Buoni pasto, commissioni al 5% anche nel privato? È scontro

È battaglia sul tetto del 5% alle commissioni dei buoni pasto: Federdistribuzione e Fipe sostengono l'emendamento del Ddl Concorrenza, ritenendo le attuali commissioni (fino al 20% nel privato) insostenibili per i supermercati e i pubblici esercizi. Le aziende emettitrici si oppongono, invece, difendendo la libertà di contrattazione e minacciando un ricorso all'Antitrust

11 novembre 2024 | 12:35

Il mercato dei buoni pasto in Italia, un business da circa 4 miliardi di euro l'anno, potrebbe presto subire una svolta importante. Dopo il recente intervento sulle gare pubbliche che ha fissato un tetto massimo del 5% alle commissioni, un emendamento al Ddl Concorrenza punta ad estendere questo limite anche nel privato. La proposta, avanzata dal senatore Silvio Giovine di Fratelli d'Italia, trova il favore di Federdistribuzione, che rappresenta la grande distribuzione, e di Fipe-Confcommercio, l'associazione che riunisce i pubblici esercizi. D'altra canto, c'è però da registrare una forte opposizione da parte di Anseb, l'associazione delle società emettitrici dei buoni pasto.

Buoni pasto, Federdistribuzione: «Oggi le commissioni sono insostenibili»

Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione, ha accolto con favore l'emendamento, sottolineando l'urgenza di intervenire su commissioni che nel settore privato raggiungono il 15-20%. «È insostenibile. Le nostre imprese non sono disposte a farsi carico di questi costi» ha dichiarato. Secondo Buttarelli, la proposta non limita la concorrenza, ma anzi rappresenta un passo avanti per il mercato: «Oggi l'85% del mercato dei buoni pasto è concentrato su tre aziende. Abbassare le commissioni significa salvare i buoni pasto come strumento di welfare. Siamo convinti sia interesse anche del governo».

Il problema della concentrazione del settore è centrale nelle parole di Buttarelli. In Italia, il mercato è dominato da tre grandi operatori, tutti francesi: Edenred, Sodexo e Day. «La limitata concorrenza nel settore permette l'imposizione di commissioni che all'estero non hanno paragoni; nella stessa Francia, ad esempio, sono sotto il 5%». Questa situazione, secondo Federdistribuzione, non solo pesa sui costi della grande distribuzione, ma ostacola anche l'ingresso di nuovi attori nel mercato, impedendo di fatto un reale ampliamento della concorrenza. La questione appare ancora più rilevante in un contesto come quello italiano, dove il mercato dei buoni pasto è in crescita.

Buoni pasto, tetto al 5% nel privato: la replica delle aziende emettitrici

Da parte loro, le aziende emettitrici dei buoni pasto non intendono accettare senza riserve l'introduzione del tetto del 5% sulle commissioni e, tramite l'associazione Anseb, minacciano di portare la questione all'attenzione dell'Antitrust. Matteo Orlandini, presidente di Anseb, sostiene che il provvedimento violerebbe i principi della libera contrattazione tra le parti. «Questo provvedimento pone limiti alla libera contrattazione tra le parti - ha dichiarato Orlandini. La concorrenza esiste, tant'è che gli operatori del settore sono saliti da 9 prima del Covid ai 14 attuali. Siamo disponibili a un tavolo per valutare di ridurre le commissioni ai piccoli esercenti».

Nonostante il predominio dei tre grandi player, Orlandini minimizza il problema della concentrazione, suggerendo che l'85% del mercato in mano a tre società non sia un'anomalia. «Nessuna società della grande distribuzione è mai uscita da una convenzione, segno che si tratta di accordi sostenibili. In ogni caso, se ci fosse un problema di concorrenza, andrebbe risolto a monte, non certo imponendo un limite al negoziato tra attori privati. In ogni caso, le commissioni medie non sono del 15%, ma dell'11,5%, secondo l'unica indagine che è stata fatta sul mercato».

Buoni pasto, il parere di Fipe sulle commissioni al 5% nel privato

L'apertura a una trattativa con i piccoli esercenti non sembra comunque convincere Fipe-Confcommercio, l'Associazione italiana pubblici esercizi, che teme che le commissioni attuali mettano a rischio l'intero sistema dei buoni pasto.

Lino Enrico Stoppani, presidente dell'associazione, è chiaro: «Siamo per la salvaguardia dei buoni pasto che con queste commissioni sono a rischio tenuta. Qualsiasi provvedimento che abbassi le commissioni è benvenuto».

Il mercato dei buoni pasto tra digitale e inflazione

Per capire la realtà dei buoni pasto, va ricordato che questo strumento è regolato dall'articolo 51, comma 2, lettera c) del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e non concorre a formare il reddito imponibile del dipendente, entro specifici limiti. Per i buoni pasto digitali, la soglia di esenzione è fissata a 8 euro giornalieri, mentre per quelli cartacei il limite è di 4 euro. Qualsiasi importo che ecceda tali soglie viene considerato ai fini del calcolo della base imponibile del reddito da lavoro. Il superamento del limite di importo giornaliero fa sì che i buoni pasto non rientrino tra i fringe benefit. Non costituiscono più una retribuzione aggiuntiva erogata in una forma diversa dal denaro. Ma ai fini del trattamento fiscale viene considerata come parte della retribuzione. Questo è il motivo per il quale l'aumento dei due euro a buono pasto, attraverso alla defiscalizzazione, diventa molto importante.

Ma perché parliamo di fringe benefit in relazione ai buoni pasto? I fringe benefit sono vantaggi accessori concessi dal datore di lavoro ai dipendenti, che integrano la retribuzione principale. Possono consistere in beni, servizi o somme di denaro, come il rimborso delle utenze domestiche. Questi benefici non concorrono a formare il reddito imponibile del lavoratore e non sono soggetti a tassazione, consentendo alle aziende di evitare anche il pagamento di contributi previdenziali su di essi.

La Legge di Bilancio 2024 aveva innalzato le soglie di esenzione per i fringe benefit: per i dipendenti con figli a carico, l'importo esentasse è passato a 2mila euro, mentre per tutti gli altri lavoratori è fissato a 1mila euro. La norma definisce “figli a carico” quelli con reddito annuo non superiore a 2.840,51 euro, che può arrivare a 4mila euro per i figli fino a 24 anni. Queste modifiche rendono i fringe benefit uno strumento ancora più vantaggioso per le aziende, contribuendo al welfare aziendale e aumentando il potere d'acquisto dei lavoratori, in particolare delle famiglie.

Ma come devono essere gestiti i buoni pasto dei dipendenti in smart working? Questo ticket viene generalmente erogato al lavoratore in relazione alla prestazione di una giornata lavorativa, anche in modalità smart working, perché secondo la Dre (Direzione regionale delle entrate) i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito, perché secondo le agevolazioni devono essere applicate indipendentemente da dove il singolo professionista eserciti la propria attività. Purché sia un dipendente. Il datore di lavoro non deve applicare la ritenuta d'acconto ai fini Irpef per i lavoratori in smart working ai quali vengono erogati i buoni pasto. La modalità lavorativa, in ufficio o a casa, non influisce direttamente sulla normativa fiscale.

Una recente sentenza della Cassazione, inoltre, ha stabilito che i buoni pasto possono essere erogati anche in ferie perché considerati parte integrante della retribuzione. Questa decisione apre nuovi scenari sia per quanto riguarda le rivendicazione dei lavoratori che per l'impianto normativo stesso, almeno dal punto di vista fiscale. Il quadro appena descritto, infatti, potrebbe essere stravolto dal fatto di considerare i buoni pasto una voce della retribuzione e non è escluso che questo principio, se universalmente accettato, non possa portare ad una revisione in termini di esenzioni e benefici.

Evoluzione dei buoni pasto in Italia: un'analisi dal 2004 al 2023

Negli ultimi due decenni, il mercato dei buoni pasto in Italia ha subito come detto significative trasformazioni, riflettendo cambiamenti economici, tecnologici e sociali. Dall'utilizzo dei buoni cartacei all'inizio degli anni 2000 all'adozione massiccia dei buoni elettronici nel 2023, questo benefit aziendale è cresciuto notevolmente in diffusione e importanza. Nella tabella abbiamo cercato di riassumere alcuni dei cambiamenti più importanti per dare un'idea più precisa della loro realtà, anche sociale.

Nel 2004, il valore massimo detassato del buono pasto cartaceo era di 5,29 €. Questo importo è rimasto stabile per molti anni, attestandosi a 5,29 € anche nel 2010. Nel 2015, per incentivare la digitalizzazione, è stato introdotto il buono pasto elettronico con un valore massimo detassato di 7,00 €, mentre quello cartaceo è rimasto invariato. Nel 2020, ulteriori modifiche hanno portato il valore del buono elettronico a 8,00 €, riducendo quello cartaceo a 4,00 €. Questa strategia ha spinto aziende e dipendenti a preferire i buoni digitali, favorendo la modernizzazione del settore.

Il costo medio di un pranzo veloce è aumentato nel tempo. Da circa 9,00 € nel 2004, è salito a circa 11,00 € nel 2010 e a circa 11,50 € nel 2020. Nel 2023, il prezzo medio ha raggiunto circa 12,00 €. Questo incremento riflette l'inflazione e l'aumento dei costi nel settore della ristorazione, rendendo i buoni pasto un beneficio sempre più apprezzato dai lavoratori per sostenere le spese quotidiane. Nel 2010, si stimavano circa 400 milioni di buoni pasto emessi, con oltre 80mila aziende che li distribuivano. Nel 2020, il numero di buoni emessi è salito a circa 500 milioni, coinvolgendo oltre 100mila aziende. Nel 2023, si è raggiunta la cifra di circa 600 milioni di buoni emessi e oltre 110mila aziende partecipanti. Questa crescita indica una maggiore diffusione dei buoni pasto come strumento di welfare aziendale e di supporto al potere d'acquisto dei dipendenti.

Nel 2010, il 70% dei buoni pasto era utilizzato per consumare pasti presso ristoranti e bar, mentre il 30% era destinato all'acquisto di generi alimentari nei negozi. Nel 2023, la proporzione è cambiata: il 55% dei buoni viene utilizzato nella ristorazione e il 45% nei negozi alimentari. Questo cambiamento riflette nuove abitudini di consumo, influenzate anche dalla pandemia di Covid-19, che ha portato più persone a cucinare a casa e a fare acquisti nei supermercati. La percentuale di buoni pasto digitali è cresciuta esponenzialmente. Dal 5% nel 2004, è passata al 20% nel 2010, al 40% nel 2015 e ha raggiunto il 70% nel 2023. Gli incentivi fiscali e la maggiore praticità nell'utilizzo dei buoni elettronici hanno favorito questa transizione, migliorando l'efficienza, la tracciabilità e riducendo i costi amministrativi per le aziende.

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Alberto Lupini


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