Consumare il caffè espresso al bar è una abitudine tutta italiana (che si è anche provato, invano, a candidare a patrimonio Unesco dell'umanità), un’abitudine che negli ultimi tempi è finita al centro dell’attenzione perché qualcuno ha ipotizzato che potesse svanire. Da una recente indagine di Fipe – Confcommercio, la Federazione italiana pubblici esercenti, è emerso che il prezzo della tazzina, rimasto a lungo stabile a 1 euro, sta ormai salendo in quasi tutta Italia. I dati dell’indagine risalgono al 2021 e segnalano che in provincia di Bolzano il costo medio di una tazzina ha già raggiunto l’euro e venti centesimi. Ed è probabile che a fine 2022 il prezzo sarà ulteriormente lievitato a causa dell'aumento dell'inflazione e dell'energia.
Ma sono gli stessi baristi, come quelli di Abi professional, a dire di non scandalizzarsi se il prezzo del caffè espresso al bar inevitabilmente salirà e magari raggiungerà anche i 2 euro. L’importante, però, è che sia di qualità.
Sul tema hanno deciso di dire la loro anche Andrej Godina, Phd in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè e Mauro Illiano, winexpert e caffexpert, da sempre impegnati nella divulgazione della cultura del caffè. Per loro è tempo di introdurre la Carta dei caffè per spiegare le varie qualità e far comprendere perché una tazzina di espresso può arrivare anche a costare 5 euro. «Se compro un caffè che costa il doppio o il triplo di un altro, allora ho la curiosità, oltre al diritto, di sapere il perché», hanno detto.
Qual è il giusto prezzo di un caffè espresso?
Godina e Iliano iniziano la loro riflessione analizzando le componenti necessarie per preparare un caffè espresso.
«In questo ultimo periodo si è spesso parlato del prezzo della tazzina, per lo più senza considerare i diversi parametri che lo compongono; valutandoli posso dire che oggi è non sostenibile - afferma Godina - Credo che non esista nessun altro prodotto in commercio che al variare della qualità non veda cambiare anche il prezzo. Forse non tutti sanno che con una tazzina di espresso venduta attorno a 0,80 euro, non si ottiene un margine di profitto sufficiente per pagare i costi di gestione della caffetteria, a cominciare da quelli del contratto di lavoro del barista professionista che incide non poco, quasi il 50% del prezzo. A questi si aggiungono i costi di gestione dell’attività, di affitto, delle utenze, dell’acquisto delle attrezzature (quando sono in comodato d’uso il barista le paga attraverso un rincaro del prezzo del prodotto, anche se spesso non ne ha consapevolezza). Per un bar di medie dimensioni, con un consumo medio di caffè di 3 chili al giorno (circa 350- 400 espressi serviti), il fatturato generato non permette di mantenere l’attività. Da questa premessa appare chiara la necessità di una revisione di quello che è l’approccio della vendita del caffè al bar. Nessuno, credo, si scandalizza se un calice di vino di una particolare annata e di grande pregio costa 15 o 20 euro, la medesima cosa deve avvenire anche per caffè altrettanto pregiati».
La Carta dei Caffè, un passo necessario
Si tratta di un fenomeno nuovo, che lentamente avanza: alcune torrefazioni dichiarano i caffè contenuti nelle loro confezioni, le origini, il metodo di lavorazione e, nel caso di prodotti particolarmente controllati (e alle cui spalle c’è una filiera etica), come gli specialty, un punteggio che evidenzia in modo oggettivo la qualità. Per questo, afferma Mauro Illiano, winexpert e caffesperto, «in veste di curatore della prima Guida dei Caffè e delle Torrefazioni d’Italia avverto forte la necessità di supportare e incentivare tutti i protagonisti interessati (torrefazioni, caffetterie, ristoranti, hotel, caffetterie) a stilare le Carte dei Caffè, che permettano finalmente di sdoganare la tazzina dalla sua costante di prezzo. Ad esempio, come si può pensare di porre sullo stesso piano economico un caffè coltivato in piantagioni intensive a cielo aperto e uno ottenuto da piantagioni site nei luoghi più angusti e impervi del pianeta? E caffè che hanno subito lavorazioni complesse? E paragonare il prezzo di tazzine composte da sola qualità Arabica con miscele a prevalenza Robusta, senza considerare l’enorme varietà qualitativa di entrambe le specie? Il discorso potrebbe continuare per ore, passando da considerazioni di tipo politico, burocratico, ambientale, industriale, questioni afferenti la diversa geografia dei Paesi produttori, il differente costo della manodopera, l’eterogeneità della legislazione vigente nel mondo, e tanto altro ancora. Ma è bene riportare l’attenzione sulla necessità di iniziare a identificare, dividere, classificare ed organizzare il caffè, anzi i caffè, realizzando delle vere e proprie carte, esattamente come avviene per il vino da diversi decenni. Solo così sarà possibile donare a ogni caffè la sua dignità e trasferire al consumatore il senso e la necessità di stabilire diversi prezzi per diversi caffè».
Il racconto del caffè
Stupirsi o non accettare una diversa quotazione per una tazza realizzata con caffè di qualità, prodotti e trasformati con attenzione e presentati come tali sulla carta o dalla voce del barista significa semplicemente non conoscere il caffè e la sua complessità. «Se compro un caffè che costa il doppio o il triplo di un altro, allora ho la curiosità, oltre al diritto, di sapere il perché - riprende Illiano - Va da sé che l’arricchimento della proposta e la sua differente presentazione, necessitino di almeno altri due fattori concomitanti: validi professionisti in grado di realizzare e raccontare i caffè e strumentazioni adeguate alla realizzazione di ogni estrazione».
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Il prezzo giusto
Si è innescato un cortocircuito tra chi considera il caffè un prodotto “nazional-popolare” che non “può” staccarsi da soglie minime (0,80-1 euro) anche a costo di non vedere riconosciuto il giusto compenso a chi lo produce, lo lavora e lo trasforma nella bevanda che gli italiani amano: il primo e l’ultimo anello sono i più deboli della catena, spesso sottopagati e vincolati a una costante precarietà, per soddisfare la miopia di baristi che non sanno fare bene i conti e di consumatori che ignorano tutto ciò o, francamente, “se ne fregano”. «La risposta da dare a questo sistema è innanzitutto la differenziazione del prezzo della tazzina al pubblico, così come accade in un’enoteca con i differenti tipi di vino – continua Andrej Godina. Il caffè della casa deve avere un prezzo minimo di almeno 1,50-2 euro che dipende dalla qualità del prodotto e dalla qualità del servizio offerto. A seguire, una carta con differenti tipi di caffè e diversi sistemi di estrazione (filtro, french press, cold brew, per citarne alcuni), ognuno con il proprio prezzo. Nessuno, credo, si scandalizza se un calice di vino di una particolare annata e di grande pregio costa 15 o 20 euro, la medesima cosa deve avvenire anche per caffè altrettanto pregiati!».
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Alberto Lupini
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