Ciro Di Maio e l'omaggio a Totò (e a Napoli) con la “Margherita Fojuta”

Il pizzaiolo reinterpreta la pizza con la “Margherita Fojuta”: gli ingredienti classici sono nell'impasto, ispirandosi agli spaghetti alle vongole fujute, dove il sapore è evocato senza essere visibile

14 marzo 2025 | 16:28

Prendere un piatto simbolo e stravolgerlo senza tradirne lo spirito: è questa la sfida che ha spinto Ciro Di Maio a creare la "Margherita Fojuta". Una pizza che c'è, ma che non si vede. Un'idea che si ispira agli spaghetti alle vongole fujute, una ricetta nata dalla necessità e diventata un simbolo della cucina povera napoletana. In quel piatto, il sapore del mare era infatti solo un'illusione, evocata dall'uso del prezzemolo. Allo stesso modo, nella "Margherita Fojuta", gli ingredienti classici della pizza - pomodoro, mozzarella, basilico - sono nell'impasto, nascosti ma presenti, come un gioco di prestigio.

L'idea di nascondere gli ingredienti nasce proprio dal concetto che rese celebre gli spaghetti alle vongole fujute. Secondo la narrazione popolare, nel 1947, il grande autore teatrale Eduardo De Filippo, trovandosi a cena dopo uno spettacolo con la dispensa praticamente vuota, improvvisò un piatto con aglio, peperoncino e pomodorini. Le vongole non c'erano, ma grazie all'abbondante uso di prezzemolo riuscì a evocare il profumo del mare. Il giorno dopo, scherzando con la sorella, spiegò di aver preparato gli spaghetti con le vongole, che però erano "fujute" (scappate, in dialetto napoletano). Da quel momento la ricetta divenne famosa e, nel tempo, venne interpretata in modi diversi, tanto che alcuni arrivarono persino a cuocere sassi di mare per insaporire l'acqua.

Margherita Fojuta: gli ingredienti classici della pizza in un impasto unico

Con la stessa filosofia, Ciro Di Maio ha creato la "Margherita Fojuta", trasformando gli ingredienti classici della pizza in un impasto unico. Farina, lievito, sale, olio, pomodoro, basilico e persino la mozzarella con la sua acqua vengono amalgamati insieme, dando vita a una focaccia che conserva tutto il sapore della Margherita senza mostrarne gli elementi distintivi. «Abbiamo voluto rendere omaggio alla Margherita, il suo sapore e la sua bellezza ha stupito anche noi. L'unico fattore che non "scappa" è quello del gusto, è una pizza davvero semplice e buona» racconta Di Maio. Ma il valore di questa pizza va oltre l'originalità della sua preparazione: questa ricetta, infatti, promuove l'idea di ridurre gli sprechi, utilizzando persino quella parte della mozzarella che solitamente viene buttata.

Oltre al richiamo alla cucina povera, la pizza di Ciro Di Maio si lega però anche alla storia del cinema e della cultura italiana: «Totò diceva sempre che a Milano la nebbia c’è, ma non si vede, e adesso nasce in Lombardia anche la Margherita che c'è, ma non si vede» spiega, citando la celebre battuta del film "Totò, Peppino e la... malafemmina" del 1956. Una battuta che gli italiani hanno imparato ad amare e che oggi trova una nuova interpretazione gastronomica in questa pizza fuori dagli schemi. Ma al di là di questo, la pizza Margherita rimane una delle pietanze più amate al mondo, anche per i suoi effetti benefici. Diversi studi hanno dimostrato che il suo consumo può favorire il benessere psicofisico, grazie alla presenza del triptofano, un amminoacido essenziale contenuto nella mozzarella e nell'impasto, che il corpo utilizza per produrre serotonina, meglio nota come "ormone della felicità". I pomodori, inoltre, sono ricchi di licopene, un potente antiossidante della famiglia dei carotenoidi, mentre il basilico è noto per le sue proprietà antiossidanti, digestive e antinfiammatorie.

Che cosa sapere su Ciro Di Maio

Ciro Di Maio, ricordiamo, nasce a Frattamaggiore, un comune del Napoletano, nel 1990. Mamma casalinga, papà dal passato burrascoso. Le sue prime esperienze nel lavoro sono a 14 anni, poi si iscrive all'Alberghiero, ma a 18 anni lascia gli studi e inizia a lavorare. Nel 2015, la svolta: trova un lavoro da pizzaiolo per una grossa catena in Lombardia, poi riesce a rilevare quella pizzeria assieme a sei soci, infine diventa titolare unico. È così che è iniziata l'avventura “San Ciro”, il suo locale a Brescia  che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menu alla carta di alta cucina. Un locale amato perché rappresenta la tradizione napoletana, a partire dagli ingredienti: olio Dop, mozzarella di bufala campana Dop, pomodorino del Piennolo, ricotta di bufala omogeneizzata e porchetta di Ariccia Igp. Fondamentale è la pasta: ogni giorno viene scelto il livello esatto di idratazione, in base all'umidità di giornata.

In menu ha la pizza verace, ma anche il battilocchio, la pizza fatta da un impasto fritto nell'olio bollente e subito servito avvolto in carta paglia. Le pizze sono tutte diverse, sono fatte artigianalmente. Molti i vip che lo amano, le pareti del suo ristorante sono piene di fotografie. Tra le altre anche Eva Henger, che è stata a cucinare pizze una sera da lui. Senza dimenticare i giocatori del Brescia e del Germani Brescia, che quando possono, anche dopo le partite, lo passano a salutare. Ciro ama poi le iniziative benefiche. Oltre al lavoro in carcere per formare i detenuti a diventar pizzaioli, Ciro si è dedicato anche alla formazione nel Rione Sanità di Napoli, un quartiere che gli ricorda la strada in cui è cresciuto, via Rossini a Frattamaggiore. L'istituto che ha accolto il suo progetto è stato l'Istituto alberghiero D'Este Caracciolo, ha portato a termine delle lezioni online a dei ragazzi che seguono l'indirizzo enogastronomico e l'indirizzo sala e accoglienza.

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Alberto Lupini


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