Cliente senza mascherina? Se il dipendente non lo serve, non può essere licenziato
La sentenza arriva dal Tribunale di Arezzo che ha disposto il reintrego in via cautelare di un dipendente licenziato per essersi rifiutato di vendere delle sigarette a un cliente che non indossava alcun Dpi
02 febbraio 2021 | 11:13
Il datore di lavoro non può licenziare il barista, cameriere o commesso che si rifiuti di far pagare il cliente che non indossa la mascherina. A stabilire questa regola, il Tribunale di Arezzo che, con una sentenza pubblicata il 13 gennaio di cui avevamo già parlato su Italia a Tavola qualche settimana fa, ha dato ragione al dipendente di un locale che si è trovato in questa situazione. Una decisione di cui ora disponiamo anche delle motivazioni.
Il fatto è accaduto in provincia di Arezzo dove un dipendente che, durante il turno notturno, si era rifiutato di servire un cliente senza mascherina si è visto minacciato di licenziamento per giusta causa. Secondo il titolare dell'attività, con la sua decisione il dipendente avrebbe danneggiato gravemente l’immagine del locale; con buona pace per la sicurezza e quel senso di comunità per cui sarebbe dovuto andare tutto bene.
La dinamica dell'incidente
Eppure, secondo la ricostruzione dell’episodio, il cliente era entrato nel punto vendita senza alcun strumento di protezione individuale per comprare delle sigarette. All’invito del commesso di coprirsi almeno la bocca con il collo della felpa, l’avventore ha risposto alzando i toni rimproverando al dipendente che «le mascherine le portano i malati» e di essere un ladro. Tornato a casa, poi, aveva rincarato la dose via social. Su Facebook si è pubblicamente lamentato della scortesia del servizio. Commento che ha fatto scattare il licenziamento da parte del datore di lavoro.
A rimettere tutto sul giusto piano ci ha pensato la sentenza che ha ricordato come sia diritto del lavoratore, costituzionalmente garantito, svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza. Un diritto che, ricordano i giudici, può arrivare anche all’astensione dal lavoro nel caso in cui il rischio esponga il lavoratore a un danno per la propria persona. Risultato? Ricorso dell’azienda respinto e dipendente reintegrato in via cautelare.
Obblighi e diritti
Secondo le leggi sul lavoro, il datore risponde della mancata osservanza delle norme a tutela dell’integrità fisica dei dipendenti perché titolare di una posizione di garanzia dettata dall’articolo 2087 del Codice civile e ripresa anche dal Dpcm del 26 aprile 2020 che ha obbligato tutte le imprese a osservare il protocollo di sicurezza per il contrasto della pandemia. Tra gli altri obblighi del datore di lavoro anche quello di informare i lavoratori sui rischi e invitarli al rispetto delle norme.
Da parte sua, come si legge nella sentenza ripresa dal Sole 24 Ore, il dipendente «anche in assenza di una specifica disposizione di legge, può invocare l’esimente dello stato di necessità per rifiutarsi di presentarsi al lavoro se non ci sono le condizioni per prestare la propria attività in sicurezza». Tanto che la condotta del dipendente del locale in provincia di Arezzo è del tutto giustificata dall’«esasperazione per una condotta altrui omissiva che denota un’ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri, oltreché del cassiere»
Nessun licenziamento per il dipendente che si rifiuta di servire un cliente senza mascherina
Il fatto è accaduto in provincia di Arezzo dove un dipendente che, durante il turno notturno, si era rifiutato di servire un cliente senza mascherina si è visto minacciato di licenziamento per giusta causa. Secondo il titolare dell'attività, con la sua decisione il dipendente avrebbe danneggiato gravemente l’immagine del locale; con buona pace per la sicurezza e quel senso di comunità per cui sarebbe dovuto andare tutto bene.
La dinamica dell'incidente
Eppure, secondo la ricostruzione dell’episodio, il cliente era entrato nel punto vendita senza alcun strumento di protezione individuale per comprare delle sigarette. All’invito del commesso di coprirsi almeno la bocca con il collo della felpa, l’avventore ha risposto alzando i toni rimproverando al dipendente che «le mascherine le portano i malati» e di essere un ladro. Tornato a casa, poi, aveva rincarato la dose via social. Su Facebook si è pubblicamente lamentato della scortesia del servizio. Commento che ha fatto scattare il licenziamento da parte del datore di lavoro.
A rimettere tutto sul giusto piano ci ha pensato la sentenza che ha ricordato come sia diritto del lavoratore, costituzionalmente garantito, svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza. Un diritto che, ricordano i giudici, può arrivare anche all’astensione dal lavoro nel caso in cui il rischio esponga il lavoratore a un danno per la propria persona. Risultato? Ricorso dell’azienda respinto e dipendente reintegrato in via cautelare.
Obblighi e diritti
Secondo le leggi sul lavoro, il datore risponde della mancata osservanza delle norme a tutela dell’integrità fisica dei dipendenti perché titolare di una posizione di garanzia dettata dall’articolo 2087 del Codice civile e ripresa anche dal Dpcm del 26 aprile 2020 che ha obbligato tutte le imprese a osservare il protocollo di sicurezza per il contrasto della pandemia. Tra gli altri obblighi del datore di lavoro anche quello di informare i lavoratori sui rischi e invitarli al rispetto delle norme.
Da parte sua, come si legge nella sentenza ripresa dal Sole 24 Ore, il dipendente «anche in assenza di una specifica disposizione di legge, può invocare l’esimente dello stato di necessità per rifiutarsi di presentarsi al lavoro se non ci sono le condizioni per prestare la propria attività in sicurezza». Tanto che la condotta del dipendente del locale in provincia di Arezzo è del tutto giustificata dall’«esasperazione per una condotta altrui omissiva che denota un’ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri, oltreché del cassiere»
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Alberto Lupini
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