Con Airbnb aumentano i turisti in Italia Ma servono regole e professionalità
12 maggio 2016 | 14:33
Il turismo in Italia, e non solo, ha un nuovo volto: quello dell'house sharing. Attore primo in questo palcoscenico di affitti per turisti, è la piattaforma californiana Airbnb, che stando ai dati diffusi di recente ha portato in Italia nel 2015 ben 3,6 milioni di turisti. Ma attenzione, il settore alberghiero “ufficiale”, a causa di una così prepotente concorrenza potrebbe, come sottolinea Fabio Primerano di Apam, l'associazione di Confcommercio, «anche perdere posti di lavoro». Il motivo è semplice: la condivisione/affitto di una casa tra privati non è soggetta alla regolamentazione che invece interessa il comparto dell'ospitalità.
Mentre Airbnb continua ad ottenere successi nelle maggiori città italiane, da Milano a Firenze fino a Roma, portando notevoli introiti tra conti in famiglia, attività commerciali e casse statali, è grande la preoccupazione che trapela dalle parole dei professionisti dell'ospitalità, che ripetutamente chiedono limitazioni e controlli nei confronti di queste nuove piattaforme. «C'è un impressionante calo delle case disponibili per gli affitti tradizionali 1+1 anni - continua Fabio Primerano - e si sviliscono le competenze professionali richieste per l'ospitalità».
Il problema maggiore non è tanto l'esistenza di Airbnb e l'offerta promossa dalla piattaforma in quanto tale: come specifica infatti il country manager Airbnb Matteo Stifanelli, confrontando l'affitto tradizionale e il settore dell'hotellerie con l'“house sharing”, «sono due tipi diversi di accoglienza che possono convivere». Ciò che deve essere risolto in maniera netta e definitiva, è piuttosto la regolamentazione degli affitti, evitando se non altro un fenomeno di evasione fiscale. Lo stesso motivo, viene da pensare, per cui molti ristoratori contestano l'esistenza degli home restaurant.
La tendenza sembra proprio questa, è lo stesso ministro dei Beni cuolturali e del Turismo Dario Franceschini a dirlo, intervenendo al congresso Airbnb a Roma: «Stiamo lavorando per mettere a punto regole trasparenti, senza però ingabbiare l'house sharing». La prima città a firmare un accordo con la multinazionale degli affitti online per contrastare l'evasione è stata Firenze, la quale, attraverso controlli anti-evasione di vigili e guardia di finanza, ha recentemente “portato alla luce” 2.644 persone che effettuano attività di affitto turistico non professionale, ben 700 unità in più rispetto a quelle calcolate l'1 gennaio 2016.
Solo con regole chiare e rigorose, il turismo italiana potrà godere appieno dei vantaggi dati da Airbnb. Basti considerare che Palazzo Vecchio ha raccolto nel primo trimestre del 2016 quest'anno 300mila euro in tasse di soggiorno, il doppio rispetto ai primi quattro mesi dell'anno passato. A Milano, gli introiti portati dal turismo Airbnb superano i 400milioni l'anno tra tasse, guadagni familiari e spese in attività commerciali. Roma, dal canto suo, con 758mila visitatori del “nuovo” turismo, ha incassato altrettanto nel 2015.
Aiuterebbe allungare lo sguardo all'estero: insegnano le normative votate da «Berlino, Amsterdam, Parigi, Barcellona. Ovunque - spiega Maurizio Naro, presidente Apam - non c'è solo la tassa di soggiorno, ma anche, come minimo, l'obbligo di licenza». Una più uniforme “ripartizione dei visitatori” certamente non guasterebbe al turismo in generale, sia esso nuovo o vecchio, affinché i postulati base del lavoro non vengano messi in discussione.
Mentre Airbnb continua ad ottenere successi nelle maggiori città italiane, da Milano a Firenze fino a Roma, portando notevoli introiti tra conti in famiglia, attività commerciali e casse statali, è grande la preoccupazione che trapela dalle parole dei professionisti dell'ospitalità, che ripetutamente chiedono limitazioni e controlli nei confronti di queste nuove piattaforme. «C'è un impressionante calo delle case disponibili per gli affitti tradizionali 1+1 anni - continua Fabio Primerano - e si sviliscono le competenze professionali richieste per l'ospitalità».
Il problema maggiore non è tanto l'esistenza di Airbnb e l'offerta promossa dalla piattaforma in quanto tale: come specifica infatti il country manager Airbnb Matteo Stifanelli, confrontando l'affitto tradizionale e il settore dell'hotellerie con l'“house sharing”, «sono due tipi diversi di accoglienza che possono convivere». Ciò che deve essere risolto in maniera netta e definitiva, è piuttosto la regolamentazione degli affitti, evitando se non altro un fenomeno di evasione fiscale. Lo stesso motivo, viene da pensare, per cui molti ristoratori contestano l'esistenza degli home restaurant.
La tendenza sembra proprio questa, è lo stesso ministro dei Beni cuolturali e del Turismo Dario Franceschini a dirlo, intervenendo al congresso Airbnb a Roma: «Stiamo lavorando per mettere a punto regole trasparenti, senza però ingabbiare l'house sharing». La prima città a firmare un accordo con la multinazionale degli affitti online per contrastare l'evasione è stata Firenze, la quale, attraverso controlli anti-evasione di vigili e guardia di finanza, ha recentemente “portato alla luce” 2.644 persone che effettuano attività di affitto turistico non professionale, ben 700 unità in più rispetto a quelle calcolate l'1 gennaio 2016.
Solo con regole chiare e rigorose, il turismo italiana potrà godere appieno dei vantaggi dati da Airbnb. Basti considerare che Palazzo Vecchio ha raccolto nel primo trimestre del 2016 quest'anno 300mila euro in tasse di soggiorno, il doppio rispetto ai primi quattro mesi dell'anno passato. A Milano, gli introiti portati dal turismo Airbnb superano i 400milioni l'anno tra tasse, guadagni familiari e spese in attività commerciali. Roma, dal canto suo, con 758mila visitatori del “nuovo” turismo, ha incassato altrettanto nel 2015.
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Alberto Lupini
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