Il cibo questo sconosciuto… Tra cuochi star e supermercati

10 febbraio 2016 | 11:42
di Matteo Scibilia
Il cibo - fresco, confezionato, congelato, cotto, semicotto, porzionato, sottovuoto, in atmosfera modificata, secco, liofilizzato, lavato, pulito - è ovunque: nei bar, nei ristoranti, nelle pizzerie, nei bistrot, nei wine bar, nei food truck lungo le strade, nei circoli privati, negli agriturismi, nelle feste di piazza, nelle fiere, negli stadi, nelle piscine, negli alberghi, negli oratori, negli aeroporti, nelle scuole - che ormai con la scusa di formare gli allievi, fanno catering per fare business - nei supermercati attrezzati con i microonde per scaldare cibo confezionato, nei centri dove si vendono mobili, nelle aziende vinicole, dove con la scusa di far degustare vino, ormai non si sfigura con un cuoco stellato. A Milano ormai si mangia anche sui tram, il cibo è ovunque… troppo, sicuramente troppo.



L’impossibile si sta avverando: ormai chi vuole, chi si organizza, invita a casa propria pseudo clienti e si fa pagare per cucinare, spesso “in nero”, senza regole e controlli. Si tratta di personal chef, chef a domicilio, chef con pochi mesi di scuola in strutture private, cuochi improvvisati ovunque.
 
Il cibo è anche in televisione; si comincia in Rai alle 6.30, e poi a seguire ogni ora con programmi di ogni ordine e grado. Fino a tarda notte cuochi e cibo impazzano in televisione, proponendo ricette spesso non replicabili. Il settore è invaso da cuochi che non rispettano norme d’igiene, cuochi senza cappelli, con orologi, con braccialetti, con anelli, cuoche con smalto alle unghie e capelli svolazzanti, cuochi con giacche variopinte, cuochi show man, cuochi tuttologi. Ci sono cuochi che nonostante le stelle e la fama costruita negli anni, promuovono patatine, sfoglie industriali, pomodori, paste, dolciari, oli, che ben poco hanno di artigianale, cuochi che tirano piatti e cibo sulle pareti, cuochi che cambiano location o alberghi cosi frequentemente che diventa difficile anche far loro una recensione. Tutti food blogger e tutti critici gastronomici.

Facebook e tutti gli altri social network sembra stiano in piedi per la presenza di cuochi, ristoranti e cibo. TripAdvisor tra alberghi e ristoranti, polemiche e denunce, ha creato un impero. Il cibo è sui quotidiani e sulle riviste di moda; il viso o la foto di un cuoco sembrano catalizzare qualsiasi comunicazione, qualsiasi programma. Ma è tutto vero? La qualità è direttamente proporzionale a questa grande abbuffata di cibo?

Se si osservano alcune delle pubblicità di questi ultimi mesi non sembra proprio che sia così. La grande distribuzione quasi per farsi perdonare o forse per non lasciare tutto il campo a Eataly ha inserito molti prodotti artigianali, prodotti di nicchia, di grande qualità, ma poi se fai il curioso tra le corsie dei supermercati, i grandi spazi sugli scaffali sono occupati dalla grande industria, dalla grande bevanda americana, dalla crema di Alba, dalle paste a 1 euro al kg, dagli oli da 3 euro al litro, e tanto altro ancora. Per non parlare dei cibi precotti, delle verdure già lessate, delle torte e dei dolciumi confezionati, delle creme già nei sac à poche, la memoria del gusto che lentamente sta scomparendo.



Eppure il mondo dei cuochi e della ristorazione è sempre in fermento, per non parlare dell’eredità di un Expo dedicato al cibo, ma c’è una eredità di Expo? Oppure le migliaia di visitatori affluivano a frotte per il biglietto scontato della sera? Ma è un’Expo nascosta quella che abbiamo ereditato; si parla di un grande successo, ma nessuno comunica i veri numeri, per esempio Eataly quanto ha incassato, il Padiglione Italia quanto ha venduto, Identità Golose quanti clienti ha ospitato, eppure se è stato un successo perché non comunicarlo, perché non rendere condivisibile questo successo italiano?

Ma dietro tutto ciò c’è il cibo, patinato, falso, furbo, spesso come fenomeno mediatico? Se si legge tra le righe e tra le pagine dei quotidiani nazionali sembra che ormai il grande successo della ristorazione, anche in piccole città corrisponda fenomeno della ristorazione etnica. Tutti affamati di sushi, involtini primavera, wasabi e zenzero, ostriche e gamberi crudi. Gli hamburger e gli “all you can eat” fanno il resto. Per carità, di qualità ne sta emergendo parecchia, tant’è che anche la Michelin sta premiando molti di queste nuove realtà, ma d’altra parte una buona Costoletta alla milanese, un buon ossobuco o una ribollita, o un cacio e pepe sembra non facciano più notizia, anzi in realtà sembra non siano più i piatti della nostra gente. Per fortuna dopo l’aspetto mediatico di Expo, gli insetti e simili sono rimasti al palo. Speriamo.

Eppure c’è una dicotomia nel mondo del cibo; cuochi e ristoratori sempre più impegnati nella valorizzazione della propria attività, tra convegni, fiere eventi in ogni angolo del paese, magari spesso un po’ elitari, in grandi alberghi o in località prestigiose in montagna o al mare. Una promozione che in molti casi non arriva al grande pubblico, relegata per lo più in pagine di turismo, in trafiletti letti dagli addetti del settore, perché è evidente che se anche molti artigiani producono panettoni eccellenti con prezzi di vendita tra 30 e 40 €, poi trovi il panettone industriale reclamizzato con lievito madre e canditi siciliani a circa 5 € al supermercato, ed è chiaro chi vince la sfida delle vendite.

E anche gli scandali delle cagliate congelate di latte straniero per fare mozzarelle pugliesi, o le uve di Prosecco non proprio di Glera, ai Sauvignon fasulli, agli oli extravergini continuamente sequestrati, e tanto altro ancora, anche questo è cibo. Poi i grandi cuochi, pubblicizzano prodotti alimentari industriali, o anche scuole di cucina per diventare cuochi in poche settimane o addirittura per diventare cuochi via web.



Si osserva qualcosa che poi ha dell’incredibile, per esempio da tempo viene reclamizzata una pentola in plastica che va in microonde per cucinare, pasta, risotti e altro in pochi minuti, una fantastica idea, tutto o molta della pubblicità sul cibo è tesa al risparmio di tempo in cucina, alle pulizie super veloci, a pentole che quasi non si lavano più, a detersivi che profumano come non mai, ma che in realtà poco vien detto sulla degradabilità. Buste e lattine con i cibi più disparati pronti solo da scaldare, verdure già lavate pronte da condire senza sporcare lavandini e pentole, in fondo basta girare nei frigo dei surgelati al super per osservare che ormai anche i grandi piatti della tradizione della nostra gastronomia sono lì in bella mostra per cotture di pochi minuti. Anche il cibo per gli animali comincia ad avere un aspetto più invitante del solito.
 
Questa è un po’ la dicotomia che osservo: da un lato grandi chef ovunque, grandi discussioni sulle stelle Michelin, i Cappelli e i punteggi vari, sui cuochi in televisione, ore di ricette in televisione, dall’altro lato il cibo spazzatura, il cibo senza conservanti e coloranti, ma che vive mesi e anni fuori dal frigorifero, croissant con creme pasticcere o confetture a temperatura ambiente che durano mesi inalterati. Qualcuno dirà che è cibo pastorizzato, sterilizzato, certo anzi per forza, ma quanto zucchero o sale contengono? Questa è un po’ la storia del cibo, questo sconosciuto, i cuochi i ristoratori hanno una grande responsabilità, il 2016 dovrebbe, anzi dovrà essere l’anno della svolta, della qualità si spera, ma anche della formazione e della spiegazione, inevitabili.

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Alberto Lupini


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