Ancora divieto di pesca per l’anguilla del Garda: è giallo diossina

Il Ministro della Salute ha prorogato per l'11° anno l'embargo sulla cattura e il consumo delle anguille del lago per scongiurare pericoli per la salute connessi alla persistenza dei contaminanti. Si attendono nuovi dati

18 luglio 2022 | 09:52
di Renato Andreolassi

La notizia è di quelle che lasciano, a dir poco, perplessi. Il Ministro della salute ha prorogato per l'undicesimo anno l'embargo sulla cattura e il consumo delle anguille del lago di Garda. La misura è in vigore dal 22 giugno 2011, e rimarrà in essere fino al giugno 2023. Secondo quanto stabilito nell'ordinanza firmata dal ministro Roberto Speranza, il divieto di commercializzazione delle anguille del Benaco e destinate all'alimentazione, deve rimanere in vigore per scongiurare pericoli per la salute connessi alla persistenza dei contaminanti.


È giallo “biologico”

In sostanza, vi sarebbero Pcb – diossina - e policlorobifenili nelle carni delle anguille del lago. E qui si innesta il giallo biologico. Secondo più di un esperto da tempo, non vi sarebbero più tracce dell'inquinante. Per cercare di fare chiarezza sull'intera questione, Lombardia, Veneto e Trentino hanno disposto nella primavera scorsa nuove analisi a distanza di cinque anni, dagli ultimi accertamenti. Adesso si attendono con curiosità e interesse i risultati, da parte dei pescatori ma anche dei ristoranti e degli operatori turistici del più grande lago italiano.


La presenza della diossina

Nel 2016 l'Istituto zooprofilattico di Teramo aveva accertato la presenza di Pcb - diossina oltre i limiti previsti dall'Ue, in quasi la metà degli esemplari delle anguille analizzate, 42 su 90. Nell'arco di cinque anni, secondo il Ministero non vi sarebbero stati apprezzabili miglioramenti in considerazione dei lunghi tempi di persistenza degli inquinanti, nei sedimenti lacustri e nel muscolo delle anguille. Per l'Arpa-Agenzia regionale per l'ambiente - invece non si sarebbe diossina nei fondali del lago di Garda. A questo punto, si fanno due ipotesi. La prima, è che uno stock di anguille immesse nel Benaco e provenienti da altre zone, anche d'Oltralpe, fossero già contaminate all'origine. Oppure, seconda ipotesi, la contaminazione potrebbe esser avvenuta lentamente per piccoli depositi accumulati con l'alimentazione “bentonica”, vista anche la longevità dell'anguilla. La parola adesso alle nuove analisi scientifiche effettuate dagli esperti della Lombardia, Veneto e Trentino. Sperando in bene!

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Alberto Lupini


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