Al ristorante la tradizione vince ancora. Ma che fatica nelle città...

Nonostante l'exploit del fusion, la tradizione resta un punto fermo al ristorante. I consumatori, sempre più disorientati, cercano sapori autentici e una cucina che sappia evocare emozioni legate alla memoria . Si tratta di un ritorno alla “cucina della nonna”. Nei centri urbani, però, questo approccio incontra più ostacoli, tra offerta piatta e difficoltà di approvvigionamento

04 dicembre 2024 | 05:00
di Gabriele Ancona

Il mondo della ristorazione viene tirato per la giacchetta da più parti. Le tendenze, i consumi mordi e fuggi dei giovani o quelli di chi può permettersi di spendere cifre da capogiro senza nemmeno toccare l'alta cucina - e qui siamo immersi nel fuori casa un po' spocchioso di Milano - stanno sviluppando uno scenario di formule caotico se non contraddittorio. Per non parlare della cucina che va oltre l'etnico, proponendo uno stile fusion talvolta esagerato. E poi il titolato fine dining, laboratorio di ricerca per pochi, per chi è in cucina e per chi è in sala. Nel complesso, un mosaico ricco di tessere, ma appannato.

Ristorazione e tradizione: dall'affollamento alla chiarezza

Il consumatore gode di un ampio spettro di scelte, ma capita che non sappia scegliere. E sparare nel mucchio non conviene. Vuole chiarezza mettendo mano al portafoglio. I confini ben definiti oggi sembra siano rappresentati dalla certezza della tradizione. Con ingredienti riconoscibili alla vista e al palato. È come se si ricercasse una cucina di casa elaborata da una mano ferma, professionale. Quella di un cuoco senza narcisismi. Il tutto a ogni latitudine dell'offerta, da quella più semplice alla più aulica. Un panorama identitario rappresentato da due casi contrapposti, tanto per mantenere il terreno sdrucciolevole.

Ristorazione e tradizione: due casi all'opposto

A Milano da pochi giorni ha aperto i battenti l'Osteria Afrodite, il quarto ristorante di La Gioia Collection, gruppo che vuole distinguersi per il concept di “Nuovo classico italiano”, che unisce ricette tradizionali a una sensibilità moderna, valorizzando ingredienti freschi e preparazioni fatte in casa. Un locale che sa intrepretare la tradizione della classica trattoria italiana di livello. È invece ancora caldo l'annuncio che la storica osteria Le Vigne, che si affaccia sul Naviglio Grande, servirà la sua cucina per l'ultima volta il 31 dicembre. Una cucina all'insegna del tipico, che abbassa però la guardia perché circondata da locali dall'aperitivo glam e dai tanti per turisti che massificano l'offerta a beneficio del cassetto.

Sui Navigli la tradizione dell'osteria sincera dove si mangia riso giallo, mondeghili, ossobuco e magari si fa amicizia con il tavolo vicino è tramontata. Per questo Le Vigne chiude. Abbiamo annotato due casi che lasciano spiazzati e pongono un interrogativo di fondo. In quale contesto la tradizione tiene banco? Perché, davvero, uno taglia il nastro e l'altro tira giù la claire? C'è troppa offerta e molta improvvisazione? Qual è il percorso virtuoso, quello all'essenza, della ristorazione di oggi?

Luciano Spigaroli rappresenta la famiglia che dal 1920 offre benessere e accoglienza gastronomica a Polesine Zibello (Pr), dove nel 1960 è stato inaugurato il ristorante Al Cavallino Bianco, che guida con il fratello Massimo. Luciano, che ricopre anche la carica di segretario generale operativo dell'Unione Ristoranti del Buon Ricordo, è un interlocutore ideale quando si parla di cucina e di tradizione.

Ristorazione e tradizione: si ricercano i piatti storici

«C'è un ritorno potente a quella che viene definita la cucina della nonna - spiega. Un modo di dire che non è un luogo comune e che ha un significato profondo. Si ricercano con sempre maggiore intensità i piatti storici, che utilizzano i prodotti della tradizione, ma lavorati in modo più leggero, con una grande attenzione ai valori nutrizionali. Una cucina sana, che fa star bene ma che è anche recupero della storia. Questo anche perché la società è cambiata e molte ricette che erano patrimonio delle famiglie si sono un po' perse in quanto in casa si cucina in modo diverso e manca il tempo tecnico, che una volta era appannaggio della mano femminile. Si andava al ristorante per scoprire nuove proposte. Oggi si cercano i sapori di un tempo, quelli di una cucina delle identità che sappia offrire anche emozioni. Una cucina senza lavorazioni eccessive. Nelle grandi città questa domanda esiste, ma incontra più difficoltà rispetto ai piccoli centri. Un po' per l'affollamento di un'offerta molto diversificata, un po' per la difficoltà nel reperire le giuste materie prime che fuori porta sono più a portata di mano».

Ristorazione e tradizione: i centri urbani sono uguali

Quando si parla di tradizione un punto di vista autorevole e obbligato è quello rappresentato dall'Associazione Locali Storici d'Italia, sodalizio che conta circa 200 soci esercizi (alberghi, ristoranti, trattorie, confetterie, pasticcerie, grapperie, caffè letterari) che hanno almeno 70 anni di vita e, per loro natura, hanno resistito a cambiamenti sociali e culturali di ogni tipo. Per non parlare degli eventi bellici, se si pensa che l'età media è di 150 anni. «Se si fa attenzione - si sottolinea dall'Associazione - ci si rende conto che i centri urbani sono uguali. È in essere un appiattimento dell'offerta che noi contrastiamo preservando e facendo riscoprire i locali più veri, emblemi di cultura e tradizione». Un terzo degli associati è rappresentato da ristoranti e trattorie, di cui si vuole conservare le attività e il retaggio sia gastronomico sia di famiglia. L'Associazione è impegnata nel promuovere e stimolare i valori del turismo culturale, perché questi locali siano sempre più meta ragionata di un nuovo e più completo modo di capire e fruire del patrimonio storico e delle tradizioni del nostro Paese.

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Alberto Lupini


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