A Modena i Consorzi fanno squadra Dop e Igp trainano il territorio

La città emiliana si contraddistingue per il suo numero di Dop e Igp che è il più alto a livello nazionale. Un modello da seguire che coinvolge anche settori

18 ottobre 2019 | 11:42
di Vincenzo D’Antonio
E se ad introdurre ed a chiosare, dall’alto della loro autorevolezza di valori inconfutabili, fossero i numeri? Sì, è mediante pochi numeri che introduciamo la provincia di Modena, nel cuore dell’Emilia con la sua fervida Via Emilia, aorta che tutta l’attraversa. 24 prodotti con riconoscimento Dop e Igp. Modena è la prima provincia per numero di riconoscimenti di indicazioni geografiche a livello nazionale ed europeo. Ed è seconda per il correlato valore economico. In ambito regionale, per quanto attiene il comparto vino è la prima con i suoi quattro Lambruschi Dop.


Parmigiano e Prosciutto tra i prodotti più apprezzati

8.972 le imprese produttive del sistema agroalimentare modenese per complessivi 24.838 addetti. Modena è indissolubilmente il suo territorio, qui sapientemente vissuto come il valore distintivo che fa la differenza. Qui la tipicità comincia dall’aria, un’aria che contorna e delinea i mutevoli paesaggi. I Lambruschi (rigorosamente al plurale), il Prosciutto di Modena Dop, il Parmigiano Reggiano Dop, l’Aceto Balsamico Tradizionale Dop e l’Aceto Balsamico Igp sono gli elementi vivi che innervano il territorio, ad esso conferendo quell’affascinante unicità. Ma ci sono anche Zampone Modena Igp, Cotechino Modena Igp, la Ciliegia di Vignola Igp e la Confettura di Amarene Brusche.

E qui subentrano le abilità delle persone che quotidianamente, i piedi per terra perché il fare è anche fatica quotidiana, e la testa molto in alto per cogliere tempestivamente le minacce e le opportunità che continuamente insorgono sui mercati, laddove al cospetto della community in rete, è corretto parlare di un unico sebbene articolato mercato globale.

A fungere da tessuto connettivo apportatore di grande valore aggiunto è l’approccio, connaturato nel Modenese, alla cooperazione, al solidarismo, alla ricerca di quanto porre a fattor comune per rendere più agevole la comunicazione e le relazioni con tutti i pubblici interessati. Insomma, saper e volere fare rete e farla davvero. Soggetti imprenditoriali trovano il loro riferimento nell’ambito consortile affinché si espletino le attività di tutela e di valorizzazione. E questo aspetto lo denomineremmo “sommatoria”: ci si aggrega e si sa, l’unione fa la forza. Ma vedremo che qui nel Modenese, si va ben oltre la sommatoria.

In quel di Castelnuovo Rangone si visita la Cooperativa Casearia Castelnovese. Ad accoglierci Emilio Braghin, presidente della Sezione Modena del Consorzio del Parmigiano Reggiano Dop. Le aziende agricole conferenti latte a questa grande Cooperativa sono 90; 25 gli addetti. La produzione annua è di 63mila forme di Parmigiano Reggiano Dop. La stagionatura minima è di 12 mesi fino ad arrivare ad oltre 40 mesi.

Quanto è lunga la lista degli ingredienti occorrenti a fare il Parmigiano Reggiano: latte, sale e caglio. Sì, sempre e solo questi tre ingredienti, il latte crudo, il caglio di vitello, il sale comune. Verrebbe da dire che si perpetua la storia. La storia del lavoro quotidiano che dura da circa 7 secoli. Torna alla memoria il Decamerone di Giovanni Boccaccio (anno 1344) con la montagna di parmigiano grattugiato su cui venivano fatti rotolare maccheroni e raviuoli.


Aceto e Lambrusco non sono da meno

I numeri del Parmigiano Reggiano (dati 2018) ci dicono che le bovine di oltre 24 mesi di età per la produzione di latte sono 265mila; i caseifici produttori sono 330; 50mila persone coinvolte nella filiera produttiva; 147mila le tonnellate prodotte, di cui 54mila esportate (37%). Il giro d’affari alla produzione è di 1,4miliardi di euro; al consumo diviene 2,4miliardi di euro. Facciamo due conti semplici semplici ed agevolmente comprendiamo cosa voglia significare Sua Maestà il Parmigiano Reggiano nell’area in cui ricade la Dop.

Si sale tra i dolci declivi collinari di Castelvetro, territorio di elezione del Lambrusco Grasparossa, e si giunge in visita alla Fattoria Moretto. È il patron Fabio Altariva ad accoglierci. Quanto brio, quanta gioia di vita conviviale nel colore rosso di questi ben fatti Lambruschi. I Lambruschi Dop, insistiamo avvedutamente con il plurale, dacché oltre al Grasparossa di Castelvetro ci sono anche il Modena Dop, il Sorbara Dop ed il Salamino di Santa Croce Dop, stanno vivendo il loro meritatissimo Rinascimento, riacquisendo il posizionamento che meritano. Lavoro ulteriore pregevole ed efficace del Consorzio è volto all’individuazione di abbinamenti che vadano oltre quelli tradizionali ed al potenziamento della presenza sui mercati extra Ue.

Padre illustre potrebbe essere considerato Cocumella, l’agronomo che nel I secolo individuò le virtù e le piacevolezze del mosto d’uva cotto, progenitore dell’attuale Aceto Balsamico di Modena. Certo, inserire l’aggettivo “Tradizionale” tra le parole “Aceto” e “Balsamico” costituisce distinguo sostanziale. Tutto, o quasi tutto diviene chiaro allorquando si fa visita all’Acetaia La Bonissima in quel di Casinalbo di Formigine. Degustazioni guidate, sia dell’Igp che della Dop. Poesia pura e quella struggente melanconia quando viene il momento di lasciare la casa.

Pochi numeri a dare l’idea delle differenze. La produzione annua del Tradizionale si aggira sulle 100mila bottiglie, tutte rigorosamente da 100ml. Ed il “non” Tradizionale? 90 milioni di litri all’anno con un export che pesa per il 92%. Fatturato alla produzione intorno ai 400 milioni e fatturato al consumo intorno al miliardo. Anche qui, come si è detto a proposito del Parmigiano Reggiano Dop, due conticini facili-facili e comprendiamo proprio bene cosa anche l’Aceto Balsamico di Modena, sia il Dop (Tradizionale) che l’Igp, significano per il sistema territoriale Modenese.

E poi le montagne, quelle dell’Appennino Modenese. Si sale fino a Fanano e si visita il Prosciuttificio Ca’ Dante, accolti dal patron Stefano Pelloni e da Anna Anceschi, direttrice del Consorzio del Prosciutto di Modena Dop. E qui si fa il Prosciutto di Modena Dop, seguendo le rigide regole del Disciplinare che al riguardo della stagionatura indica un lasso di tempo tra i 14 ed i 16 mesi. I suini sono di razza bianca pregiata, italiani, nati ed allevati nelle regioni del Centro e del Nord. Il peso dei suini alla macellazione è di circa 160kg. Di Prosciutti di Modena Dop nel 2018 ne sono stati prodotti circa 70mila per un giro d’affari alla produzione di oltre 6milioni di euro. Anche qui . . . i soliti due conticini facili.

Adoperando il concetto del “pressappoco” non come scudo a difesa di arrotondamenti forse eccessivi, bensì come ausilio ad uno sguardo d’insieme facilitato, possiamo affermare che l’insieme di tre Dop (Parmigiano Reggiano, Aceto Balsamico Tradizionale e Prosciutto) con l’aggiunta della Igp Aceto Balsamico, fa conseguire un giro d’affari alla produzione di circa (pressappoco, appunto) 800 milioni di euro (il valore della produzione di Parmigiano Reggiano nel Modenese è all’incirca il 20% del totale) ed al consumo di circa 1.600 milioni di euro.

Torniamo, così concludendo, al semplice concetto di sommatoria, quel valore aggiunto che arrecano i singoli Consorzi. Analizziamo attentamente cosa accade a Modena. I livelli di aggregazione si elevano di un grado e lodevolmente ed efficacemente i Consorzi a loro volta si mettono insieme per dare contribuzione ulteriore al funzionamento di quanto diviene un insieme sistemico: un organismo ben funzionante governato con i criteri abbinati dell’efficienza (fare bene le cose) e dell’efficacia (fare le cose che servono). Ma Modena non è solo tipicità dell’agroalimentare. Modena è anche il Bel Canto, un nome per tutti, il compianto Luciano Pavarotti. E Modena significa quindi anche istituti di formazione al Bel Canto di assoluta qualità. E Modena è anche “motori”: basti pensare alla rossa, alla mitica Ferrari.

Ed allora, quando all’insieme già aggregato dei Consorzi di cui si è detto, si affiancano entità che sanno far convergere a sistema unico anche gli insiemi costituiti da Bel Canto e dai Motori, si arriva ad una concezione di territorio che è cosa altra: è complessiva qualità della vita, è attrattiva fortissima per nuovi flussi turistici, è sviluppo della ricerca applicata, è attrazione di competenze ed intelligenze. Non più di sommatoria trattasi, bensì di produttoria. Non addendi che si sommano, bensì fattori che si moltiplicano. Tutto ciò, questa produttoria, è la causa, ma nel contempo, in innesco di volano virtuoso, anche l’effetto del buon vivere in territorio modenese. Perché è proprio vero che afferriamo il senso del buon vivere quando cominciamo a ritenerci esseri emozionali ben capaci di pensare, piuttosto che essere pensanti capaci talvolta di emozionarsi.

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Alberto Lupini


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