Più cultura e consapevolezza per valorizzare il vero olio di qualità

Possiamo continuare a creare guide e a dare premi e medaglie, ma ciò che serve davvero è arrivare direttamente al consumatore e cercare di educarlo all’olio artigianale di qualità

01 luglio 2021 | 08:30
di Fausto Borella
Da pochi giorni ho celebrato il mio “ventennio missionario” nel mondo dell’olio extravergine di eccellenza. Può sembrare una vita, ma in verità siamo solo all’inizio di un percorso ancora lungo e tortuoso. Ho conosciuto centinaia, forse migliaia di olivicoltori, attenti, appassionati, sconfortati e spesso anche distratti. Qualcuno avrebbe voluto entrare nell’oliveto ereditato dal nonno con una motosega e fermarsi solo quando si sarebbe esaurita la benzina. Qualcun altro era elettrizzato all’idea di iniziare una nuova avventura per produrre un olio di estrema qualità.



Ma dei tantissimi personaggi incontrati, oggi mi piace nominarne uno, che da anni a Canino, nel Viterbese, dove gli Etruschi fecero nascere il mondo civilizzato, produce 11 tipologie diverse di olio, nate da un’unica cultivar: la Caninese. È Paolo Borzatta, un ingegnere nucleare devoto all’olivicoltura di qualità, tanto da creare un’azienda ai vertici mondiali per biodiversità e competenza. Nei primi giorni di luglio ha radunato nel suo quartier generale di Canino diversi esperti, professori e scienziati, creando un simposio sulla ricerca del piacere enogastronomico. Le discussioni spaziavano dalle frontiere dei grandi oli extravergine alle liaison tra Champagne e i terroir, fino alla filosofia del cibo e della cucina e all’arte legata al piacere di vivere. Una riunione davvero interessante e a tratti emozionante.

Nella mia mezz’ora accademica avevo il compito provocatorio e acrobatico di spiegare a cosa servissero le guide e i premi dell’olio, che ogni anno crescono a dismisura. È stato calcolato - incrociando i dati, le mail e le asfissianti telefonate che i produttori più o meno blasonati ricevono ogni settimana - che vengono fatte almeno 40 (!) richieste l’anno. Se si dovesse aderire a tutte le “situazioni di vantaggio” (come viene raccontato all’olivicoltore via mail o telefono), si dovrebbero spendere circa 30mila euro l’anno. Una cifra folle, considerando che ancora ci scandalizziamo se una bottiglia viene venduta a 12 o 15 euro per mezzo litro.



Non vi tedio nel raccontarvi la mia predica, ma voglio fare alcune considerazioni:
  1. Possiamo continuare a creare guide online o cartacee e a dare premi, medaglie, stelline e gagliardetti. Ma se non arriviamo direttamente al consumatore e gli raccontiamo la storia di quell’azienda, la loro passione e la loro bravura, non verrà percepita la fatica dell’olivicoltore e il motivo di quel prezzo.
  2. È ancora troppo forte il messaggio della grande distribuzione olearia che svende un sedicente olio a pochi euro al litro, in compagnia della Gdo, che troppo spesso sceglie l’olio come prodotto civetta al ribasso per far andare i clienti al supermercato.
  3. L’olio difettoso non è ancora riconosciuto come “oliaccio”. Si scambia per profumo delicato o dolce quello che in realtà è odore di rancido dell’ossidazione o di verme della mosca olearia o di avvinato dato dall’acido acetico. La missione di produttori e comunicatori e di far conoscere giornalmente queste differenze a tutti i turisti italiani e stranieri che in questa estate affollano le nostre coste e le località d’arte e di villeggiatura.

Solo con la consapevolezza si può vincere la sfida dell’olio di estrema qualità: quello artigianale. Purtroppo si chiamano tutti olio extravergine di oliva; ma tra uno e l’altro il divario da colmare si chiama educazione-cultura-consapevolezza. Buona estate a tutti!


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Alberto Lupini


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