I cuochi devono saper riconoscere l’olio di qualità
Viaggio in tre ristoranti di Venezia con esperienze molto diverse. Solo in uno di questi la proposta è all'altezza. In un altro, lo chef non riconosce nemmeno l'errore
Da mesi penso di fare una guida, una chat o una community, che interagisca con gli appassionati e in generale con tutti i consumatori, nel quale si possa spiegare dove trovare un pubblico esercizio, che presenti al commensale un buon olio extravergine. Vorrei trovare però anche il coraggio di “postare” le foto, dove vengono serviti alcuni oli davvero scadenti, riempiti più volte nella bottiglia unta e bisunta o addirittura nell’ampolla trasparente. Questo perché nel buonismo che abbiamo utilizzato negli ultimi vent’anni, per far capire al fruitore di questo nettare, che l’olio extravergine non può essere servito con dei difetti, abbiamo dato per scontato che i naturali ambasciatori di questo prodotto, cioè i patron di ristoranti, gastronomie e pizzerie, aiutati dai loro cuochi, annunciassero il verbo della vera eccellenza che deve, viva dio, esaltare il piatto che abbiamo davanti. Non è andata come speravamo, o meglio, solo pochi attenti gestori di pubblici esercizi, a macchia di leopardo, hanno saputo dare un tocco in più, presentando uno o più oli di diverse regioni, per far contento il fruitore finale.
Un test sul campo
Voglio riportarvi un esempio di pochi giorni fa. Vado a Venezia per un piacevole fine settimana e frequento tre ristoranti. Premetto che ne conoscevo solo uno per la sua buona fama, ma quando arrivo a salutare il proprietario e a omaggiargli la mia guida, noto che sul gueridon di servizio, ci sono una quindicina di bottiglie di olio da mezzo litro di un’anonima azienda ligure, (ma di ligure non ha neanche il lontano profumo del basilico), tutte rigorosamente senza tappo. Sappiamo tutti che i tre nemici dell’olio sono luce, aria e calore e quindi chiedo al maître come mai non ci siano i tappi. Candidamente mi risponde, che siccome hanno tanti coperti durante il servizio, tolgono i tappi alle sei la sera per rimetterli verso mezzanotte. Ovviamente tutte le bottiglie, una volta che le ho annusate di nascosto erano rancide con un mix di avvinato e una puntina di riscaldo. Saluto e vado via sconfortato.
Il secondo ristorante ha aperto da otto mesi ed è accogliente, carino e si presenta bene. Sono stato invitato da amici inglesi e stranamente arrivo prima io di loro, che solitamente sono molto puntuali. Ho portato anche in questo caso una copia in italiano e due in inglese e inizio a parlare col capo cameriere che, quando scopre che sono un esperto, mi porta una bottiglietta da 250 ml di olio con un’etichetta completamente unta e che si vede bene essere rabboccato dalla latta in cucina.
Provo a dire sommessamente che è una pratica che porterebbe ad avere una sanzione amministrativa, perché non consentita, ma il mio interlocutore, sembra non curarsene, anzi, tutto soddisfatto mi porta dal giovane chef nipote del proprietario per perorare la causa del loro olio. Al primo naso sento un odore così rancido, che non lo farei provare neanche al mio peggior nemico, ma tant’è, parlo con ragazzo e cerco “delicatamente” di spiegare che quell’olio non va. Vedo che aggrotta le ciglia, fa una smorfia di disappunto, prende un cucchiaio da minestra, prende il suo bel dosatore di plastica per salse in cui giace il suddetto olio e me ne versa una dose e mi dice impettito e risentito: «Dimmi tu se questo è difettoso», con aria di sfida. Ovviamente devo immolarmi e cercare di risentire l’odore dell’olio dal cucchiaio, ma arrivava benissimo lo stesso odoraccio, ma era in bocca che esplodeva in tutta la sua grassezza e cremosità, un misto di mosca ossidata, che prima di morire esala le sue ultime preghiere. Gli chiedo sbigottito se davvero non riconosceva tutti questi difetti e lui insistendo risponde di no. Lascio la presa e lo saluto sempre più avvilito, pensando che questa missione cominci sempre di più a essere utopica e senza vittoria.
Ma è il giorno dopo che la mia anima si ravviva ed esulta festante; quando prenoto al Bistrot de Venise e prima di sedermi vedo il cameriere che stringe in mano una bottiglia di Tommaso Masciantonio del Trappeto di Caprafico, appena versata a degli americani. L’olio in questione è uno dei più premiati e famosi d’Italia, quindi senza indugio, faccio i complimenti perché capisco che c’è grande attenzione al vino, alla cultura e all’olio. Tutto contento il cameriere mi porta una seconda bottiglia di olio appena franta dell’azienda Cinque Colli di Chiaramonte Gulfi in Sicilia. Un inebriante profumo di pomodoro appena colto e scorza di arancia; davvero eccellente. Mi accorgo nella sala dove sono, su dieci tavoli presenti, ero l’unico italiano. Ovviamente la serata scivola via in maniera perfetta.
Piccoli sforzi per grandi apprezzamenti
Qual è la morale di questo lungo taccuino di viaggio, che ho voluto condividere con voi? Che basterebbe così poco per far conoscere le nostre eccellenze a tutti i commensali, che non solo ne godrebbero a pieno, ma sicuramente nel conto, si farebbero aggiungere una bottiglia di olio da riportarsi a casa. Come avete visto ho voluto menzionare il ristorante che mi ha emozionato, omettendo gli altri due che servivano oli difettosi; sta a voi dirmi se è giusto o meno farvi sapere dove si trovano gli oli sbagliati, così da stimolare i ristoratori a capire i grandi oli d’Italia.
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Alberto Lupini