Di mucca, di capra, di pecora o di asina: il giro d'Italia dei formaggi

I consumatori conoscono i più noti fatti con latte vaccino, ma lungo lo Stivale sono tante le produzioni storiche e tradizionali che rendono il mercato caseario vario, gustoso, conservatore di una cultura millenaria

19 agosto 2021 | 05:00

Il latte non è tutto uguale ed è per questa ragione che è bene declinarlo al plurale: parlare cioè di latti. In Italia, in commercio, ci sono quelli di vacca, di capra, di pecora, di bufala e di asina. Tanti latti, dunque, e quindi tanti formaggi differenti. A Cheese 2021 vengono raccontati, grazie al lavoro e alla passione di pastori, casari e affinatori che ogni giorno tramandano storia, competenze e sapori. Nell’attesa che il più grande evento internazionale dedicato ai formaggi a latte crudo e alle forme del latte cominci (è in programma a Bra, in provincia di Cuneo, dal 17 al 20 settembre 2021) ecco un viaggio tra alcuni formaggi che rappresentano una tradizione, identificano una comunità e un luogo, i suoi pascoli e la sua storia, e che devono molto a razze locali, in alcuni casi ingiustamente considerate minori.  

I formaggi di pecora: dalla Sardegna alle Langhe

 Cominciamo dal fiore sardo dei pastori, Presidio Slow Food: si tratta di  un formaggio a latte crudo e intero munto da pecore di razza sarda, una razza autoctona antichissima nota per la qualità del proprio latte. Il latte di una sola mungitura, senza alcun trattamento, viene posto in caldaia e coagulato con caglio in pasta di capretto o agnello; quindi si procede alla rottura della cagliata. Si forma il pecorino collocando la massa in stampi a forma di tronco-cono detti pischeddas. Il fiore sardo stagiona per un paio di settimane vicino a braci che danno un lieve sentore di fumo e poi in locali dove le forme sono appoggiate a terra per alcuni mesi.
 
Altro formaggio, altra isola: spostiamoci in Sicilia per scoprire la vastedda della valle del Belìce, l’unico formaggio di pecora a pasta filata, riconosciuto Presidio Slow Food. Protagonista, in questo caso, è la pecora della valle del Belìce, diffusa in particolar modo nelle province di Agrigento e Trapani ma presente in tutta la regione e anche nella vicina Calabria. Una curiosità su questo formaggio: il nome deriva dal termine dialettale vasta, cioè “guasta, andata a male”: i casari della zona, infatti, lo idearono per recuperare i pecorini che presentavano difetti, facendoli filare ad alta temperatura.



In Toscana, adesso, per conoscere la pecora massese: vello grigio piombo, pelo nero lucido, corna scure a spirale, occhi accesi e sporgenti, la si trova in Emilia, in Liguria e naturalmente in Toscana: sulle montagne pistoiesi, in particolare, resistono produttori che fanno il pecorino seguendo interamente la tradizione: pecore in alpeggio, latte crudo e caglio naturale. Curiosi di assaggiarlo? È un Presidio Slow Food.

In provincia di Cuneo, nella zona delle Langhe, vive invece una pecora dal manto bianco, senza corna e con le caratteristiche orecchie portate in avanti e verso il basso: è la pecora delle Langhe, una razza ormai in via di estinzione inserita nell’Arca del Gusto di Slow Food, a cui dobbiamo la tuma, un formaggio di forma cilindrica, dal peso che oscilla tra i 200 e i 300 grammi, privo di crosta e la cui pasta è di colore bianco paglierino, morbida. 

 

Tra Sicilia e Lombardia, sulle tracce dei formaggi di capra
 

La capra orobica è una razza Presidio Slow Food: il suo latte viene utilizzato per formaggi tradizionali a latte crudo come il matuscin della Valtellina, il formagìn della Valsassina e la roviola della Val Brembana. È una capra rustica, caratterizzata dalle corna imponenti, in grado di vivere e pascolare lungo i pendii impervi delle Alpi orobiche, nelle provincie di Sondrio, Bergamo e Lecco.

Mille chilometri più a sud vive un’altra capra dal latte eccellente: la girgentana, che deve il nome al vecchio nome della città siciliana di Agrigento (Girgenti). Come riconoscerla? Semplice, guardando le corna: quelle della girgentana sono inconfondibili, a spirale. Il suo latte, grazie all’ottimo equilibrio tra grasso e proteine, viene utilizzato per la tuma ammucciata.


Concludiamo il tour tra le capre italiane (e i loro derivati) dando uno sguardo alla garganica, originaria dell’omonimo promontorio pugliese. Presidio Slow Food, con il suo latte si producono il canestrato e il cacioricotta. La capra garganica viene allevata allo stato brado ed è immediatamente riconoscibile: merito del pelo lungo, liscio e nero corvino, della testa caratterizzata dal ciuffo e della lunga barba sotto il mento e dalle corna un po’ appiattite lateralmente.


Vacche: non esiste solo quella bianca pezzata di nero

Se pensiamo alle vacche, è probabile che la nostra immaginazione ci restituisca l’immagine di una mucca bianca con grandi macchie nere: bene, quella è la vacca di razza frisona olandese. In Italia, però, ce ne sono di tutti i colori! Innanzitutto la vacca grigio alpina (Presidio Slow Food), concentrata soprattutto in provincia di Bolzano e di Trento con qualche presenza in Veneto e Friuli Venezia Giulia, che per secoli è stata allevata dalle popolazioni locali soprattutto in contesti marginali ed estremi come quelli dei masi di alta quota: è infatti in grado di adattarsi perfettamente alle dure condizioni ambientali di queste regioni montane, rivelandosi la razza ideale per l’economia rurale di montagna. Quali formaggi regala? Quelli di malga: alcuni più magri perché si privilegia la lavorazione del burro, altri a crosta lavata, perché durante la stagionatura vengono inumiditi con acqua salata.


Spostiamoci in Piemonte per conoscere la razza bovina pezzata rossa d’Oropa (inclusa nell’Arca del Gusto di Slow Food), stretta parente della valdostana. Si adatta bene alle difficili condizioni ambientali del pascolo montano e svolge un'importante azione di tutela ambientale e del paesaggio, oltre ad assicurare il latte con cui si produce il burro a latte crudo dell’Alto Elvo, Presidio Slow Food.

Chi non ha mai assaggiato il Parmigiano Reggiano? Eppure molti non sanno che, fino al secondo dopoguerra, le regine incontrastate del Parmigiano Reggiano erano due razze autoctone: la bianca modenese e la rossa reggiana. Dagli anni Cinquanta, poi, sono state sostituite dalla razza frisona , famosa per la produttività e con le mammelle perfette per la mungitura meccanica. Sia la bianca modenese che la rossa reggiana producono latti le cui caratteristiche risultano eccellenti per la produzione del Parmigiano Reggiano, eppure il numero di capi si è drasticamente ridotto: entrambe sono riconosciute da Slow Food, la prima è tutelata dal Presidio e la seconda è inclusa nell’Arca del Gusto.


Concludiamo il nostro tour virtuale nel sud Italia, parlando della vacca di razza podolica e del caciocavallo, il formaggio simbolo della tradizione casearia meridionale ed emblema della tecnica “a pasta filata”. Si tratta della tecnica messa a punto nei secoli per garantire conservabilità e salubrità ai formaggi di latte vaccino. Slow Food ha due Presìdi sui caciocavalli da latte di razza podolica: uno nel Gargano e uno in Basilicata.


 

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Alberto Lupini


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