Dalle Cinque Terre a Firenze, libertà di movimento o tutela delle destinazioni turistiche?

Il fine settimana di Pasqua ha acceso, ancora una volta, i riflettori sui problemi che le città turistiche e i loro residenti devono affrontare quasi quotidianamente a causa delle troppe presenze. Il rischio è che questa situazione non solo diventi un deterrente, ma che cambi per sempre il volto delle città

12 aprile 2023 | 11:02
di Gianluca Pirovano

Qualche settimana fa sono tornato a Firenze, una città che conosco bene, ma in cui non tornavo da qualche anno. Certo, era un sabato e certo, era una bella giornata di sole, ma ho dovuto fare i conti con una sensazione straniante, quasi di alienazione. Il motivo? Le orde di turisti in ogni angolo, tanto da rendere di fatto impossibile riuscire a trovare, appunto, un angolo di tranquillità in cui godersi la bellezza senza tempo del capoluogo toscano. Sensazioni che mi hanno fatto riflettere e mi hanno fatto rimbombare nella testa un interrogativo, dietro la cui risposta si cela il problema del turismo di massa nelle città d'arte italiane e non solo: io in questo posto ci vivrei? Assolutamente no.

Il weekend di Pasqua e l'overtourism

A giudicare dalla cronaca, non sono l'unico ad aver provato queste sensazioni. Il fine settimana di Pasqua, infatti, ha riacceso potentemente i riflettori sul turismo di massa e sui suoi problemi. A Portofino, per esempio, è tornata la "zona rossa": fino a ottobre, in alcuni punti del centro storico, i pedoni non potranno sostare per non creare assembramenti e rischi per la sicurezza. Dal lago di Garda, e nello specifico da Sirmione, Manerba e Desenzano, è arrivata la richiesta d'aiuto: ci sono troppi turisti, serve limitare gli accessi altrimenti la situazione rischia di diventare insostenibile. E la stessa richiesta è arrivata, ancora una volta, anche dalle Cinque Terre, invase dai turisti, che se da un lato portano denaro e muovono l'economia, dall'altro rischiano di sconvolgere il tessuto sociale di uno dei gioielli italiani.

Le richieste di questi giorni non sono di certo le prime e, certamente, non saranno le ultime. In prima linea, da sempre, nella battaglia del numero chiuso c'è Venezia, che è a un passo dal metterlo finalmente in atto. Venezia, però, gode di uno status sicuramente più elevato rispetto ad altre città, per la sua storia, per la sua natura e per il suo peso politico, che le dona una certa libertà di azione, pur nella complessità. Libertà d'azione che chiedono anche Bologna, Verona, Firenze e molte altre destinazioni turistiche italiane.

I nodi di una situazione complessa

Sul tema è intervenuto il ministro del Turismo Daniela Santanché, che non sembra essere stata portatrice di buone novelle per i sostenitori del numero chiuso: quello dell’overtourism è «un problema globale, le persone che si muovono stanno aumentando in maniera esponenziale. E le località da visitare in Europa sono più o meno sempre le stesse. Penso alle città d’arte, ad esempio, a Roma, Venezia, Firenze, ma non solo. Si è sempre pensato al numero di teste per dare i dati del turismo, oggi dobbiamo pensare invece alla spesa media di ogni visitatore. E su questo i nostri numeri sono più bassi di altri paesi europei. Ecco perché dico che bisogna alzare l’asticella, lo standard dei servizi. Personalmente - ha spiegato - non trovo che il numero chiuso possa essere una soluzione per salvaguardare le città d’arte».

Quella del ministro, è bene dirlo, è una posizione sicuramente comprensibile. A meno di situazioni particolari, come appunto quella di Venezia, limitare il turismo rappresenta una forzatura, almeno nell'immediato e agli occhi di molti operatori, nei confronti di chi nel turismo ci lavora e in tutto l'indotto che ruota intorno al turismo. Allo stesso tempo, per i meno elastici, si potrebbe aprire anche un dibattito sulla libertà di movimento, garantita dalla nostra Costituzione: se io volessi andare, chessò, a Manarola, perché non potrei farlo? Siamo sul territorio italiano, è un comune italiano, perché dovrebbe essere limitata la mia libertà di andarci? A meno che non si tratti di questioni di sicurezza...

Quando il turismo mette a rischio le città

Messe sul tavolo le due principali criticità che si oppongono al numero chiuso per le destinazioni turistiche, è bene però evidenziare le enormi criticità che l'assenza di limitazioni al turismo costringe molte destinazioni ad affrontare. Qui torniamo alla nostra prima domanda: in questo posto ci vivrei? Secondo noi, infatti, tutte o quasi le problematiche legate all'overtourism ruotano attorno al suo devastante impatto sociale. La presenza di un turismo così invadente e così impattante rende, nei fatti, le destinazioni coinvolte sempre meno vivibili e, di conseguenza, le svuota della loro anima. Abbiamo già detto di Firenze e di quella sensazione costante con cui un occhio un po' più attento si trova a fare i conti, quella cioè di sentirsi in un grande albergo diffuso o, peggio ancora, in un parco giochi, in cui ogni palazzo è pensato per chi viene in gita e non per chi in città ci vive, in cui non esistono residenti, che si spostano verso le periferie o lasciano definitivamente la città. Il Covid ha smascherato questa situazione, mostrando il centro storico di Firenze deserto e spettrale senza i turisti stranieri. Una città pensata per i turisti non è più una città pensata per chi ci vive: aumentano i prezzi, aumentano gli affitti, spariscono i servizi, sparisce il tessuto sociale. In parole povere, crolla la qualità della vita.

Gli esempi, in questo senso, sono moltissimi. Uno lampante è Bardolino, sul lago di Garda. Nel borgo si è registrato, con l'aumento del turismo, un boom di affitti brevi per turisti, che negli ultimi cinque anni sono aumentati del 278%, arrivando a quota 553. Nessun paese della Riviera degli Olivi può vantarne tanti. Il risultato? La lenta, ma costante disgregazione del tessuto sociale. Nel centro storico spariscono ogni giorno sempre più residenti, che fanno spazio a turisti mordi e fuggi. Situazioni già viste nelle grandi città d'arte e che da tempo i sindaci provano a combattere, chiedendo strumenti per limitare la diffusione degli affitti brevi e provare, in questo modo, a rivitalizzare i centri storici, ormai vocati soltanto al turismo.

 

Cinque Terre, passato e futuro

Cosa fare, quindi? Bella domanda... Una risposta chiara, al momento, è difficile darla, ma le Cinque Terre possono essere una destinazione di riferimento per valutare le azioni da intraprendere. Questo perché il gioiello ligure è diventato una meta internazionale grazie a anni di lavoro e di promozione turistica, che l'hanno riportato in auge dopo anni di costante calo demografico e dopo una storia fatta soprattutto di pesca e agricoltura. Le loro posizione e la struttura urbana dei cinque abitati, le rende tanto fragili quanto perfette per provare a limitare gli accessi, almeno in via sperimentale.

Monterosso, Vernazza, Manarola, Corniglia e Riomaggiore sono tutte raggiungibili con la ferrovia, con le stazioni che diventerebbero porta d'accesso e di controllo. Anche perché, siete mai stati alle Cinque Terre in un fine settimana d'estate? I binari invasi dai turisti sono davvero un rischio per la sicurezza e i borghi invasi dalla folla spiegano senza bisogno di parole il motivo della fuga dei residenti storici. Non è il caso di intervenire prima che sia troppo tardi?

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Alberto Lupini


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