Centri storici sempre più vuoti. Perso il 25% di alberghi e ristoranti

Secondo Confcommercio, dal 2012 al 2020, sono sparite il 14% delle attività commerciali e quasi 14mila imprese ambulanti. Nel 2021, si è registrata per la prima volta la perdita del -24% delle attività dell'accoglienza . Probabile che la Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) organizzi una marcia di denuncia a fine mese a Roma, Firenze e Venezia

22 febbraio 2021 | 10:44
Che la tendenza a una desertificazione delle città sia in atto da un anno è sotto agli occhi di tutti, ma quando sono i numeri a fotografare la situazione tutto prende una forma più precisa, diversa, in questo caso ancor più drammatica. Secondo l'analisi dell'Ufficio Studi di Confcommercio Demografia d'impresa nelle città italiane, tra il 2012 e il 2020 sono sparite dalle città italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese ambulanti (-14,8%), con un progressivo processo di desertificazione commerciale.

E la chiusura delle attività riguarda da vicinissimo tutto il mondo dell'accoglienza tra ristoranti e alberghi. Da qui scatta infatti l'altro allarme di Confcommercio: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre a un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima volta da due decenni la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).

Le imprese di ristorazione e accoglienza perse nel periodo 2012-20 sono state il 24,9%

Perdere le città, un rischio troppo grave
«Il rischio di non riavere i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico», sottolinea Confcommercio.

Per il commercio in sede fissa, tengono in qualche modo i negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%); significativi sono invece i cambiamenti legati alle modifiche dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%), queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura di sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali.

Dai centri storici ai centri commerciali
Il resto dei settori merceologici, evidenzia Confcommercio, è invece in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l'abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina. La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici.

Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, «il futuro è molto incerto. Ma occorre reagire per dare una prospettiva diversa alle nostre città che rappresentano un patrimonio da preservare e valorizzare - sottolinea ancora l'associazione - Le direttrici sono tre: un progetto di rigenerazione urbana, l'innovazione delle piccole superfici di vendita e una giusta ed equa web tax per ripristinare parità di regole di mercato tra tutte le imprese».

Cursano (Fipe): Tutelare i saperi di chi anima i centri storici
Amareggiato, duro, ma con un progetto per il futuro in tasca, il vicepresidente di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), Aldo Cursano. Secondo indiscrezioni, la Federazione avrebbe in programma tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo una marcia di protesta a Roma, Firenze e Venezia per denunciare la situazione allarmante nella quale si ritrovano i centri storici delle grandi città.

«Dobbiamo prendere atto - ha detto Cursano - che il modello di consumo e di servizi che era in vigore prima della pandemia non sta più in piedi perché è in crisi. Occorre condividerne un altro che possa rispondere ai bisogni e alle aspettative di un consumatore e di un mercato che sta profondamente cambiando, sia negli stili di vita che negli stili di consumo e di mobilità. Dopo un anno bisogna essere consapevoli che un certo modello, intorno al quale era stata costruita l’economia dei servizi e quindi delle piccole-medie attività, deve essere saper rispondere a questa sfida che ormai inizia ad avere contesti strutturati e strutturali, non più passeggeri. Salute, sicurezza, economia e lavoro devono convivere all’interno di un modello che deve diventare un punto di riferimento per tutti, per i consumatori e per chi eroga un bene».

E in che cosa consiste questo modello per altro accennato dal presidente del Consiglio, Mario Draghi nel suo primo discorso al Senato? Bisogna ripensare alle nostre città, bisogna ripensare i nostri centri storici, bisogna ricreare una dimensione su misura per ridistribuire meglio sul territorio le persone, i beni e i servizi. In questo ripensamento, il turismo ha un ruolo cruciale, non si può più pensare ad un turismo di massa e le aziende del settore (ma non solo) dovranno nascere con un’attenzione rivolta a salute e sicurezza. Per quanto riguarda la ristorazione la prospettiva di spedire un prodotto o un servizio sul lavoro o nelle abitazioni deve diventare sempre di più una missione, in questo la tecnologia diventa strategica. Salvare i centri storici è un obbligo di tutti e un interesse per tutti perchè se si perde il centro con le competenze di chi lo anima, i marchi, le culture, il know-how accumulato negli anni si perde un’intero settore economico. E poi, recuperare valore e saperi, richiederà degli anni».

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Alberto Lupini


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