La cerca e cavatura del tartufo patrimonio culturale Unesco

Un percorso lungo otto anni ha trovato compimento oggi: il Comitato intergovernativo dell'organizzazione riunitosi a Parigi ha dato l'ok. Gioia per gli oltre 100mila praticanti in Italia e per gastronomia e turismo

16 dicembre 2021 | 12:12

La "Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali" è ufficialmente iscritta nella lista Unesco del Patrimonio culturale immateriale. La decisione è stata comunicata oggi a seguito del pronunciamento del Comitato intergovernativo dell'organizzazione delle Nazioni Unite riunitosi a Parigi. Un risultato che ha fatto felice i circa 73.600 tartufai associati alla Fnati (Federazione nazionale associazioni tartufai italiani) a cui si aggiungono 44.600 praticanti indipendenti e altre 12 associazioni che, insieme all'Associazione nazionale città del tartufo (Anct) coinvolgono una rete di 20mila liberi cercatori e cavatori.

 

Un altro riconoscimento al Made in Italy

Un riconoscimento atteso che si somma a quello già ottenuto dalla Dieta mediterranea (2010), alla vite ad alberello di Pantelleria (2014), dall’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017) oltre alle Colline del Prosecco e le faggete dell’Aspromonte e del Pollino, solo per restare nell'ambito enogastronomico e agroalimentare, e conferma l'eccellenza del patrimonio immateriale Made in Italy capace di coinvolgere il territorio e diventare volano per la ripresa economica e turistica. Il tutto facendo perno su una disciplina antica che coinvolge una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani i cui protagonisti sono la coppia cavatore-cane e il singolo tartufaio depositari di tecniche e segreti che si tramandano - spesso oralmente - di generazione in generazione. «Siamo entusiasti di questo risultato, finalmente ce l’abbiamo fatta - ha commentato Michele Boscagli, presidente di Anct - Otto anni di lavoro sono stati apprezzati, è stato un percorso che, grazie alle istituzioni competenti, ha dato l’opportunità a tutti i soggetti coinvolti di comprendere l’importanza di salvaguardare saperi e conoscenze della tradizione dei tartufai italiani. Un patrimonio collettivo, prezioso anche per le generazioni future, che va ben oltre il valore del prodotto in sé».

 

Otto anni di lavoro per arrivare a questo risultato

La candidatura tricolore ha avuto una lunghissima gestazione: la comunità aveva presentato un primo dossier al ministero della Cultura e al ministero dell'Agricoltura otto anni fa, ma il dossier non risultava in linea con la Convenzione Unesco del 2003. Dopo un continuo confronto con i ministeri, a marzo 2020 è stata presentata, dal ministero degli Esteri, la candidatura all'Unesco. Nel 2021 l'organo degli esperti mondiali ha valutato il dossier e ad ottobre ha reso noto la valutazione positiva sulla quale si è poi basato il riconoscimento ufficiale.

 

 

Pratica diffusa che fa bene al territorio

«Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri - ricorda la Coldiretti - svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore».

 

Il sottosegretario Gian Marco Centinaio: «Ulteriore slancio per il turismo enogastronomico»

Ad applaudire al riconoscimento Unesco è anche il sottosegretario all'Agricoltura, Gian Marco Centinaio: «Una decisione che valorizza una pratica complessa che in Italia mantiene un forte legame con la natura e un passaggio importante per riconoscere il ruolo dei  cavatori come dei custodi del territorio, del paesaggio e della storia». Soprattatto in quelle aree rurali interne e più svantaggiate della Penisola: «La stessa pratica della cerca e cavatura può diventare un ulteriore slancio per il turismo enogastronomico all’insegna di una sempre maggiore sostenibilità. È inoltre un significativo riconoscimento per la nostra tradizione che tutela dai rischi di una eccessiva commercializzazione come invece accade in altri paesi.  Ancora una volta si conferma la distintività del nostro agroalimentare che rappresenta un valore aggiunto e un modello nel mondo», ha concluso Centinaio

 

Che cos'è il tartufo? Una breve spiegazione

Il tartufo è un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia, il tartufo deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina il bianco (Tuber Magnatum Pico) va rigorosamente gustato a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti e per quanto riguarda i vini va abbinato con i grandi rossi Made in Italy.

 

Come e dove scoprirlo e gustarlo

Per conoscere e scoprire da vicino questo pregiato alimento, le occasioni e gli indirizzi non mancano. Al ristorante Il Tartufo di Borgotufi, albergo diffuso di Castel del Giudice (Is) in Molise il fungo ipogeo è l'ingrediente di diversi piatti dello chef Marco Pasquarelli, come la “Tartare di Manzo autunnale” (Nocciola, rape, senape e tartufo) o il “Tortello di pecora, zafferano, caciocavallo e tartufo”. Tra le bellissime terre dell'Appennino molisano-abruzzese, ci si può dedicare alle visite guidate per conoscere da vicino il re dei boschi e partecipare a deliziose degustazioni con Le Tartufaie di Ateleta (Aq) - fornitrici ufficiali del ristorante - e visitare il Museo del Tartufo a San Pietro Avellana (Is) con sezioni multimediali e multisensoriali.

 

In Umbria, al Relais Borgo Campello a Campello sul Clitunno (PG), l'inverno è il momento ideale per degustare il tartufo nero pregiato Umbro che si raccoglie proprio tra dicembre e gennaio. Il piccolo gioiello sospeso nel tempo, da scoprire in un percorso lento tra natura, storia e arte, organizza un'esclusiva caccia al tartufo con il cavatore e il suo fidato cane. Il profumato tesoro trovato tra i boschi sarà poi l'ingrediente della prelibata cena preparata dalla chef del relais.

In Emilia Romagna, anche il territorio modenese, sul suo Appennino, vede crescere buonissimi tartufi neri. Lo sa bene lo chef Paolo Balboni del ristorante Exé di Fiorano Modenese (MO) che rielabora la tradizione italiana esaltandone le caratteristiche con una buona dose di fantasia applicata a ingredienti di primissima scelta, tra cui appunto gli ottimi funghi ipogei. Per i gourmet l'esperienza ad Exè è ghiotta, perché prima si impara a fare e stendere la pasta all'uovo con la sfoglina, come nella migliore tradizione emiliana, poi lo chef insegna a cucinare qualche piatto al tartufo, che si mangia poi tutti insieme a fine lezione, in una cena conviviale e gustosa.

 

 

Infine nei boschi della Valtaro, in provincia di Parma, nel periodo fino a marzo, “Una giornata da tartufaio” è l’indimenticabile escursione alla ricerca del diamante del sottosuolo. Accompagnati da una Guida ambientale escursionistica, con l’ausilio del cane da cerca, e grazie alla collaborazione dello chef Mario Marini dell’agriturismo Il Cielo di Strela, i partecipanti imparano a individuare, raccogliere e perfino pulire e cucinare il tartufo nero. L’escursione, della durata di circa 3 ore, costa 200 euro (minimo 2 - massimo 6 persone); il pranzo a base di tartufo ha un costo di 40 euro a persona, tutto incluso

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Alberto Lupini


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