Silvano Biolo, un maestro dell'apicoltura fra le colline di Chiampo

Passione, entusiasmo e impegno verso l'allevamento delle api e per la conoscenza del loro mondo, sono sempre stati prioritari in questo signore che, oltrepassata la soglia degli 80 anni, è quanto mai attivo e dinamico

10 marzo 2023 | 09:30
di Denise Battistin

Quando Antonio Biolo, nel lontano 1878, vide uno sciame di api fermarsi sul ciliegio vicino a casa, pensò subito che fosse una buona occasione per iniziare una nuova avventura. E così l'Avvocato Graspa - come veniva soprannominato in paese, perché aveva vinto una causa difendendosi da solo - fece scivolare quel turbinio di api in una cassetta per patate e se lo portò a casa. Da quel giorno iniziò l’era della Apicoltura Biolo nelle colline di Chiampo, della cui arte il nipote Silvano ha fatto una missione.

 

«Dal nonno ho imparato tutto - sottolinea Silvano Biolo - e quando è mancato nel 1962 ho preso le redini dell’attività». La passione, l’entusiasmo e l’impegno verso l’allevamento delle api e, soprattutto, verso la conoscenza del loro mondo, sono sempre stati prioritari in questo signore che, oltrepassata la soglia degli 80 anni è quanto mai attivo e dinamico, con uno sguardo proiettato al futuro, innamorato della vita e del suo lavoro. «Ho appena costruito delle nuove arnie - rivela con gli occhi brillanti, come un bambino che ha scoperto un nuovo gioco - che ho visto vengono usate in Australia e negli Stati Uniti. Permettono, date le loro dimensioni più contenute di aumentare la produzione e la raccolta di miele». 

Il motto di Biolo è «Mai fermarsi»

Il motto di Silvano Biolo è «mai fermarsi» e davvero lo dimostra gestendo un centinaio di alveari sparsi fra Alvese, San Pietro Mussolino, Monte Calavena, Montorso e Veronella, insieme ai figli Massimo che si occupa direttamente della produzione, ed Enrico, che cura la parte amministrativa della società Bioen che distribuisce i prodotti sotto la cui etichetta trovano posto i mieli di ciliegio, tarassaco, tiglio, millefiori, facelia, melata di bosco, castagno e acacia. Con queste due ultime qualità, l’Apicoltura Biolo ha vinto ripetuti riconoscimenti e premi nei concorsi per la selezione dei migliori mieli di produzione nazionale.

«Con il miele d’acacia - ricorda Enrico Biolo - abbiamo ricevuto una o due gocce d’oro per cinque anni, a partire dal 2010 fino al 2022. Con il miele di castagno, invece, la goccia d’oro è arrivata nel 2021 e nel 2022». Esperienza, cultura e tradizione vanno di pari passo nel lavoro quotidiano di Silvano Biolo che alle sue api ha dedicato una vita. Un patrimonio di conoscenza al quale bisognerebbe attribuire il riconoscimento De.Co. – Denominazione Comunale come per i suoi mieli tutti rigorosamente iscritti all’Albo dei prodotti De.Co. di Chiampo. «In ogni casetta si possono trovare circa 60mila api operaie bottinatrici - spiega l’apicultore - che nascono dalle uova dopo 21 giorni e hanno un ciclo vitale che va dai 30 ai 50 giorni. Lo spazio nell’arnia è diviso generalmente in due: la parte superiore, chiamata melario, contiene celle che contengono il miele di raccolta, quello che poi noi andremo a prelevare e preparare per la vendita. La parte sottostante è il luogo dove le api realmente vivono e le celle sono cariche di miele per il loro sostentamento».

Ogni casetta ha il suo colore 

Ogni arnia è dipinta in un colore diverso dall’altro: tutti tendenzialmente sui toni del verde e dell’azzurro, facilmente identificabili dalle api anche da lontano. «È importante che ogni casetta abbia il suo colore - spiega Biolo - perché nel momento in cui la regina esce per il volo nuziale seguita dai fuchi, al rientro deve essere in grado di riconoscere la propria. Se dovesse sbagliare, sarebbe un’intrusa e verrebbe uccisa». Ogni arnia produce dai 20 ai 40 kg di miele l’anno e per avere un prodotto omogeneo e monoflora è necessario prestare molta attenzione alle fioriture degli alberi da cui il nettare e conseguentemente il miele viene tratto.

«I fiori che in stagione partono per primi - spiega il nostro interlocutore - sono quelli di ciliegio. Al termine della fioritura, quindi, si ritirano immediatamente i telai con i melari per raccogliere questo particolare tipo di prodotto. Poi è la volta del tarassaco, per il quale si ripete l’identica operazione, e via via l’acacia, la facelia (che è un fiore che noi seminiamo apposta e che abbiamo visto incontra molto il favore delle api), poi il tiglio, il castagno, in seguito il millefiori di prato e la melata di bosco». La melata, il nome non inganni, non è un miele come gli altri perché non deriva da nettare di fiori, bensì da una sorta di sostanza zuccherina secreta da piccoli insetti che si nutrono della linfa degli alberi, in particolare abete rosso, pino o quercia. Il miele però, una volta raccolto, non è ancora pronto per essere venduto.

«È necessario passarlo nel deumidificatore - spiega Silvano Biolo - una macchina che toglie l’acqua in eccesso dal miele, altrimenti rischia di fermentare. La schiuma biancastra che si vede alle volte all’interno di un vasetto, proprio al l’attaccatura del coperchio è l’indizio di una mancata deumidificazione con relativa fermentazione. Il miele è comunque sano e si può mangiare, ma può dare acidità allo stomaco. In provincia, fra i 160 soci dell’Apav - Associazione Provinciale Apicoltori di Vicenza, siamo solo in 2 ad averla». La cura e l’attenzione per la qualità non viene mai meno e tutti i mieli e i pollini prodotti a marchio Bioden sono tutti certificati presso il Laboratorio Zooprofilatticosperimentale di Venezia.

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Alberto Lupini


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