Bar e ristoranti lanciano l'allarme: rischio speculazione coi rincari delle materie prime

La Fipe lancia l'allarme speculazioni sul costo delle materie prime che potrebbe ripercuotersi sugli scontrini al tavolo e quindi sui consumatori. L'allerta è lungo tutta la filiera di ogni settore. L'acciaio costa il 45% in più, i container crescono da 5mila a 30mila euro. Ma preoccupa anche la mancanza di materie prime

20 ottobre 2021 | 11:18
di Federico Biffignandi

Bar e ristoranti sono costretti a tornare con le antenne dritte, lanciando allarmi: dopo quelli in cui si chiedeva di poter restare aperti nelle varie fasi calde della pandemia, ora c’è il problema dei prezzi delle materie prime alle stelle che - anche a causa di speculazioni lungo la filiera - potrebbero comportare un innalzamento dei prezzi degli scontrini al bancone, rallentando questa fase di ripresa così proficua. Dal punto di vista dei produttori, le incidenze ci sono già, nei ristoranti ancora no, ma si teme possano arrivare presto. Fipe ha già chiesto più controlli proprio per evitare speculazioni.

L'appello di Stoppani

«Registriamo con preoccupazione - ha detto il presidente Lino Stoppani - le forti tensioni inflattive che riguardano materie prime, energia utenze e servizi vari, che rischiano di pregiudicare la ripresa economica in atto con pericolose ripercussioni sui prezzi dei listini delle attività di pubblico esercizio. In una situazione in cui il Paese sta correndo per tornare al punto di partenza, e cioè ai livelli di consumi pre-Covid, queste tensioni minano la fiducia dei consumatori e riducono il potere d’acquisto delle famiglie. È necessario, quindi, che il Governo attivi presidi di monitoraggio e controllo, soprattutto per contrastare le forti componenti speculative che stanno pericolosamente alimentando gli aumenti su prodotti e servizi e che, se non contrastati, produrranno una inevitabile e forte crescita dei prezzi».

Costi dell'energia, ma non solo

L’attenzione in queste settimane si era concentrata sull’aumento dei prezzi di gas ed energia elettrica, poi sul carburante. Ma la lista è lunga, quasi infinita se si considera che si tratta di una catena che si alimenta da anello ad anello, come abbiamo raccontato nello specifico per il mondo del caffè. I numeri sono esorbitanti e il problema riguarda da vicino anche i container per i trasporti che stanno ostacolando non poco le esportazioni. Due gli esempi: un container vuoto che prima del Covid partiva da Rotterdam e approdava a Shanghai costava 5mila dollari, oggi ne costa 30mila. Nel mondo del vino, un container che partiva dalla Cine in direzione Europa costava 1.800 euro prima della pandemia, oggi ne costa 8mila.

Gli aumenti principali: acciaio, +45%

Perché? Perché il costo dell’energia è aumentato del 30%, i costi dei trasporti del 6%, i costi di produzione dell’11%, della plastica del 12%, delle materie prime del 15%, dell’acciaio addirittura del 45%. Erik Weiss, ceo di Meiko, azienda che si occupa di pulizia e sanificazione nel mondo dell’Horeca, non usa mezzi termini: «La situazione è drammatica - ha detto - e non si ha nemmeno una visione totale di quello che sta accadendo: penso ad esempio all’elettronica con la carenza di microchip che comporta un altro rimbalzo dei costi; in questo caso le aziende europee non hanno rispettato i limiti ai volumi di acquisto, i produttori asiatici hanno diminuito la produzione a causa della pandemia e ora mancano pezzi e i prezzi di quelli che ci sono, sono altissimi. Detto questo, non credo che la ripresa subirà uno stop, ma di certo ci sarà un incremento dell’inflazione che avrà ripercussioni soprattutto sui consumatori».

Sul tema speculazioni, c’è massima attenzione: «Soprattutto in questo semestre - spiega - ci sarà chi tenterà di speculare, approfittando della situazione generale e applicando rincari doppi rispetto alla realtà, mascherandoli poi con promozioni e scontistica. Il problema però è ancor più alla radice: le aziende europee in questi vent’anni hanno delegato tutto al mercato asiatico per abbassare i costi, che oggi però schizzano all’insù e non si può che aspettare una scossa di quei mercati».

Nel vino preoccupa la mancanza di vetro

Cambia il settore, cambiano le materie prime più utilizzate, ma non cambia l’umore. Entriamo in casa Marchesi Antinori grazie a Enrico Chiavacci, direttore marketing, il quale aggiunge un problema ulteriore, oltre ai costi: «La questione - dice - non è solo relativa ai costi che si alzano, ma anche ai tempi di consegna che si allungano notevolmente. Le materie prime mancano e quindi si ritardano le consegne di tutto. Penso al vetro: manca il silicio e quindi i costi lievitano del 20-30%, una bottiglia normale di vetro che prima costava 36 centesimi, oggi ne costa 46. E così vale per sughero, carta, logistica. Per quanto riguarda il vino poi, bisogna considerare la vendemmia scarsa di quest’anno che, sommata a tutto quello che abbiamo detto, potrebbe portare ad un riposizionamento dei prezzi molto importante. Tornare al pre-pandemia insomma sarà quasi impossibile».

L'onda non arriva in tutti i ristoranti (per ora)

Dai primi anelli di filiera, ai quasi ultimi rappresentati da bar e ristoranti, da chi deve guardare in faccia il consumatore nel momento in cui gli presenta uno scontrino lievitato. Per una “lontananza” rispetto all’origine del percorso di ogni prodotto, la maggior parte degli effetti ancora non si sono visti. Va detto che per alcuni il problema sarà minore, soprattutto nelle località più marittime dove d’inverno si chiude.

È il caso dello chef Moreno Cedroni, due stelle Michelin, che spiega: «Non abbiamo ancora avuto modo di vedere l’impatto, forse ce ne renderemo conto quando riapriremo. Il 7 novembre chiudiamo, ne riparleremo quando studieremo la proposta dell’anno prossimo che dovrà tenere in considerazione l’andamento dei mercati, come sempre».

Tano Simonato: il guadagno netto è sceso dal 25% al 12%

Tra l’agguerrito e il desolato, Tano Simonato, chef stellato dell’omonimo ristorante di Milano: «Sono quattro anno che tengo fermi i prezzi - ricorda - ma già 4 anni fa quando li ho applicati mi vergognavo e mi vergogno tuttora perché mi sembra di rapinare i clienti. Propongo i primi a 30 euro e i secondi a 50, ma per poterci guadagnare il giusto dovrei proporli a 45 e 70 euro: è vero che il mio è un ristorante stellato e apprezzato, ma così non mi piace. E si badi bene che applico questi prezzi per poter avere un ricavo netto - considerata ogni voce di spesa che comporta il gestire un ristorante - del 12% invece che del 25% come era nel 2008. Ma da allora non avevo più potuto praticare questa percentuale. La clientela però risponde bene: i fedelissimi si accorgono di pagare sempre uguale, i nuovi (tanti) apprezzano tariffe migliori rispetto alla media. La mia scelta è di fare mangiare al cliente quello che vuole e non fargli scegliere il piatto in base al prezzo.».

Il panettone costerà il 10% in più

Intanto le feste natalizie si avvicinano e i conti degli italiani inizieranno a svuotarsi, un po’ di più quest’anno proprio per questi aumenti. Non solo i regali saranno più cari, ma anche i simboli dell’enogastronomia italiana, come il panettone. L’aumento dei costi del dolce emblema della Festività si attesterà attorno al 10%. La denuncia arriva direttamente dai panificatori milanesi, per i quali, ormai, la strada è diventata strettissima. «Se aumentiamo il costo finale rischiamo di perdere coloro che già hanno ridotto i consumi. Se abbassiamo la qualità, ci giochiamo la clientela più esigente, che è quella sulla quale tutti noi scommettiamo. Ma se non ritocchiamo i prezzi, non incassiamo il margine che ci consente di vivere e stare sul mercato», spiega il presidente di Unione Artigiani Milano Stefano Fugazza, terza generazione di una famiglia di panettieri da 110 anni attivi nel quartiere Lambrate.

«Complessivamente, per quanto riguarda le michette, si tratta di uno, due centesimi a pagnotta, ma noi dobbiamo moltiplicare questo costo decine di migliaia di volte per ogni panino che inforniamo - aggiunge -. Per fortuna arriva Natale. A Milano ci salveremo coi panettoni, che però costeranno come minimo il 10% in più, se l'altro 10% che sarebbe necessario ce lo paghiamo noi».

L'allarme, per la categoria, è già rovente: in pochi mesi le farine di qualità media sono aumentate fino all'80% ed è previsto un ulteriore balzo dal prossimo anno. Si registra una crescita vertiginosa dei prezzi di tutte le altre materie prime: burro, lieviti, olio, marmellate, cioccolato, senza parlare dei tempi di approvvigionamento e dei costi dei trasporti. Sono schizzati anche tutti i prezzi dell'energia, dal gas all'elettricità che impattano pesantemente sulle bollette per i forni.

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Alberto Lupini


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