L’Accademia italiana della cucina propone la “costituzione” del cibo italiano

L'Accademia è stata fondata il 29 luglio 1953. Tra i fondatori non c'erano i professionisti del settore, vale a dire chef, giornalisti specializzati per garantire l'indipendenza e la serenità di giudizio

31 luglio 2023 | 11:27
di Guido Gabaldi

Il 29 luglio 1953 veniva fondata a Milano, a un tavolo del ristorante dell’Hotel Diana, l’Accademia italiana della Cucina. Stesso luogo stesso hotel, settant’anni dopo: per l'occasione il presidente Paolo Petroni ha presentato alla stampa l'impegno dell'Accademia nella valorizzazione della cucina italiana, un patrimonio culturale unico al mondo.

«L'idea alla base - sottolinea il presidente - era quella di tutelare le migliori tradizioni italiane. Si narra che il primo presidente, il giornalista-scrittore-fotografo Orio Vergani, fosse stato indotto a scendere in campo, per così dire, dalle esperienze vissute nel corso dei suoi viaggi da inviato: se a Venezia scopri che non sanno cosa sia il fegato alla veneziana e a Roma ti servono i tortellini alla panna, forse capisci che è il momento di darsi da fare. Tra i primi accademici individuati da Vergani troviamo personaggi di spicco come Dino Buzzati, Arnoldo Mondadori, Giò Ponti, Edoardo Visconti di Modrone e altri ancora, tutti consci della necessità di salvaguardare un capitale inestimabile. Notevole il fatto che tra i fondatori non ci fossero i professionisti del settore, vale a dire chef, giornalisti specializzati, gente del mestiere: un modo per garantire l'indipendenza e la serenità di giudizio. Lo sviluppo dell'intuizione iniziale prese una piega conviviale, dato che la vita associativa si basava essenzialmente su riunioni in vari ristoranti. La seconda fase fu quella incentrata sulla cultura gastronomica, attraverso l'organizzazione di convegni a livello locale e la pubblicazione di libri e guide ai ristoranti. Nel 2003 per l’Accademia arrivò anche il prestigioso riconoscimento, da parte dell'allora Ministero dei Beni Culturali, quale "Istituzione Culturale della Repubblica Italiana”. La fase che l’Accademia vive ora è quella della proiezione all’esterno, verso il grande pubblico: tramite la nostra app ufficiale per smartphone, la Guida alle buone tavole, la rivista “Civiltà della tavola”, ora anche in edicola, e la Storia della cucina Italiana a fumetti, già tradotta in otto lingue. Questi sono gli strumenti di cui ci serviamo oggi per salvaguardare e celebrare le tradizioni italiane nel mondo, attraverso il lavoro di 7.500 accademici e di 300 Delegazioni e Legazioni, sparse in oltre 50 nazioni».

In un libro i 70 anni dell’Accademia italiana della cucina

Il settantesimo compleanno è stata anche l’occasione per presentare il volume “1953-2003: le origini-l’evoluzione-il futuro”, che consegna alla memoria importanti documenti relativi alla fondazione e ai primi anni dell’Accademia, nonché una serie di contributi sull’attualità e le prospettive della nostra cucina. Di grande prestigio anche l’emissione del francobollo celebrativo, realizzato dal Poligrafico dello Stato su commissione del Ministero delle imprese e del Made in Italy, con il logo accademico e la dicitura “A difesa della civiltà della tavola italiana.”

Centinaio: Insieme con l’obiettivo di far conoscere il Made in Italy

«C’è stato subito un approccio empatico - ha raccontato il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, uno degli ospiti d’onore della celebrazione - con il presidente e gli accademici, quando ci siamo conosciuti due anni fa: all’epoca ero sottosegretario al ministero delle Politiche agricole e forestali. Ci siamo, infatti, accorti che lavoravamo per gli stessi obiettivi: far conoscere nel mondo la cucina e i prodotti italiani, nel miglior modo possibile. Si parla tanto di Made in Italy e pare, ogni giorno di più, che siamo circondati da schiere di esperti dell’italianità: mi riferisco ai politici, ai tecnici, agli operatori del settore agricoltura e ristorazione ma per fortuna anche ai semplici cittadini e consumatori. Ed è un bene: vuol dire che il lavoro svolto dall’Accademia e da associazioni simili ha fatto nascere una coscienza critica, la consapevolezza che c’è un patrimonio di valori, di consuetudini, di attività produttive da far conoscere non solo agli stranieri, ma anzitutto agli italiani. Mi fa piacere, perché ho da troppo tempo la sensazione che diamo per scontata la cultura agroalimentare italiana e la sua straordinaria ricchezza. Se penso a quanti prodotti agroalimentari esistono, attraversando al volo il nostro paese dal Brennero a Lampedusa, che rischiano di restare sconosciuti o non valorizzati, mi rendo conto che il lavoro da fare è immenso. Dobbiamo impegnarci tutti, non solo il Ministero del Made in Italy, le altre istituzioni, le associazioni di categoria, per far capire da noi e nel mondo la forza del marchio Italia: la nostra gastronomia, i nostri piatti sono il miglior biglietto da visita, in grado di attrarre milioni di turisti, con le conseguenti ricadute economiche».

La “Costituzione” della cucina italiana in dieci punti

Il presidente Paolo Petroni ha voluto chiudere il momento celebrativo leggendo il Manifesto del Settantennale, una specie di Costituzione della Cucina italiana in dieci punti destinata a indirizzare il lavoro degli accademici nei prossimi decenni. Il primo articolo può servire a suscitare le dovute riflessioni e a riassumere la posta in gioco: «L'accademia difende e valorizza la cucina regionale legata al territorio, alle sue tradizioni, ai suoi prodotti tipici e alla biodiversità. Ha il massimo rispetto e la dovuta considerazione per i cibi etnici e le culture di altri Paesi, ma essi non debbono portare all'imbarbarimento e allo stravolgimento della nostra cultura gastronomica».

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Alberto Lupini


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