Il cash back piace alle banche, ma non agli esercenti. Ecco perchè chi incassa rischia di pagare troppo

A parte i guai nell'avvio, lo spingere ad usare le carte di credito ha degli indubbi vantaggi, ma i costi non li possono pagare solo gli esercenti. Dubbi sull'efficacia contro l'evasione fiscale . L'unico vero guadagno sarà delle banche, mentre negozi e ristoranti vedranno crescere il peso delle aliquote di gestione sul fatturato

26 dicembre 2020 | 11:00
di Alberto Lupini
Che possa essere la causa degli assembramenti per lo shopping che ci hanno portato ad un quasi lock down, francamente ci sembra esagerato anche solo pensarlo. Ma certo l’avvio del cash back non è stato un colpo di genio: sono stati sbagliati tempi e modalità. Come se bastasse abbiamo collezionato l’ennesima figuraccia di appe servizi andati in crash o in tilt: da Io, che non caricava le carte di credito, a Nexi che per alcuni giorni non dava allert sui pagamenti effettuati.

E in più, cosa di cui nessuno parla, lo Stato non ha avviato alcuna iniziativa con le banche e le società di intermediazione per incentivare e rendere più convenienti i pagamenti elettronici anche per chi “incassa”. E così negozianti e gestori di bar o ristiranti devono sottostare a costi che a volte sembrano davvero incomprensibili. E che con l’aumentare dei volumi di pagamenti con carte di credito diventeranno sempre più pesanti. Un problema a cui lo Stato, che già a messo in ginocchio gli esercenti con le chiusure imposte per la pandemia, non ha in alcun modo pensato…


Già, perché se il cashback, in sé, è un’iniziativa positiva perchè sul piano teorico promuovere l’uso delle carte di credito è funzionale ad una maggiore sicurezza negli acquisti (meno rischi di furti) e serve a ridurre l’evasione fiscale, dall’altro in queste condizioni scarica tutti i costi sui commercianti che alla fine ingrassano le banche.

Inoltre è vero che il cash back ha il non trascurabile effetto di rallentare la corsa allo shopping online (che finora privilegia solo i mega evasori fiscali come Amazon), sostenendo le attività commerciali che per le chiusure da Covid durante l’anno avevano già sofferto pesantemente, ma è anche vero che fa lievitare la quota di fatturato sottoposta alle aliquote delle banche per gli incassi con le carte di credito, limando non poco i guadagni di negozi e ristoranti. Come tutte le cose fatte forse troppo in fretta, la versione italiana (con tanto di rimborsi e lotteria) della promozione delle carte di credito presenta pin effetti molti lati negativi che non possono essere ignorati. Al punto che qualche burocrate conservatore ha preso l’occasione per esprimere delle preoccupazioni in qualità di dirigente della Banca centrale europea, a cui tocca di vigilare anche sui sistemi di pagamenti.

È il caso di Yves Mersch, membro del board della Bce, secondo il quale l’operazione sarebbe una sorta di fuga in avanti che contrasterebbe col principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Visione un po’ arretrata e distorta, ma di cui si deve tenere conto. Più in particolare il banchiere si dice perplesso sull’efficacia, in chiave anti evasione, di un provvedimento che, tra l’altro, costerà allo Stato 1,7 miliardi di euro. Mersch non ritiene proporzionato il costo del cash back anche perchè potrebbe mettere in crisi il sistema di pagamento in contanti che per lui rimane invece particolarmente importante per taluni gruppi sociali.

Una posizione oggi in minoranza fra gli economisti e che contrasta con le tendenze in atto in tutto il mondo, ma che certamente è condivisa da molti operatori commerciali. Non dimentichiamo che i soldi usati dallo Stato per incentivare questa modalità di pagamento pesano sul bilancio pubblico e alla fine li pagano tutti, anche coloro che non usano carte di credito... Tanto più che, incredibile ma vero, ci sono ancora fette consistenti della popolazione che rifiutano di avere conti in banca e non amano nemmeno la domiciliazione delle bollette. Figuriamoci avere carte di credito o bancomat come unico strumento di pagamento. Che poi questo sia un alibi per coprire anche tutta l’enorme parte “in nero” dell’economia (a partire da quella della criminalità) non credo vada spiegato a nessuno… Il “no credit card” è peraltro una posizione che sarà sempre più minoritaria e che contrasta con la tendenza dei pagamenti elettronici a tutti i livelli e con gli acquisti online, cresciuta nei mesi scorsi per effetto del lock down. Un trend che potrebbe essere ulteriormente “spinto” a breve con le operazioni in atto a livello delle banche che, da tempo, hanno individuato proprio nel mondo delle carte di credito una possibilità di mantenere un ruolo centrale nella intermediazione del denaro.



E in questa direzione ci sono novità in arrivo che potrebbero non piacere ai cittadini. La prima riguarda ad esempio possibili rincari per l’uso del bancomat per prelievi di contante. Se l’Antitrust darà il via libera alla richiesta di Bancomat Spa per cambiare il sistema dei (oggi per lo più senza costi), i risparmiatori si troveranno costi variabili per ogni sportello. Oggi i costi sono fissati dal contratto che ciascuno ha con la sua banca e vale sugli sportelli di ogni istituto. Il progetto della società di gestione degli sportelli, che fa capo a 125 banche con capofila Intesa (25%) e UniCredit (19%), punta invece ad applicare al titolare della carta la commissione definita in via autonoma da ciascuna banca proprietaria del singolo sportello dove si fa il prelievo. Come dire: banca che vai a prelevare, costo del prelievo che trovi. Senza escludere che in molte località c’è un solo sportello, e la banca potrebbe e applicare le tariffe che vuole in regime di monopolio.

Un caos già scritto… Oggi questo servizio è in genere gratuito e la banca che ha emesso il bancomat (o la carta di credito) riconosce alla banca proprietaria dello sportello una commissione interbancaria di 0,50 euro a prelievo. Un costo che oggi le banche scambiano tra di loro e che con il nuovo sistema verrebbe ad essere scaricato sui cittadini. Prima tegola. In realtà dietro questa “riforma” ci potrebbe essere una strategia per spingere ad abbandonare l’uso del contante e preferire i pagamenti con carte di credito. Tutto secondo gli obiettivi del Governo dunque? In realtà potrebbe esserlo so apprentemente, perché disincentivando l’uso del contante le banche puntano ad un maggiore utilizzo delle carte di credito e quindi ad aumentare gli introiti da questo servizio. La gestione di una carta di credito costa di più di quella in un bacomat, e le banche fanno i conti con i grandi numeri.

Se poi si aumentassero di poco i costi di gestione, con la scusa che tanto i clienti avrebbero dall’altra parte il guadagno garantito dal cash back, ecco che i bilanci delle banche si rimpinguerebbero in fretta. E questo mentre il buon senso e la richiesta degli operatori è invece quella di abbassare i costi di gestione delle carte di credito.

I primi a spingere in questa direzione sono proprio i commercianti che lamentano da sempre commissioni ritenute troppo alte. Parliamo di una quota media dell’1,1% del valore delle transazioni con carte di credito. Le aliquote variano molto in Europa e le nostre non sono comunque le più alte: sono ad esempio dell’1,3% in Gran Bretagna e di oltre 1,5% in Olanda.



Il punto è che a oggi, sul totale dei pagamenti nel commercio al dettaglio (compresi i pubblici esercizi) le carte di credito rappresentano il 26% circa. Come dire che il costo reale dell’accettare carte di credito per un esercente incide su un quarto del fatturato. Ma se per effetto del cash back e delle politiche delle banche si passasse ad esempio ad un pagamento su 2 (il che entro un anno è più che possibile), l’allarme rosso sarebbe garantito. E questo perché chi incassa dovrebbe pagare sempre più oneri. Sarebbe una sorta di nuova “tassa sul denaro”, solo che a incassarla non sarebbe lo Stato ma le banche. Ecco perché al crescere dell’uso delle carte di credito è indispensabile che siano ridotte le aliquote a carico degli esercenti.

Qualche timido segnale positivo per altro forse c’è: Nexi, ad esempio, che copre 900mila fra negozi, bar, ristoranti e servizi per le carte di credito Visa e Mastercard, estenderà a tutto il 2021 il rimborso delle commissioni sui pagamenti fino a 10 euro. In più c’è il credito di imposta del 30% sulle commissioni pagate dai commercianti per accettare pagamenti con le carte di credito. C’è una sorta di tax credit che si può usare in compensazione con il modello F24. In più Nexi sembra voler aggiornare gratuitamente i registratori di cassa di chi vorrà partecipare alla lotteria degli scontrini, pezzo forte del cash back del 2021.

In questa direzione si è mossa anche UniCredit che non applica commissioni sotto i 10 euro, mentre PagoBancomat dal 1° gennaio del 2021 e fino al 31 dicembre 2023 annullerà le commissioni di circuito e interbancaria per i pagamenti fino a 5 euro. E lo stesso fa Satispay (140mila pos) che non chiede commissioni per importi sotto i 10 euro (0,20 centesimi sul resto). Nessuno sconto, finora, viene invece dal circuito di gestione di American express, per altro i più caro ma anche il più sicuro.

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