidemie generate da virus che hanno compiuto il salto di specie sono le più complicate: quando il microrganismo infetta l'uomo per la prima volta, lo trova completamente indifeso, mancante di immunità. Aumentano di conseguenza le possibilità che la malattia abbia un decorso più grave e che abbia una maggiore diffusione nella popolazione». Ecco spiegata la diffusione dell'epidemia (non pandemia, come detto in conferenza stampa da Borrelli, «non ci sono i numeri»).

«Però non spaventiamoci - continua Andreoni - otto volte su dieci si tratta di una malattia banale, i casi gravi sono pochi e il nostro sistema sanitario ha una rete infettivologica di altissimo livello».

Falsi miti da sfatare
A questo punto Andreoni passa in rassegna verità e sciocchezze sulla diffusione
  • È in tutto e per tutto un virus respiratorio
  • Il contagio diretto avviene solo «se stringiamo la mano di una persona malata che ha appena starnutito e portiamo le mani al viso»
  • Sciocchezza: «Assurdo pensare che il virus sopravviva a lungo al di fuori delle cellule umane e resti aggressivo depositandosi sulle superfici». Quando è nell'ambiente perde la sua carica infettiva e diventa praticamente innocuo.
  • Per essere contagiati «il contatto con il malato deve essere ravvicinato e rapido, circa a un metro e mezzo di distanza, e non è detto che un contatto stretto equivalga per forza all'aver preso il coronavirus.

La conclusione di Andreoni? «Tanti comportamenti cui stiamo assistendo in questi giorni sono immotivati».

E per quanto riguarda la convinzione che gli alimenti possano costituire un veicolo di trasmissione? Altra sciocchezza. È un luogo comune da sfatare: «È un virus respiratorio, la via alimentare non la sa percorrere, non sa introdursi nell'organismo attraverso il sistema digestivo, usa solo naso e bocca per raggiungere i polmoni».

«Noi abbiamo cercato, gli altri no»
Quando viene chiesto all'infettivologo di spiegare questo esponenziale aumento italiano dei casi, si allinea più o meno all'opinione dei biologi di cui sopra: «La crescita improvvisa può essere dovuta a diverse cause. Prima tra queste quella di sottoporre al prelievo con tampone tutti i contatti delle persone malate. Questo ha permesso di individuare persone che non sarebbero mai state diagnosticate come positive. Noi abbiamo cercato, gli altri no. Se ci fossimo limitati al controllo dei pazienti con i sintomi, il numero delle infezioni sarebbe stato ridotto».

Il super-trasmettitore
Andreoni introduce poi il concetto di super-trasmettitore per spiegare come l'Italia sia balzata così in alto tra i Paesi più colpiti: «Solitamente il fattore di moltiplicazione di questo nuovo coronavirus è pari a 2.6, vale a dire ogni malato lo trasmette a circa due persone e mezzo. I super trasmettitori sono capaci di diffondere l’infezione a decine di soggetti perché eliminano il virus in alte quantità. Sospetto che nel Lodigiano sia accaduto un fenomeno del genere».

Si allinea poi con quanto già riportato da Italia a Tavola: «L’ospedale ha fatto da cassa di risonanza. Negli ambienti sanitari esistono tutte le condizioni che favoriscono la moltiplicazione di batteri e virus in pazienti fragili, ricoverati per patologie debilitanti e, spesso, per altre malattie infettive».

Giovani e bambini
Passando da quanti vengono colpiti a chi viene colpito, Andreoni si rivolge a giovani e bambini, i meno colpiti: «La spiegazione non è semplice. Il sistema immunitario di bambini e adolescenti reagisce meglio a questo coronavirus. Possiamo immaginare che, se colpiti, non vadano incontro a un’evoluzione grave della malattia. Un’indagine con i tamponi faringei nella popolazione giovanile magari mostrerebbe una percentuale di casi anche tra loro. Però non si ammalano».

Il periodo di incubazione
Tocca anche il periodo di incubazione: dall'iniziale numero di 14 giorni massimo si è passati (una volta scoperta la permanenza del virus sulle superfici) a oltre una ventina di giorni, praticamente tre settimane. Andreoni mette le cose in chiaro e fa fare a tutti un passo indietro: «Confermo, l’incubazione oscilla tra 2 e 14 giorni. Ci teniamo larghi per precauzione. La media dei giorni reali è più bassa, da 7 a 9. Non ci sono evidenze per sospettare di andare oltre le due settimane».

Con Andreoni e D'Anna che chiariscono e ammortizzano l'allarmismo, verrebbe da chiedersi per quale ragione le varie Regioni, prima la Lombardia di Fontana, abbiano adottato misure "drastiche" come l'immediata chiusura, oltre che di locali dopo le 18, di scuole ed università. A chiarire questo passaggio precauzionale è Roberto Burioni a Che tempo che fa.

«Alcuni provvedimenti che sembrano esagerati, come la chiusura delle scuole, sono sacrosanti, purtroppo. Sono sincero, mia figlia non l’avrei mandata a scuola. Sono molto contento che il presidente Fontana abbia preso questa decisione. I bambini non sono particolarmente a rischio, si ammalano ma in modo lieve, ma questa è un’arma a doppio taglio, vanno a scuola malata e poi contagiano altri bambini».

Qual è per Burioni il problema di fondo che porta a mettere in atto tutte queste misure di sicurezza? La risposta porta all'inevitabile differenza tra influenza e coronavirus: «Questo virus è completamente nuovo, mentre il virus influenzale invece è una variante di quello dell’anno precedente, quindi ognuno ha un certo grado di immunità. Il coronavirus è nuovo quindi nessuno ha anticorpi, non abbiamo medicine o vaccini. Inoltre questo virus ha la tendenza a scendere più in profondità del nostro apparato respiratorio, quindi va a toccare quella parte delicatissima dei nostri polmoni che ossigena i nostri corpi. Per questo la malattia può essere così grave».

Le speranze di Burioni sono in una circolazione inferiore per il sopraggiungere della bella stagione o che, col passare del tempo, il virus stesso si faccia più "buono": «Ci sono stati altri coronavirus nella storia dell'uomo che con il tempo sono diventati poco più di un raffreddore». La cosa importante? «Fare il possibile per interrompere il contagio».

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Alberto Lupini


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