Orata e branzino, qualità e tracciabilità. La competizione estera non spaventa i produttori

Le aziende italiane dell'acquacoltura che allevano queste referenze rappresentano il 20% del mercato nazionale. Con il boom della Gdo e i limiti del lockdown, però, la domanda è esplosa . A fare la differenza, una filiera sostenibile che ora punta anche sul prodotto trasformato di qualità. Le esperienze dei soci Api

15 giugno 2021 | 05:00
di Nicola Grolla
Apprezzate da greci e romani per le loro proprietà nutrienti, ricche di Omega 3 e ricercate dai clienti per il sapore dele loro carni bianche, orate, branzini o spigole sono fra le eccellenze della produzione ittica nazionale. E sebbene rappresenteno un mercato che si ferma al 20% del totale (con il restante 80% occupato dal prodotto di importazione che viene spesso utilizzato per la lavorazione) nell'anno della pandemia è riuscito a mettere a segno ottime performance. A funzionare è stato l'aggancio con la crescita della grande distribuzione. Il canale dei supermercati e le mutate abitudini dei consumatori causa Covid, hanno compensato la chiusura del canale Horeca. A favorire l'andamento delle vendite, la domanda di un prodotto certificato di qualità. Aspetto sul quale puntano tutte le aziende associate Api (Associazione piscicoltori italiani) specializzate nell'allevamento in mare o in stabilimenti a terra di orate, branzini o spigole.



Marco Gilmozzi: «Import necessario, ma servono più strumenti per identificarne la provenienza»

Presente sul territorio di Orbetello dagli anni '70, la Cosa Srl rappresenta una delle realtà più consolidate della laguna. Qui il Covid ha destato preoccupazione ma a livello produttivo è bastato un mese per assestarsi e sfruttare le dinamiche innescate dal primo lockdown , con un "panico da scaffale" che ha determinato un picco di domanda e un blocco delle importazioni che favoriva il prodotto nazionale. «Oggettivamente, per l'acquacoltura marina il mercato è stato molto dinamico e tutt'ora continua in fase positiva», afferma Marco Gilmozzi, presidente della società. Presente anche sulle piazze di Hong Kong, Macao e Stati Uniti, la Cosa Srl è specializzata nel rifornimento della Gdo: «Arriviamo anche a taglie di 1,5-2 kg. Più orata che spigola. E per quanto riguarda la tipologia di prodotto, sta crescendo la richiesta di referenze lavorate, tipo i filetti», spiega Gilmozzi, anche se la concorrenza estera  su questo fronte è molto forte.

Ma, in un mondo globalizzato, non potrebbe essere diversamente: «La domanda di prodotto ittico di questo tipo è troppo elevata per essere soddisfatta dall'attuale produzione nazionale: 28 chili circa a testa consumati. Se non importassimo non saremo in grado di garantire un'offerta equilibrata ai cittadini. Dettaglio che non è un semplice vezzo, ma ha un impatto su tutto il sistema sanitario. Cosa che di questi tempi mi sembra prioritaria. Il problema, semmai, è che servirebbero degli strumenti per identificare meglio la provenienza del prodotto», afferma Gilmozzi. E questo, soprattutto nel canale Horeca: «Nei ristoranti non c'è un obbligo di raccontare per iscritto sul menu la provenienza della materia prima. La tracciabilità del prodotto viene data dallo chef o da chi prende l'ordine. Ma non è detto che si rispecchi in ciò che si consuma. Riprova ne è il fatto che nonostante la chiusura Horeca, il prodotto italiano ha sempre trovato la sua collocazione», precisa Gilmozzi.

D'altronde, il tema della tracciabilità e della qualità è la strategia sulla quale puntano tutti i produttori italiani. A partire dai processi di produzione («Facciamo analisi su ogni lotto e cerchiamo di fare chiarezza ai nostri clienti»), passando per l'efficienza del servizio («Noi arriviamo in 24 ore mentre un produttore turco, greco ci mette tre-quatrro gioni») e uno sforzo di sostenibilità che è anche la chiave del successo: «A mare lo sforzo di pesca è arrivato a limite massimo sostenibile. Siamo circa fermi a 90 milioni di tonnellate di pescato e taglia sempre più piccole a livello mondiale. Allo stesso tempo, l'acquacoltura ha messo a segno una crescita tale che, nel 2050, nessuno si porrà più il problema della produzione in allevamento o selvatica del pesce grazie a processi di economia circolare che investono tutta la filiera», conclude Gilmozzi.




Gruppo del Pesce: la sfida sono i prodotti trasformati

Altro protagonista del settore è il Gruppo del Pesce, società commerciale che accomuna sei siti prodottuvi in Italia di cui 4 in mare aperto (Porto Venenre, Golfo di Follonica, Gaeta e Licata), uno a terra nei pressi della laguna di Orbetello e una avanotteria a Petrosino in Sicilia. Qui vengono allevate orate, spigole e ombrine (ultima referenza introdotta). «All'anno produciamo circa 5,6mila tonnellate di pesce diretti essenzialmente ai maggiori brand della grande distribuzione per cui garantiamo un prodotto di filiera controllata a marchio terzi, ossia la private label. Un impegno a cui è dedicata il 90% della nostra produzione certificata da apposti disciplinari», racconta il direttore commerciale Salvatore Uttaro. E con il boom delle vendite al supermercato il giro d'affari è aumentato del +30%.

Un impegno non da poco quello con la Gdo, soprattutto per l'attenzione e la rigidità dei protocolli di produzione: «Il discliplinare di filiera già di per sé determina un regime ferreo che mette al centro il benessere animale durante tutte le fasi di produzione, dalla nascita del pesce fino alla taglia commerciale. E l'asticella si alza ogni giorno di più con le validazioni richieste dalle insegne della Gdo. Tutto ciò, però, ci permette di offrire un prodotto ottimale, con proprietà organolettiche di primo livello riconosciute in primis dai clienti che acquistano sempre di più i nostri prodotti italiani al supermercato», afferma Uttaro.Negli ultimi tempi viene avanti con forza la richiesta di prodotti lavorati, come hamburger, sfilettato e crudité: «Le famiglie apprezzano un prodotto già pronto da cucinare. E dopo il prodotto eviscerato confezionato ora per orata e branzino c'è la voglia di tagli diversi. In programma abbiamo il lancio di nuovi ricettati pronti a cuocere e carpacci. Questa è la sfida da vincere per il prossimo futuro», conclude Uttaro.




Il futuro dell'acquacultura? «Una sea factory dedicata all'agroalimentare ittico»

Futuro che va preparato già oggi. Come sta facendo la Agroittica Toscana, azienda nata nel 1994 con il progetto di riutilizzare le acque calde dell'impianto Edison di Piombino per la produzione di orate e spigole su 138mila mq di superficie e 31 vasche. Una realtà che si è poi sviluppata verso il mare, con gli impianti offshore nel Golfo di Follonica dove l'azienda gestisce 44 gabbie in una superficie di duemila km quadrati. «La totalità della produzione fa circa 2,7mila tonnellate», racconta il presidente Claudio Pedroni. Numeri su cui si basa l'ambizione dell'azienda che ha messo in campo un progetto milionario per la realizzazione di una sea factory: un centro di confezionamento dove basare la logistica per la spedizione di tutto il pescato di produzione. Totalmente automatizzato grazie a un investimento in macchinari di 1,3 milioni di euro. Obiettivo: supportare la crescita degli ultimi anni; compreso il 2020 del Covid. In cui a primeggiare, anche in questo caso, è stato il canale della Gdo. «Serviamo 54 clienti in Italia di cui 9 catene della distribuzione che quest'anno hanno messo a segno una crescita del +24-28% nella richiesta di pesce», prosegue Pedroni.

A tendere, ossia secondo il business plan 2021-27, lo scopo è quello di innescare un processo di graduale trasformazione dell'azienda verso il profilo dell'agroalimentare ittico tout court. «Per riuscirci punteremo a verticalizzare ancora di più il prodotto e andando a lavorare parte della produzione per filetti, tartare, hamburger, sughi, prodotti pre-cotti, ecc. Una rivoluzione per noi che finora abbiamo sempre venduto il prodotto tal quale. Ora, grazie anche alla nostra toscanità cerificata, puntiamo a distinguerci in un mercato molto concorrenziale dove il prodotto importato la fa da padrona per le referenze trasformate», spiega Pedroni. Insomma, ancora una volta è la qualità a fare la differenza soprattutto nel momento in cui viene ufficialmente riconosciuta con validazioni e disciplinari che aggiungono alla certezza della provenienza anche la garanzia di un prodotto sostenibile. «Innanzitutto, dalla pesca all'incassettamento dei nostri prodotti non passano più di tre ore. Mentre ci vogliono giorni per avere un prodotto dall'estero. Inoltre, produciamo in modalità total free ossia senza utilizare antibiotici né, per esempio, fascette di plastica per riparare le gabbie. Infine, abbiamo presentato al Mipaf l'inizio della certificazione di acquacoltura sostenibile. Per noi, infatti, non esiste alcuna produzione se non sia anche sostenibile», ribadisce Pedroni.

Ma siamo sicuri che tutto questo arrivi ai consumatori finali? «Le vendite dicono di sì, ma di sicuro ora che il consumatore è più avvertito su certi temi è arrivato il momento di fare uno sforzo. Mi riferisco, per esempio, al rapporto fra alimentazione e salute. Uno dei messaggi post-pandemia è una maggiore attenzione al prodotto alimentare che si consuma, alle sue fasi di produzione e alle que qualità. Più un prodotto è "sano", più riesce a interagire con un uomo moderno», conclude Pedroni.



Le proprietà nutritive di branzino e orata

Il branzino vive nelle acque costiere, nelle acque salmastre delle lagune e delle foci dei fiumi, anche a salinità molto basse. A livello di allevamento trova spazio sia in impianti a terra che in mare aperto. Particolarmente pregiato per la bontà delle sue carni bianche e compatte, era già apprezzato e allevato dagli antichi romani, come attestano alcuni mosaici. Essendo povera di grassi e ricca di proteine e Omega 3, la carne del branzino è leggera e digeribile. In epoca contemporanea, viene raccomandato per ridurre il colesterolo "cattivo" e aumentare quello "buono" proteggendo il sistema cardiovascolare.

L'orata, invece, è un pesce di mare molto diffuso nel bacino del Mediterraneo e lungo le fasce costiere. Il suo nome deriva dagli antichi greci colpiti dalle sopracciglia "dorate" del pesce che veniva consumato per la quaità delle sue carni bianche e sode. Oggiogiorno, come il branzino, viene consigliata perché ricca di Omega 3 a cui aggiunge un alto grado di vitamine e sali minerali utili all'organismo umano come fosforo, iodio, ferro e calcio.



Il pesce in tavola

Con questo articolo prosegu la serie di approfondimenti sul tema della piscicoltura e il rapporto con il canale Horeca e non solo. In cinque diversi articoli tratteremo, in collaborazione con l'Associazione piscicoltori italiani e le aziende socie, i trend che investono il consumo di trota, spigola e orata, caviale, molluschi e altre specie. Di seguito le puntate precedenti:


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