Alzare il tetto al contante non è la soluzione: “Azzerare le commissioni dei Pos”

La voce di chi lavora nella ristorazione è unanime: l'innalzamento del tetto all'utilizzo del contante non è un problema, ma per dare una mano alle imprese serve intervenire sulle commissioni dei pagamenti elettronici

07 novembre 2022 | 09:38
di Berto Silva

Il Governo Meloni, insediato da poco, ha già annunciato che presto interverrà sull’aumento al tetto del contante, materia più volte modificata nel corso degli anni dai diversi governi in carica che si sono succeduti. Un tema che si lega indirettamente all’impiego del Pos pagamento alternativo che non prevede l’uso dei contanti ma che comporta all’esercente il pagamento delle commissioni.

Tetto al contante, come funziona oggi 

Al momento la soglia è 2.000 euro, per effetto di una modifica inserita nel decreto Milleproroghe che aveva spostato l’entrata in vigore del tetto a 1.000 euro dal 1 gennaio 2022 al primo gennaio 2023. Con il nuovo Governo la Lega ha avanzato una proposta di legge per alzare il tetto all’utilizzo del contante a 10mila euro, che secondo fonti governative dovrebbe scendere a 5mila euro. Un innalzamento che, di fatto, allineerebbe l’Italia al resto d’Europa visto che per la Germania, l’Olanda, l’Ungheria, l’Austria, la Finlandia, Cipro, l’Estonia, il Lussemburgo e l’Irlanda non ci sono limiti in tal senso.

Il Pos della discordia 

Ormai è storia nota che dal 1 luglio 2022 tutti gli esercenti sono obbligati ad accettare i pagamenti elettronici, nuova normativa che prevede una sanzione pecuniaria di 30 euro che viene aumentata del 4% del valore della transazione per chi rifiuta un pagamento con carta. La nostra redazione è andata al cuore del problema (proseguendo l'approfondimento iniziato nei giorni scorsi) e ha voluto testare il polso degli operatori che tutti i giorni maneggiano il ‘Pos’, il dispositivo elevato quasi a totem per i pagamenti ma che fa discutere molte categorie e penalizza in gran parte la filiera della ristorazione.

Le commissioni penalizzano gli esercenti 

E proprio bar, ristoranti e pizzerie – interpellati da ‘Italia a Tavola’ – seppur riconoscendo il valore in sé del pagamento digitale hanno sottolineato il peso, anche sul fatturato complessivo annuale, dei costi legati alle transizioni finanziare per ogni pagamento. Uno strumento quindi poco virtuoso perché danneggia gli esercenti, un segmento già colpito fortemente dalla pandemia, dalla crisi energetica e dal costo delle materie prime.

 

 

Aumentare il contante non è un problema

«La gestione del contante, e quindi un possibile aumento del tetto, se fatta con trasparenza non è un problema calcolando peraltro che le attività di ristorazione sono già - e giustamente – sottoposte a controlli sistematici come la fatturazione elettronica e lo scontrino fiscale», commenta Alessandro Camponeschi, proprietario del Ristorante Camponeschi, giunto alla terza generazione di una famiglia che rappresenta l’alta cucina della Capitale e luogo d’eccellenza per il jet-set internazionale. «Il detto che il ‘pesce puzza dalla testa’ spiega bene il concetto: noi ristoranti siamo la coda, ovvero l’ultimo anello di una filiera molto più complessa che andrebbe scandagliata da cima prima che dal fondo. Sul Pos, di cui è fuori dubbio la versatilità, dovrebbe essere uno tra i pagamenti non il solo esclusivo come è sempre stato. Bisogna dire che oltre al pagamento delle commissioni - che andrebbero azzerate - l’esercente deve però farsi anche carico dell’affitto dello strumento e dell’eventuale manutenzione. Insomma, non è tutt’oro quel che luccica», chiosa Camponeschi. 

«L'Italia sul contante è in ritardo rispetto all'Europa»

Marco Ciampini proprietario dell’omonimo ‘Caffè Ciampini’ - storico ristorante in piazza della Trinità dei Monti e inventore del famoso ‘gelato al tartufo’ – segnala come «sull’aumento al tetto del contante l’Italia è in ritardo rispetto alla media europea. Intervento che invece potrebbe dare una spinta maggiore al volano economico e se si azzerassero anche i costi del Pos questo combinato disposto produrrebbe effetti positivi e virtuosi per le nostre attività e quindi per l’economia diffusa. Ben vengano i controlli, ma l’evasione fiscale non va cercata in una tazzina di caffè altrimenti faremmo la fine dell’uomo che guarda il dito e non la luna». 

Nessuno è contrario al Pos 

Dal centro storico alla periferia di Roma il trend non cambia e a confermarlo sono Paolo Pinti e Davide Di Pinti, proprietari del ‘Barrio Caffè’ a Villaggio Prenestino – zona popolare e popolosa - dalle colazioni agli aperitivi con enoteca di livello e taglieri. «Nessuno è contrario al Pos, strumento di per sé utile ma l’innovazione deve correre insieme alla gestione economica. Siamo un locale di quartiere dove oltre al caffè il pagamento elettronico avviene anche per una ricarica telefonica, questo significa pagare una pioggia di commissioni che ovviamente alla fine gravano sugli incassi. In un momento peraltro di sofferenza come questo per le piccole medie imprese – spesso anche a conduzione familiare – rendere le transizioni a zero rappresenterebbe una boccata d’ossigeno per tutti noi». 

La soluzione? Tagliare le commissioni 

«Sull’aumento del tetto al contante si sarebbe potuti intervenire già da tempo», spiega Angelo Iezzi presidente dell’Associazione Pizzerie Italiane con sedi in Italia e nel mondo da New York a Dubai. «L’obiettivo dei nostri governanti dovrebbe essere quello - stabilite delle regole chiare e definite - di liberare energie e dare la possibilità a chi fa impresa in Italia di produrre ricchezza e posti di lavoro. Sul Pos, secondo i dati dell’Api che conta 10mila pizzerie associate, una location medio grande emette transazioni digitali per circa 200mila euro l’anno. Se a questa cifra ci applichiamo le percentuali relative ai pagamenti con bancomat e carta di credito, questo si traduce in commissioni pari a qualche decina di milioni di euro sulle spalle di ogni impresa. Se si vuole dare un segnale andrebbero tagliate le commissioni, altrimenti facciamo la fine della nave che imbarca acqua, tanta ne levi altrettanta ne entra». 

 

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Alberto Lupini


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