Carne sintetica tra realtà e falsi miti. Ecco quando potremo mangiarla

La ricerca sta andando avanti ormai dal 1912 e oggi è arrivata a un punto di svolta. Produrla si può, ma costa e i processi sono lunghi. Senza contare che il sapore lascia a desiderare . D'altro canto, però, produrre carne animale ha un peso sull'ecosistema notevole tra occupazione di suolo e produzione di Co2

26 maggio 2021 | 05:00
di Mariella Morosi
La carne sintetica - meglio chiamarla sostenibile, etica o pulita per rendere il termine più invitante - sarà davvero presto sulle nostre tavole? Esultano animalisti e vegetariani che vedono possibile un futuro solo verde, protestano gli allevatori che paventano il crollo economico del settore, si interroga il mondo della gastronomia preoccupato ma attento a non bruciare le opportunità, soffrono per ora in silenzio i buongustai.

Contemporaneamente alla ricerca, ormai in fase avanzata, si afferma sempre più una coscienza ecologica con la convinzione che ognuno possa contribuire a salvare il pianeta, anche con un banale gesto quotidiano come mangiare. Non parliamo di carne vegetale (dei cosiddetti burger vegani), ma di un tipo di carne vera creata grazie a progetti di laboratorio che impiegano mezzi nutritivi per alimentare le cellule muscolari e materiali per trasformarle in tessuto. Si tratta di un processo fotocopia, per intenderci, una carne che esce da una provetta come da una stampante 3D.  



Gli allevamenti intensivi di bestiame, un grosso problema

Sotto accusa sono gli allevamenti intensivi di bestiame: consumano troppa acqua, producono CO2 e provocano un forte impatto ambientale. La produzione di carne occupa l'80% dei terreni agricoli e contribuisce a circa un quinto di tutti i gas a effetto serra prodotti dall'uomo. Eppure la richiesta è in continua crescita, le sue nobili proteine non basteranno a nutrire il mondo nei prossimi decenni e nel 2050 saremo in 10 miliardi. Il processo in atto nelle aziende internazionali di biotecnologia, lunghissimo e costoso, ha già avuto la sua fondamentale tappa nella presentazione nel 2013 a Londra del primo hamburger realizzato in vitro con cellule staminali di mucca dal ricercatore olandese Mark Post, dell'Università di Maastricht.

Una carne prodotta in laboratorio e non nei pascoli o nelle stalle anche se si tratta pur sempre di cellule vive all'origine, tratte da animali graziati cui spetta solo dare l'incipit attraverso una biopsia indolore. Il resto va da solo e gli sviluppi sono strabilianti. Avevamo appena archiviato la clonazione, risultato clamoroso ma pur sempre di vita animale, di un'aspirazione alla replica che vanta precedenti miracolosi. Ora siamo ad una procedura a freddo e sembra con possibilità di moltiplicazione infinita. L'itinerario scientifico è complesso, da addetti ai lavori, ma il risultato può essere ben compreso da tutti. Un po’ come succede per tutte le grandi innovazioni che sfidano le nostre abitudini culturali, sarà difficile convincere i consumatori. Gli scienziati lo sanno e ci stanno lavorando: lo “Yuck factor" (fattore di schifo) è la prima tipica reazione che si ha all'idea di mangiare carne ingegnerizzata.

Un problema culturale

Il dibattito è comunque aperto: forse se le persone cambiassero modo di vedere la vita e modificassero il proprio regime alimentare si potrebbero risolvere a livello mondiale molti problemi legati all’inquinamento, al consumo delle risorse, e anche gli aspetti umanitari della giusta divisione del cibo ne sarebbero coinvolti. C'è chi come il bioeticista Luca Lo Sapio mette in evidenza l'impatto positivo che questa nuova tecnologia può avere sugli equilibri della biosfera, sulla salute umana e sul benessere degli animali. Ma c'è chi parla di eco business e si interroga sugli investimenti colossali delle grandi aziende a futuri fini commerciali: la carne sintetica rappresenterebbe l’ultima frontiera da conquistare per spostare il controllo della produzione di cibo dal mondo rurale ad un gruppo di laboratori da cui dipenderà la nostra alimentazione. Quando si parla di produrre, vendere o acquistare dei prodotti, in una società orientata al consumismo è diventato difficile comprendere il vero significato dell’etica e della sostenibilità. Certo però che la produzione di carne in vitro potrebbe portare ad una ulteriore separazione tra l'uomo e la natura.

Ma c'è anche da dire che l'indotto che ruota intorno all'allevamento e al consumo di carne sostiene l'economia di interi Paesi e che non sempre (vedi OGM) le soluzioni tecnologiche possono fronteggiare il problema del nutrimento globale. Aumenterà anche la richiesta con l'aumento del benessere nei Paesi in via di sviluppo.



Carne sintetica, comunque un traguardo storico

La carne hi tech resta comunque un traguardo: ci si provava dal 1912, quando il premio Nobel Alexis Carrel al Rockefeller Institute di NY mette un piccolo tassello di muscolo cardiaco di pollo in una soluzione misteriosa, che è poi sopravvissuto per anni . Poi se ne erano occupati scienziati e visionari di varia origine. Nel 1931 il futuro primo ministro britannico Winston Churchill scrive sulle colonne del “The Strand Magazine” che sarebbe arrivato un giorno in cui l’umanità sarebbe riuscita a «sfuggire dall’assurdità di far crescere un pollo intero, solo per mangiarne il petto o l’ala, facendo crescere queste parti separatamente in un ambiente adatto». Nel 1952 un romanzo di fantascienza di Frederik Pohl e Cyril M. Kornbluth."I mercanti dello spazio", ne descrive anche i risvolti utilitaristici e qualche decennio dopo la Nasa finanzia un progetto analogo in previsione di una missione su Marte e della necessità di nutrire gli astronauti nel lungo viaggio. La vera svolta è negli anni '70 con la prima coltivazione in vitro delle fibre muscolari da parte di Russell Rosse e nel 1995 Willem Von Eelen con l'entusiasmo giovanile dei suoi 86 anni,deposita in Olanda il primo brevetto per la produzione di tessuti di carne artificiale per il consumo umano. Poi accelerazione dei successi, con costi enormi. In Giappone e negli Stati Uniti si succedono investimenti a pioggia nelle ricerca, anche Bill Gates e Google sono della partita con capitali importanti.

Alcuni ristoranti già la mettono nel menu

E ce già qualcuno che ne trova anticipazioni nel piatto. A Singapore un ristorante vola basso e propone per ora solo nuggets di pollo sintetico: e' aperto da pochi mesi e non si segnalano problemi mentre a Tel Aviv ci si ritrova al "The Chicken" che concretamente rompe ogni tabù ed espone sul bancone, come in una cucina a vista, le provette in cui macerano, crescono e si moltiplicano le cellule della polpetta promessa in menu.

Del resto senza sangue e grasso è in concorrenza con la rapa anche se è la barbabietola rossa a darle il dovuto colore. Ulteriore passo in avanti appena annunciato con enfasi è il "boccone" di carne sintetica coltivato nei laboratori dell'Università di Tokyo grazie a una nuova tecnica di medicina rigenerativa. Anche se è solo di pochi millimetri avrebbe la stessa consistenza muscolosa di quella bovina. Per la rivista Science of Food è un traguardo che potrà contribuire a migliorare la gradevolezza della carne sintetica.

In teoria è stato già detto tutto di questa nuova materia ma nella pratica i possibili sviluppi comportano implicazioni inquietanti. Parlamenti e istituzioni internazionali affrontano con imbarazzo problemi che investono economia,occupazione, crescita demografica, etica, morale, sviluppo scientifico, qualità della vita, futuro degli animali ma anche dell'animale uomo. Ancora per quanto potremo stare tranquilli e rivolgerci al nostro macellaio di fiducia?

Fantascienza o realtà prossima?

La strada è ancora lunga e molto, molto onerosa perchè la natura fa resistenza alla scienza. Quel prototipo di polpetta olandese presentata come il primo successo era costata 250mila dollari e le sue 20mila fibre muscolari individuali avevano impiegato tre mesi per crescere. Peccato che - se trasformata in bistecca - avrebbe avuto "l'aspetto flaccido e pallido di un muscolo appena tolto dal gesso": parola di Mark Post, il ricercatore che l'aveva realizzata.

Secondo un rapporto del Good Food Institute ci sono al mondo 55 realtà imprenditoriali e di ricerca che si occupano di questo tema. In Italia è attivissima nell'innovazione alimentare la start-up "Bruno Cell" che colalbora con l'università di Trento. Il nome viene da Giordano Bruno che mise in discussione il pensiero dell’epoca ipotizzando un mondo in cui uccidere gli animali per cibarsene sarebbe stato oggetto di disapprovazione sociale.



La ricerca italiana punta sull'etica

«La sua determinazione nello sfidare i paradigmi dominanti - dicono alla start up- è per noi fonte di ispirazione». Se poter disporre di un'ampia gamma di proteine alternative può avere risvolti positivi sia per la salute dell'uomo che per l'ambiente, un'analisi del World Economic Forum mette tuttavia in luce che "è molto importante garantire che non vengano intraprese politiche che incidono negativamente sul benessere o sui mezzi di sussistenza di alcuni dei gruppi più poveri e svantaggiati del mondo che allo stato attuale dipendono proprio da carne e bestiame". Le sfide tecnologiche della clean meat puntano a non aver più bisogno di uccidere animali, di crescerli in allevamenti intensivi, ma anche aumentare la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti, la velocità della produzione e ottenere una maggiore sostenibilità ambientale e minore impiego di risorse agricole. Ma non basta a placare l'indignazione degli animalisti: per ossigenare e alimentare le cellule nei bioreattori, oltre ad acqua e ad infiniti nutrienti, occorre il siero fetale bovino, con inevitabili operazioni cruente su milioni di capi.

Come sarà accolta questa carne pulita quando sarà introdotta nel mercato? Smetteranno di lanciare anatemi i vegerariani e i vegani che già hanno vinto molte battaglie? L' "Impossible Hamburger" made in California nato da soia e piselli da tempo si può gustare anche in Italia in una grande catena di fast food americana e il sapore ...beh...quello dipende soprattutto dal topping: salse e molta cipolla.

Un futuro in cui carne vera e sintetica coesisteranno?

La carne ci piace e ci è sempre piacuta e non sarà solo la nobiltà delle sue proteine a stimolarne la richiesta. Contano il gusto, le tradizioni culturali e locali e l'arte di metterla nel piatto. Ma cosa diventerà la gastronomia senza i sapori o con sapori, anche quelli artificiali, della carne sintetica? In teoria si può ipotizzare un'autoproduzione casalinga,vuoi mettere il filetto allevato da Giuseppina? E nel caso si volesse, è possibile una convivenza virtuosa fra carne e carne finta? E soprattutto potremo fare a meno del gusto e della gratificazione della tavola?

E' certo tuttavia che il cibo delle nuove generazioni non sarà lo stesso di quello delle generazioni precedenti. Una ricerca condotta da AstraRicerche, presentata il 25 maggio nell’ambito di Trend Academy/See the Next alla Camera di Commercio di Bari, fotografa la visione degli italiani in materia di innovazione in ambito alimentare. Ne risulta che per la maggior parte dei nostri connazionali il cibo rappresenta un’esperienza di piacere e soddisfazione (48,4%); solo una parte minoritaria mangia principalmente per la necessità di nutrirsi e per dare un contributo alla salute (26,3%).

Ma è interessante sapere che il 18,2% si dichiara interessato a provare prodotti in cui la carne sia sostituita, in tutto o in parte, dagli insetti, magari nella forma di farina, e ancora di più lo è che la percentuale salga al 25% tra i 18-24enni.
Non è stata fatta -per ora - un'indagine sulla carne in provetta nell' articolato mondo della ristorazione. Accetteranno gli chef di tasfornarsi in tanti Frankenstein in berretta bianca?



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Alberto Lupini


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