Il difetto dell'espresso italiano: una scoperta amara nei ristoranti

Il caffè espresso - che verrà celebrato il 17 aprile con la Giornata Nazionale dell'espresso - in Italia spesso delude a causa della scarsa cultura nel settore. Tuttavia, alcuni ristoranti offrono caffè di alta qualità e si impegnano nella formazione del personale. Il futuro punta a una maggiore diffusione della cultura del caffè di specialità, ma è urgente che i ristoratori acquisiscano una conoscenza adeguata

16 aprile 2024 | 05:00
di Luca Bassi

Purtroppo è una prassi che si ripete in tanti, troppi ristoranti: facciamo (a volte) dei grandi percorsi che generano piacere al palato, alla mente, al cuore e poi chiudiamo l’esperienza con un espresso che definire cattivo è quasi un complimento. Un espresso che spesso sa di gomma, di legno, di plastica bruciata. Un espresso carico di difetti. Situazioni simili le viviamo un po’ tutti i giorni, in Italia, anche nelle caffetterie sotto casa, di fianco all’ufficio, al centro sportivo. Pure nella cucina della nostra abitazione. L’espresso lo prendiamo di fretta, spesso con la mente da tutt’altra parte, a volte mentre chiacchieriamo con qualcuno, mentre leggiamo il giornale o guardiamo la tv.

Va giù con un sorso, massimo due, e spesso viene seguito da un bicchiere d’acqua per vincere l’allappamento portato dalla qualità infima di quello che abbiamo appena bevuto, o da un biscotto per dimenticare in fretta l’amaro che ci è rimasto in bocca. Al ristorante, però, non è sempre così. Lì siamo seduti al tavolo per vivere fino in fondo un’esperienza e cerchiamo di goderci ogni momento. Anche quello finale del caffè, che per il 99% delle volte è proposto sotto forma di espresso. Dev’essere per questo che proprio al ristornate ci accorgiamo che tante volte quella bevanda scura in tazzina è tutt’altro che buona: pensiamo di aver chiuso male un pranzo o una cena e che l’unica soluzione possibile per il futuro sia di non bere più l’espresso al ristorante. La verità è che abbiamo un grosso problema con l’espresso in Italia, e i ristoranti mostrano questo nervo scoperto più delle altre attività.

In Italia la cultura del caffè è quasi nulla

Partiamo dall’inizio. In Italia pensiamo di essere maestri del caffè, di sapere come si compra, come si prepara e come si degusta. In realtà la nostra cultura è scarsa. Sarebbe meglio dire quasi nulla. E quello che succede al ristorante, a partire da chi sta curando il servizio, la dice lunga: alla fine del pasto viene quasi sempre chiesto “gradisce un caffè?”. Stessa cosa si può leggere sulla carta del ristorante, che nelle ultime pagine porta sempre la dicitura “caffè”.

Ecco, è bene sapere che il caffè è il frutto di una pianta appartenente al genere Coffea, parte della famiglia delle Rubiacee. Quello che consumiamo nel 99% dei ristoranti italiani è un espresso. Chiedere se si gradisce un “caffè” è un errore figlio della mancanza di cultura, appunto. Sarebbe un po’ come chiedere se si gradisce dell’uva al posto di una bottiglia di vino.

All’estero non è così: l’espresso viene chiamato espresso perché - nella quasi totalità dei casi - il barista o il cameriere sa di cosa sta parlando (la qualità di quello che viene estratto poi è un’altra cosa). Per non parlare poi della degustazione: in Italia c’è il rito dell’espresso e della moka, ma la convinzione di quasi tutti gli italiani è che in bocca si debbano provare dei sentori forti, potenti, amari. In realtà un caffè buono, a prescindere dall’estrazione che scegliamo, ci può regalare delle sensazioni magnifiche: una lieve acidità iniziale, una forte dolcezza, dei sentori fruttati o, nei casi dei caffè più eleganti, floreali. L’amaro - udite, udite - in tazza è un problema.

In troppi ristoranti italiani il caffè è trascurato

La domanda, anzi le domande, quindi, sorgono spontanee: perché in tanti ristoranti italiani il caffè è trascurato? Perché anche un ristoratore attento a ogni materia prima che finisce nel piatto è poi capace di servire un espresso al limite del bevibile? Perché in un locale che propone piatti preparati con tecniche incredibili, spesso associate alla chimica, nessuno pensa a una carta del caffè e ci viene proposto un espresso in capsula o in cialda? Perché perfino gli stellati, spesso, non sono capaci di offrire un espresso, oppure un caffè filtro o una moka di qualità?

La risposta è una soltanto: perché l’italiano medio non è preparato in materia e l’offerta del ristorante (così come delle caffetterie, va detto) spesso e volentieri è in perfetta linea con la scarsa cultura della clientela. Tradotto: in Italia si è convinti che il mondo del caffè sia questo e anche i ristoratori, troppe volte, si adeguano. Ma si tratta di un errore madornale, perché chi si siede ai tavoli di un locale, magari pronto a spendere cifre importanti, chiede anche di essere formato, educato. Al ristorante chiediamo piatti che a casa non saremmo in gradi di cucinare, ci affidiamo alla cucina e ci mettiamo nelle mani della competenza, dell’esperienza e della bravura di chi la guida. E allora, perché non ci viene proposto un caffè di qualità alla fine di certe esperienze?

Caffè di qualità al ristorante: le eccezioni esistono

Non vogliamo, però, fare di tutta l’erba un fascio. Sarebbe un autogol clamoroso che da narratori del mondo della ristorazione non vogliamo compiere. Le eccezioni esistono eccome e sono trainate da diverse torrefazioni che lavorano come si deve, utilizzando solo caffè di buona - e a volte ottima - qualità. Esistono poi ristoranti, in Italia, che propongono più estrazioni, a volte anche in filtro, e caffè di diverse origini: Colombia, Ecuador, Etiopia, Kenya. I professionisti più preparati - in questo caso anche baristi, non solo personale di sala di un ristorante - hanno la possibilità di formarsi nelle diverse scuole e nei diversi lab che in Italia hanno iniziato a prendere piede da qualche anno a questa parte: lì s’impara a conoscere la provenienza del caffè, le diverse caratteristiche che l’area geografica può regalare, come dev’essere trattato un caffè.

E poi, ovviamente, s’impara a eseguire un’estrazione coi fiocchi. Perché solo grazie a quella si può portare in tavola un prodotto eccellente, valorizzato fino in fondo. Del resto, il futuro pare sarà quello. Si sta iniziando a parlare sempre più concretamente di cultura del caffè negli ultimi periodi: il mondo dello specialty coffee sta entrando sempre di più a contatto con tutti noi attraverso la divulgazione e l’apertura di nuove caffetterie che vanno oltre l’espresso fatto con caffè senza una precisata storia e geografia. Ma una cosa è certa: prima di guidare il consumatore, sarebbe più urgente che tutti i ristoratori e tutto il personale di sala e di bar sappiano di cosa stiamo parlando. Quelle che oggi sono delle piacevolissime eccezioni devono diventare la norma.

© Riproduzione riservata


“Italia a Tavola è da sempre in prima linea per garantire un’informazione libera e aggiornamenti puntuali sul mondo dell’enogastronomia e del turismo, promuovendo la conoscenza di tutti i suoi protagonisti attraverso l’utilizzo dei diversi media disponibili”

Alberto Lupini


Edizioni Contatto Surl | via Piatti 51 24030 Mozzo (BG) | P.IVA 02990040160 | Mail & Policy | Reg. Tribunale di Bergamo n. 8 del 25/02/2009 - Roc n. 10548
Italia a Tavola è il principale quotidiano online rivolto al mondo Food Service, Horeca, GDO, F&B Manager, Pizzerie, Pasticcerie, Bar, Ospitalità, Turismo, Benessere e Salute. italiaatavola.net è strettamente integrato
con tutti i mezzi del network: i magazine mensili Italia a Tavola e CHECK-IN, le newsletter quotidiane su Whatsapp e Telegram, le newsletter settimanali rivolte a professionisti ed appassionati, i canali video e la presenza sui principali social (Facebook, X, Youtube, Instagram, Threads, Flipboard, Pinterest, Telegram e Twitch). ©® 2024