Non tutti gli extravergine sono uguali Maggior cultura per distinguere le qualità
Negli ultimi anni si sta delineando un approccio più concreto, tangibile, quasi empirico, per la scelta e dunque per l’acquisto di un olio extravergine di alta qualità, soprattutto grazie alle tecnologie
02 settembre 2018 | 10:34
di Fausto Borella
Basta una foto sull’etichetta e l’app dirà in pochi secondi il ranking di quel vino, o di quell’altro prodotto, quanti punti ha ricevuto nelle varie guide e addirittura, quanto dovrebbe costare al pubblico. Per quanto concerne l’olio extravergine di estrema qualità, manca ancora un passaggio fondamentale: l’assaggio che il consumatore deve fare per comprendere che quell’olio così salubre deve essere acquistato anche a un costo diverso dai soliti oli extravergine “civetta” che costano pochi euro al litro.
Questo difficile compito si è riusciti in poco meno di dieci anni a farlo capire con la birra. Il primo pioniere fu Teo Musso con il suo sogno Baladin nella piccola cittadina di Piozzo nelle Langhe, in provincia di Cuneo. Oggi, contaminazione dopo contaminazione, si contano solo in Italia oltre mille micro birrifici artigianali, pronti con un po’ di luppolo, acqua, malto, orzo, agrumi e spezie varie a immettere sul mercato una birra da mezzo litro a 14 euro che termina nel giro di una pizzata e nessuno ha da recriminare.
Se proviamo a vendere lo stesso quantitativo di olio allo stesso prezzo e magari anche a qualche euro in più, si grida allo scandalo. Ecco perché ci deve venire incontro l’assaggio consapevole dell’olio di estrema qualità. Perché il consumatore è suo malgrado ignaro della differenza che corre (a volte abissale) tra un olio da 5 euro al litro e un olio da 15 euro per mezzo litro. Tra un assaggio e una degustazione, tra una comparazione e l’altra, l’acquirente o anche il curioso che passa nella località turistica di turno, e viva iddio abbiamo in qualsiasi territorio del nostro Paese regioni olivicole di incomparabile bellezza, può comprendere la differenza e quindi è disposto a spendere volentieri certe cifre, per avere un prodotto di grande valore nutraceutico e poi un esaltatore dei piatti e degli ingredienti della propria tavola.
L’esortazione è quella di non far sentire solo un olio di qualità o solo il proprio olio. Se i produttori al dettaglio e i rivenditori cominciassero a far degustare, olio alla mano, anzi in questo caso olio sotto il naso, le differenze tra l’extravergine basico, comunitario, italico o quel che sia e poi far sentire un vero evo fatto da gente seria, dove si possa vedere una filiera, una tracciabilità del prodotto, allora la vendita dell’olio di qualità non farebbe più tutta questa fatica e l’economia dell’olio girerebbe a pieno ritmo.
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Alberto Lupini